Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13689 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 22/06/2011), n.13689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G.MONTANELLI 11, presso lo studio dell’avvocato AMENTA

PIERO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BISSOCOLI

GiANNI;

– ricorrente –

contro

D.N.G. (OMISSIS) domiciliato ex. Lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TUCCI VITO;

G.G. (OMISSIS), deceduto nelle more, G.

O., (OMISSIS) domiciliati in ROMA, VIA VALDAGNO 27,

presso lo studio dell’avvocato BASSO TOMMASO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato G.G., difensore di sè

medesimo e deceduto nelle more;

– controricorrenti –

e contro

CONDOMINIO di VIA (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore pro tempore, nonchè del curatore speciale pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 381/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 14/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE CASCOLA;

udito l’Avvocato ALESSANDRO ANDRIOLA con delega dell’avvocato GIANNI

BISSOCOLI difensore della ricorrente che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato BASSO TOMMASO difensore dei resistenti Sig.ri G.

G. e G.O. e con delega dell’Avvocato VITO TUCCI difensore del

resistente Sig. D.N.G. che chiede l’accoglimento del

controricorso proposto da G.G. + 1 e da D.N.G.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In seguito a una segnalazione di alcuni condomini, impersonalmente verbalizzata nell’assemblea condominiale del 31 luglio 2000, l’amministratrice del Condominio Via (OMISSIS), il 18 agosto 2000 invitava l’avvocato G. a rimuovere la targa professionale apposta nel vano antistante il portone e a sostituire la lastra di marmo in tal modo danneggiata. Richiamava l’art. 5 del regolamento di condominio.

La targa veniva asportata il 20 settembre da ignoti, contro i quali l’avvocato G.G. sporgeva denuncia per furto. La targa veniva riposizionata.

Il 5 dicembre 2000 l’avv. G.G. e la moglie G.O. agivano contro il condominio e contro l’amministratrice C. O., in proprio, chiedendo la declaratoria di inesistenza, nullità o annullamento della Delib. adottata il 31 luglio 2000, la nullità del provvedimento dell’amministratrice, perchè adottato in eccesso dei suoi poteri e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Interveniva in giudizio il condomino D.N.G., aderendo alle istanze degli attori. La O. e il Condominio resistevano.

Il 5 maggio 2003 il tribunale di Genova rigettava le domande.

L’appello degli attori veniva accolto dalla Corte ligure il 14 aprile 2005, con sentenza notificata il 3 maggio e impugnata con ricorso per cassazione il 28 giugno 2005.

La Corte dichiarava cessata la materia del contendere in relazione all’accertamento della inesistenza giuridica della delibera.

Dichiarava la nullità del provvedimento dell’amministratrice.

Condannava i convenuti a risarcire i danni da liquidare in separato giudizio. Respingeva la domanda di danni ex art. 96 c.p.c.. Il ricorso per cassazione proposto dalla O. è stato affidato a sei mezzi. Hanno resistito congiuntamente l’avv. G.G. e G.O. e con separato controricorso il sig. D.N.. E’ rimasto intimato il Condominio. Le parti O. e G.G. hanno depositato memoria. E’ pervenuta notizia del decesso, nelle more, del resistente G.G., difensore di sè stesso e della moglie congiuntamente e/o disgiuntamente all’avv. Basso di Roma, comparso in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE 2) Con il primo mezzo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizi di motivazione; sostiene che in conclusioni di primo grado gli attori avevano chiesto la declaratoria di cessazione della materia contendere in relazione alla insussistenza di una tipica delibera condominiale, ammessa dalla parti, e che la Corte d’appello avrebbe dovuto giudicare se la cessazione sussisteva in primo grado e non in appello, per regolare le spese secondo la soccombenza virtuale.

Il motivo è inammissibile, giacchè l’amministratrice O. è carente di interesse in ordine alla questione controversa. E’ infatti per essa irrilevante se la raggiunta concordanza delle parti circa la insussistenza di una Delib. condominiale 31 luglio 2000, riguardante la targa professionale, sia avvenuta in primo o in secondo grado di giudizio.

