Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13688 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 22/06/2011), n.13688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.R. (OMISSIS), N.E.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

NICOTRA FILIPPO;

– ricorrenti –

contro

R.P. (OMISSIS), T.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AGRI 3,

presso lo studio dell’avvocato STUDIO MORMINO IGNAZIO, rappresentati

e difesi dall’avvocato RANIERI Vittorio;

RI.AM. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

quali eredi

di L.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MOMZINI MARIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato LOMBARDO MARIO;

– controricorrenti –

e contro

RI.CA. quale erede di L.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4 63/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato FILIPPO NICOTRA che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato IGNAZIO MORMINO con delega depositata in udienza

dell’avvocato VITTORIO RANIERI che ha chiesto l’inammissibilità del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E. e N.R., dichiarandosi eredi testamentari di B.S. ex re certa, costituita da un giardinetto sito in (OMISSIS), corrispondente alla metà indivisa della particella catastale 161 del f. 46, la cui proprietà la de cuius aveva a sua volta acquistato per usucapione ricevendone il possesso dalla sorella A., agivano in giudizio innanzi al Tribunale di Termini Imerese affinchè fosse dichiarata la nullità del contratto rogato dal notaio R. B. del 29.5.1981, con il quale L.G. aveva venduto il suddetto bene a T.F. e a R.P.;

2) accertata, per contro, la loro proprietà del terreno;

3) condannati i convenuti al risarcimento dei danni;

e infine, 4) effettuata la divisione in natura della particella anzi detta, con assegnazione a se stessi della porzione ubicata in posizione superiore.

Tutti i convenuti resistevano alla domanda, chiedendone il rigetto.

R.P. e T.F., in particolare, domandavano in via riconvenzionale l’accertamento dell’acquisto della proprietà del terreno per usucapione decennale ex art. 1159 c.c. L.G. eccepiva il difetto di legittimazione attiva dei N..

Il Tribunale di Termini Imerese rigettava la domanda principale e dichiarava “valido ed efficace” il contratto del 29.5.1981 con motivazione alternativa, poichè da un lato riteneva la nullità della dedotta disposizione testamentaria di B.S. per indeterminatezza dell’oggetto, e dall’altro osservava che, comunque, gli attori non avevano provato che quest’ultima avesse usucapito la proprietà del fondo in questione.

Impugnata dai N., detta sentenza era confermata dalla Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 463 del 15.4.2005.

La Corte territoriale rilevava preliminarmente l’inammissibilità dell’istanza istruttoria intesa al rinnovo di tutte le prove assunte in primo grado con i testi già escussi e con quelli di cui era stata acconsentita la rinuncia, nonchè l’istanza di assunzione dei testi stessi ai sensi dell’art. 682 c.p.c., non vertendosi in ipotesi di prova nuova ex art. 345 c.p.c., ma di prova diretta a confortare le risultanze di quella dedotta e assunta in primo grado dalla stessa parte.

Quindi, riteneva nel merito che gli attori non avessero indicato neppure l’epoca in cui B.A. avrebbe trasmesso il possesso del terreno alla sorella S. e che le prove raccolte, che esaminava nel dettaglio, non erano valse a dimostrare l’usucapione della proprietà del bene da parte della ridetta dante causa degli attori, il cui testamento, “a parte ogni questione sulla sua validità”, non dimostrava che la testatrice fosse proprietaria del bene oggetto di disposizione.

Per la cassazione di quest’ultima pronuncia ricorrono E. e N.R., con cinque motivi illustrati da memoria.

Resistono con controricorso R.P. e T.F., nonchè, quali eredi di L.G., A., G. e R.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in connessione con un’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la mancata ammissione dei testi Mi. e Sp..

Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere ammissibili le richieste istruttorie formulate dagli appellanti e i nuovi mezzi di prova da loro dedotti, specialmente quanto ai testi Mi. e Sp., che erano stati assunti ai sensi dell’art. 682 c.p.c., trattandosi di prova nuova, indispensabile e la cui tardiva proposizione non è imputabile alla parte deducente.

La prova, in particolare, sarebbe nuova, atteso che tale è anche quella che (secondo Cass. n. 1075/91), proposta con un (tipo di) mezzo già espletato, ha tuttavia ad oggetto circostanze di fatto del tutto distinte da quelle su cui vi è stata l’assunzione di prova in primo grado; indispensabile ai fini del decidere perchè la stessa Corte territoriale ne aveva avvertito la mancata indicazione nell’atto di citazione; e proposta tardivamente per fatto non imputabile alla parte, atteso che solo dopo laboriose ricerche, verso la fine dell’anno 2000, gli odierni ricorrenti avevano appreso che una figlia ( Sp.Fr., appunto) del vecchio fittavolo abitava a (OMISSIS).

Si sostiene, inoltre, che il giudice d’appello avrebbe dovuto ammettere gli altri mezzi istruttori richiesti, ossia l’interrogatorio formale, l’ispezione dei luoghi con assistenza di consulente tecnico, per appurare che i R. – T. hanno edificato solo la metà inferiore del fondo acquistata con l’atto notaio Lo Meo del 16 11.1972, e una consulenza grafica diretta a provare l’autenticità della firma di D.M.F.P. apposta sul contratto di affitto con la B..

1.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

1.1.1, – Infondato, perchè a) l’esercizio del potere di disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni previsto dall’art. 257 c.p.c., esercitarle anche nel corso del giudizio d’appello in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359 c.p.c., involge un giudizio di mera opportunità che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (v.

