Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13684 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 22/06/2011), n.13684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FILEGGI ANTONIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.B., già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

QUADRARO 72, presso lo studio dell’avvocato MARANDO FRANCESCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MIGLIACCIO BENINO, giusta delega

in atti e da ultimo domiciliata presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4611/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/07/2006 R.G.N. 16925/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PILEGGI ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per la sospensione in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con tre motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli depositata il 26-7-2006 che, in riforma della sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli del 11-6-2003, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con N.B. per il periodo 8-3-2000/30-6-2000, per “esigenze eccezionali..” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, ed ha condannato la società a pagare le retribuzioni spettanti dal 12-11-2002 oltre rivalutazione e interessi.

La N. ha resistito con controricorso.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Ciò posto va rilevato che con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, degli artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c. e dell’art. 100 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, nonostante fosse emersa una prolungata inerzia della lavoratrice (dal 30-6-2000 alla lettera di impugnativa del 12-11- 2002) a fronte della brevità del rapporto contrattuale intercorso.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato, “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Orbene la Corte d’Appello, premesso che il mero decorso del tempo “non può di per sè solo costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione” e che all’uopo sono necessarie “ulteriori circostanze oggettive” che denotino una volontà chiara e certa in tal senso (circostanze da allegarsi e provarsi da parte di chi faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso), ha rilevato che, nella fattispecie, la mancata allegazione e prova di tali ulteriori circostanze risulta ostativa all’accoglimento dell’eccezione in esame.

Tale decisione risulta conforme al principio sopra richiamato e resiste alle censure della ricorrente.

Con il secondo motivo (violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., nonchè vizi di motivazione in ordine alla efficacia dell’accordo del 25-9-97), riguardante in sostanza la pretesa legittimità del termine, osserva il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de qua.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 “prescinde dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v.

Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3- 2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.

(v.. fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745. Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare:, pertanto, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con raccordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v, fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 20-3- 2009 n. 6913, Cass. 5-4-2011 n. 7745, Cass. 18378/2006 cit.).

In applicazione di tale principio va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo risultando superfluo l’esame di ogni altra censura al riguardo.

Con il terzo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto “conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 c.c. e segg.”.

Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque, anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v.

fra le altre Cass. 4-1-2001 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36). dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Peraltro neppure può ignorarsi che nella specie anche il motivo risulta del tutto generico e privo di autosufficienza, e neppure coglie nel segno la impugnata decisione, in quanto, contestando in astratto la configurabilità di una messa in mora nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione (sulla quale v. invece, fra le altre, Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710), non tiene conto che sul punto la Corte di merito ha affermato in concreto che l’offerta delle prestazioni, nel caso di specie, può considerarsi “posta in essere con la lettera di messa in mora in data 12-11-02″ con la quale tra l’altro si ponevano a disposizione dell’azienda le proprie energie lavorative”.

Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010 (invocato dalla società con la memoria).

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della N..

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla N. le spese liquidate in Euro 21,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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