La questione avrebbe potuto incidere sul regolamento delle spese tra condominio e appellanti, poichè la Delib. è atto del condominio e non dell’amministratrice, alla quale è stata rimproverata una condotta lesiva che prescinde da tale questione. Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 1704, 1388 e 1711 c.c., in relazione agli artt. 1130, 1133, 1137 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla personale responsabilità dell’amministratore.

Parte ricorrente si duole che la Corte genovese abbia fatto ricadere sull’amministratore personalmente gli effetti della ritenuta illegittimità della lettera, sebbene avesse dato atto che costituiva provvedimento emesso nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 1133 c.c. Ricorda che l’opera del mandatario ricade sull’ente e non sull’organo e che, se l’amministratore agisce nell’ambito dei poteri istituzionali di cui agli artt. 1130 e 1133 c.c., non può essere chiamato a rispondere ex art 1711 c.c.. Aggiunge che la stessa Corte d’appello, con l’escludere la configurabilità, nella specie, di lite temeraria aveva smentito la possibile fonte di un personale coinvolgimento dell’amministratore. La censura è fondata.

2.1) La Corte d’appello ha prospettato il possibile inquadramento della lettera di diffida a rimuovere la targa professionale apposta dal G.G. sulla parete dell’atrio esterno del fabbricato, quale provvedimento adottato dall’amministratore ex art. 1133 c.c. Ha ritenuto che si trattava di lettera avente contenuto precettivo, in quanto inviata dall’amministratrice per lettera raccomandata e indicando un termine di dieci giorni per l’adempimento. Ha considerato contraddittorio il richiamo alla volontà espressa in tal senso dai condomini in assemblea, atteso che mancava una rituale delibera.

Secondo la Corte territoriale poichè la cura dell’osservanza del regolamento è compito dell’amministratore, questi incorre in responsabilità personale anche quando riceve incarico dall’assemblea, ove si tratti di incarico avente oggetto illecito, a maggior ragione ove nessuna Delib. sia stata emessa. In altro passaggio della sentenza la condanna avverso entrambi i convenuti (condominio e amministratore) viene giustificata da un lato con la circostanza che nel corso dell’assemblea del luglio 2000 era stato rivolto alla O. un “invito” a far rispettare il regolamento nei confronti del G.G.; dall’altro con la circostanza che anche in presenza di una Delib. condominiale di tal segno l’amministratore avrebbe dovuto comunque prudentemente valutare l’illiceità delle iniziative affidategli dall’assemblea, rifiutandosi, se del caso, di darvi seguito. Questo impianto interpretativo è palesemente viziato.

La sentenza commette un duplice errore: a) ignora la posizione (del condominio) e dei condomini, che hanno diritto di far valere, anche tramite l’amministratore, l’osservanza del regolamento.

b) Assume che ogni volta in cui il Condominio vanti erroneamente sulla base del regolamento condominiale nei confronti del condomino una pretesa, che si riveli in seguito infondata, sorga una responsabilità personale dell’amministratore, quale coautore di un atto illecito.

2.2) L’assetto normativo che disciplina il condominio e che si estrinseca tra l’altro nell’obbligo di osservare il regolamento di condominio (art. 1138 c.c.); nel potere – dovere dell’amministratore di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini (art. 1135 c.c. e segg.) e curare l’osservanza del regolamento di condominio (art. 1130 c.., n. 1); in quello di adottare provvedimenti – obbligatori per i condomini – nell’ambito dei suoi poteri (art. 1133 c.c.) impone una diversa ricostruzione.

Si deve infatti ritenere che i condomini, per l’ordinato svolgimento della vita condominiale, si siano assoggettati al regolamento, demandandone l’attuazione pratica all’assemblea e all’amministratore, secondo i poteri e i limiti tracciati nel regolamento stesso e nella legge.

Va da sè che i margini di opinabilità interpretativa che sono intrinsecamente connessi all’interpretazione e all’applicazione concreta dei testi normativi e regolamentari rientrane nel fisiologico dipanarsi della vita del condominio.