Cass. nn. 9322/10 e 11436/02); b) l’art. 345 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990 vieta l’ammissione di nuove prove, per tali dovendosi intendere tutte quelle, della stessa o di diversa specie, che non siano state dedotte nel giudizio di primo grado, abbiano o non comunanza di tema con queste ultime.

Quanto al giudizio d’indispensabilità, poi, è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice d’appello è tenuto a motivare esclusivamente l’indispensabilità che giustifica l’ammissione della nuova prova, in deroga alla regola generale che invece ne prevede il divieto, ma non anche la mancata ammissione delle prove ritenute non indispensabili, che si conforma alla predetta regola generale (v. Cass. nn. 16971/09 e 15346/10).

1.1.2. – Il motivo è inammissibile, invece, quanto alla doglianza relativa alla mancata ammissione dell’ulteriore prova testimoniale e del l’interrogatorio formale, per difetto di autosufficienza, non essendo stati riportati nel ricorso i relativi capitoli, in guisa da poterne apprezzare l’astratta attitudine a fondare una decisione di merito diversa da quella cui è pervenuto il giudice d’appello, e favorevole alla parte ricorrente.

Ed infatti, è costante l’orientamento di questa Corte nel senso che è privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (v. Cass. nn. 6440/07 e 17915/10).

Del pari inammissibile è la censura del mancato espletamento di attività istruttoria d’ufficio, quale l’ispezione dei luoghi e la nomina di c.t.u., in quanto apertamente diretta a sollecitare un sindacato di puro merito sulle scelte discrezionali del giudice d’appello.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione in ordine alla nullità del testamento, ritenuta dal Tribunale e implicitamente confermata dalla Corte.

2.1. – Tale motivo è inammissibile, atteso che la Corte d’appello non ha confermato implicitamente la nullità, ma semmai l’ha considerato assorbita (non in senso logico, ma – è da ritenere – in applicazione del criterio della ragione più liquida), una volta ritenute non provata l’usucapione della proprietà del bene da parte della dante causa degli attori; e questi ultimi, derivando la loro legittimazione proprio dal testamento di B.S., non hanno interesse a censurare una pronuncia di assorbimento che per sua stessa definizione non incide sulla reiezione della domanda.

3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2703 c.c. in connessione con il vizio di omessa e insufficiente motivazione, perchè la Corte d’appello non ha valutato le dichiarazioni rese dai testi Mi. e Sp. ai sensi della L. n. 15 del 1968, confermate con deposizioni rese a futura memoria, aventi quanto meno valore indiziario in rapporto a tutte le altre risultanze probatorie.

3.1. – Anche tale motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, perchè non riporta le dichiarazioni in oggetto (le deposizioni raccolte a futura memoria sono state riprodotte solo nella memoria ex art. 378 c.p.c.), non consentendone così la valutazione di decisività ai fini del giudizio, sia per la genericità della censura, che non ne illustra la concreta attitudine indiziaria nel contesto (solo enunciato) delle restanti emergenze istruttorie, di talchè la censura non soddisfa il requisito di specificità implicato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. – Con il quarto motivo è contestata la mancata applicazione dell’art. 1158 c.c. e la violazione degli artt. 2697, 2702 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in tal caso in connessione con il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere attendibili i testi Tr. e Ru., il primo essendo la memoria storica dell’intera vicenda, neppure accostabile a quella dei testi Mi. e Pi. della parte avversa; la seconda per la precisione dei ricordi nell’individuare il fondo, descrivere la storia e indicare i vari fittavoli succedutisi nel tempo.

Quindi, parte ricorrente prosegue esaminando le singole risultanze istruttorie, per trame elementi di contrasto rispetto alla motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha valutato le prove secondo le aspettative della stessa parte.

4.1. – Anche tale motivo è inammissibile sotto entrambi i profili di illegittimità proposti, in quanto non specifica in qual modo la sentenza d’appello avrebbe violato le norme denunciate; e non individua in quale passaggio della motivazione risiederebbe il vizio interno del ragionamento seguito dalla Corte di merito, risolvendo la censura nella mera deduzione di una lettura dei fatti di causa alternativa ed opposta rispetto a quella prescelta dal giudice di secondo grado.

Per contro, è fermo orientamento di questa Corte che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. S.U. n. 5802/98 e successive conformi tra cui, da ultimo, Cass. n. 15264/07). In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni dei proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. nn. 2272/07 e 14084/07).

Nello specifico il giudice d’appello ha fornito congrua e logica motivazione della soluzione di merito prescelta, nei termini sinteticamente premessi nella parte narrativa della presente sentenza, di talchè la decisione impugnata non appare minimamente scalfita dalla doglianza in esame.

5. – E’ infondato, infine, anche il quinto motivo, concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1159, 1147 e 2697 c.c., con il quale parte ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere nullo l’atto di vendita 25.9.1981 in quanto la venditrice era priva di un titolo derivativo per l’intero, essendo intestataria soltanto di 1/3 dell’immobile, tant’è che ella avrebbe dichiarato di aver acquistato il bene per usucapione.

Il motivo suppone, infatti, l’esame dell’atto, attività, questa, non consentita alla Corte di legittimità.

6. – In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

7. – Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 700,00, di cui 200,00 per spese, per gli eredi di L.G. e in Euro 900,00, di cui 200,00 per spese, per i resistenti T. e R., il tutto oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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