Ne risulta per converso innalzata la soglia oltre la quale si connota di illiceità l’attività del condominio e dell’amministratore che, ragionevolmente facendo richiamo delle disposizioni regolamentari o di legge, richiamino il singolo condomino all’osservanza dei medesimi.

Soccorre in proposito la lettura della seconda parte dell’art. 1133 c.c., volto a disegnare l’andamento ordinario delle relazioni condominiali. Vi si legge che contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’art. 1137.

Ciò significa che l’amministratore, anche laddove vi siano incertezze o dubbi interpretativi, può adottare provvedimenti di portata obbligatoria per il condomino e che questi può ricorrere all’assemblea o anche – direttamente – proporre impugnativa ex art. 1137 c.c. Fuoriesce quindi dalla prospettiva della illiceità un’ipotesi in cui la contestazione dell’agire del singolo condomino sia effettuata mediante un provvedimento astrattamente riconducibile nell’ambito delle prescrizioni regolamentari e dei poteri spettanti all’amministratore.

La Corte di Genova nel considerare illecita l’iniziativa dell’amministratore volta a sollecitare il rispetto del divieto di collocazione, senza autorizzazione, di targhe sulla facciata dell’edificio, ha leso questi principi.

Infatti: a) ha sostanzialmente vanificato il potere di cui all’art. 1133 c.c., per la cui esplicazione non è necessaria una preventiva Delib. assembleare.

b) ha trascurato di considerare che, comunque, l’iniziativa era legittimata dal dovere di curare ex art. 1130 ultima parte l’osservanza del regolamento;

c) ha considerato senz’altro imputabile anche all’amministratore personalmente, e non solo nella qualità, la condotta qualificata come illecita.

Secondo la Corte territoriale, l’amministratore avrebbe potuto dar seguito alla sollecitazione raccolta nel verbale di assemblea solo (pag. 20) “prudentemente” (pag. 35) e con una lettera contenente una “mera segnalazione del problema costituito dalla collocazione della targa in luogo ritenuto non consentito” (pag. 24). Costituirebbe atto illecito una lettera di “ben chiaro contenuto precettivo”, trasmessa in forma di raccomandata e con determinazione di un tempo (dieci giorni) per l’adempimento. Orbene, appare evidente come in tal modo sia stata definita e giustificata abnormemente l’attività consentita sia, esecutivamente, dall’art. 1130, n. 1, ultima parte, sia dal disposto dell’art. 1133 c.c..

A fronte di violazioni del regolamento ragionevolmente qualificabili in tal senso da parte dell’amministratore, questi ha il potere di adottare iniziative ex art 1130 c.c., – da intendere estensivamente (Cass. 5613/06) – ovvero di prendere “provvedimenti obbligatori”.

In proposito non solo il lessico giuridico corrente, ma anche la dottrina che si è occupata dell’argomento, insegnano che il provvedimento è atto autoritativo, contenente manifestazione di volontà. Sottolineano che l’obbligatorietà non significa esecutività.

Tale previsione implica però che un provvedimento ex art. 1133 c.c. deve, per essere tale, avere portata precettiva, il che richiede, tra l’altro, la fissazione di un termine, restando altrimenti un mero parere e non esercizio di poteri legittimamente attribuiti all’amministratore.

Inoltre la previsione di impugnabilità ex art. 1137 c.c. comporta che il rimedio tipico contro un atto, in ipotesi illegittimo, riconducibile a tale qualificazione, sia l’impugnazione ex art. 1137 c.c., così fisiologicamente prevedendo la possibilità di provvedimenti erronei dell’amministratore.

Nel caso di specie si badi che l’atto dell’amministratore non attingeva neppure la soglia del provvedimento precettivo: illogica è sul punto la motivazione della Corte d’appello, che trae fondamento per la responsabilità risarcitoria dell’amministratore dalla forma della raccomandata e dalla fissazione di un termine, qualificando l’atto come estraneo all’esercizio ragionevole delle funzioni dell’amministratore condominiale.

Per contro va osservato, in aggiunta a quanto detto, che dalla stessa sentenza (pag. 28) si apprende che la lettera della O. si esprimeva in termini di invito e non di ordine imperativo e/o minaccioso.

Superfluo è poi soffermarsi sulla legittimità o meno del suddetto invito alla luce del regolamento di condominio. Basti osservare:

a) che al fine di attivarsi per far cessare gli abusi del condomino, l’amministratore condominiale non necessita di alcuna previa Delib.

condominiale, posto che egli è tenuto ex lege a curare l’osservanza del regolamento di condominio al fine di tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità e all’abitabilità dell’edificio (Cass. 14735/06, in motivazione);

b) che l’art.. 5 del regolamento, riportato sempre a pag. 28, prevedeva nella forma più larga possibile il divieto di collocare targhe sulla facciata del caseggiato e nelle parti comuni dell’edificio, menzionando a tal fine scale e ballatoi e consentendo l’apposizione di “piccole targhe” solo previa approvazione condominiale.

Va quindi escluso che l’iniziativa dell’amministratore costituisse iniziativa negligente, estranea alla funzione ricoperta e al rapporto organico con il condominio, al quale restava imputabile l’atto di difesa del regolamento.

3) I rilievi svolti giustificano anche l’accoglimento del terzo motivo, che lamenta l’attribuzione di responsabilità risarcitoria a carico dell’amministratore, tanto se ricondotta all’art. 1176 c.c., quanto se collegata ad illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.).

Fondatamente qui la O. osserva che la Corte territoriale ha ricollegato automaticamente alla pronuncia di nullità del provvedimento dell’amministratore la condanna solidale al risarcimento dei danni, omettendo l’indagine sulla tipologia di responsabilità ravvisata o sull’ipotetico eccesso di mandato che avrebbe potuto sostanziare una responsabilità personale della ricorrente.

4) Infondato è invece il quarto motivo, con il quale si sostiene che l’azione giudiziaria dei coniugi G. era improponibile o improcedibile senza il preventivo ricorso all’assemblea.

E’ questa un’errata interpretazione dell’art. 1133 c.c., già esclusa dalla giurisprudenza (Cass. 960/77; 804/74). La dottrina propende con certezza per la immediata impugnabilità del provvedimento per motivi di legittimità. Minori certezze sussistono in ordine alla ricorribilità diretta al giudice quando sia controversa una questione di merito, quale quella qui esaminata. V’è infatti chi preferisce ipotizzare che sia necessario preventivamente adire l’assemblea per contestare il provvedimento dell’amministratore.

La tesi non convince. Il testo codicistico prevede infatti il ricorso all’assemblea, “senza pregiudizio” del ricorse all’autorità giudiziaria, così lasciando trasparire dal punto di vista letterale la compatibilita tra i due rimedi.

Il favor verso la tutela giurisdizionale e il pieno esercizio del diritto di azione inducono ad escludere la costruzione in via pretoria di condizioni di procedibilità.

5) Assorbiti restano gli ultimi due motivi di ricorso, relativi alla condanna risarcitoria.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. Si fa luogo, con decisione di merito ex art 384 c.p.c., al rigetto dell’originaria domanda, giacchè risultano esclusi nei confronti dell’amministratrice qui ricorrente i profili di responsabilità erroneamente configurati dal giudice di appello. Non sono da esperire a tal fine altre valutazioni, nè ulteriori accertamenti di fatto per dichiarare l’infondatezza della domanda. Le spese si liquidano a favore della ricorrente per i tre gradi di giudizio, riconfermando ovviamente, quanto al primo, la liquidazione resa dal tribunale.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta primo e quarto motivo di ricorso.

Accoglie secondo e terzo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria. Condanna i convenuti in solido tra loro alla refusione delle spese di lite liquidate per il primo grado in Euro 123,00 per esborsi, 980,00 per onorari, 750,00 per esborsi. Quanto al secondo grado in Euro 300,00 per esborsi, 3.500,00 per onorari, 900,00 per esborsi. Per il giudizio di cassazione in Euro 2000,00 per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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