Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13683 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 03/07/2020), n.13683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4759/2019 R.G. proposto da:

M.M., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al ricorso, dall’avv. Rosario GUGLIELMOTTI, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via delle Acacie, n. 13-15, presso lo

studio legale dell’avv. Giancarlo DI GENIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6036/01/2018 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 12/02/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

– che la contribuente M.M. ricorre, affidandosi a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, che replica con controricorso, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Commissione tributaria regionale della Campania che, sulla rilevata regolarità della notifica della cartella di pagamento emessa nei confronti della contribuente per il recupero dell’ICI da questa dovuta per l’anno d’imposta 2007, rigettava l’appello proposto dalla M. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado;

– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, commi 5 e 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 225 del 2016, e dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11, eccependo l’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle entrate – Riscossione in grado di appello perchè effettuata con il ministero di un avvocato del libero foro;

– il motivo è manifestamente infondato alla stregua di Cass. Sez. U., n. 30008 del 2019, par. 24, nonchè del Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate-Riscossione n. 36437 del 5 luglio 2017;

– invero, nella citata sentenza n. 30008 del 202 le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato i seguenti principi di diritto:

“impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate Riscossione si avvale:

– dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, nè della delibera prevista dal richiamato art. 43, comma 4, R.D. cit., di avvocati del libero foro – nel rispetto del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, medesimo art. 1, comma 5, – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio”; “quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità”;

– orbene, il Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate – Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, prevede espressamente, in tema di “Contenzioso afferente l’attività di Riscossione”, al punto 3.4.2, che “L’Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: (…) liti innanzi alle Commissioni Tributarie”;

– ne consegue la manifesta infondatezza del motivo in esame;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. sostenendo che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione quinquennale del tributo in oggetto in relazione all’intervallo temporale comunque trascorso tra l’insorgenza dell’obbligo tributario e la data di notifica della cartella, ove ritenuta regolare;

– il motivo è ammissibile e fondato in quanto è la stessa CTR a dare atto in sentenza che la ricorrente aveva proposto l’eccezione in primo grado e sia la ricorrente (a pag. 2 del ricorso) che la stessa Agenzia controricorrente (a pag. 2 del controricorso) sostengono che l’eccezione venne riproposta in grado di appello con specifico motivo di impugnazione della sentenza di primo grado che non aveva pronunciato sul punto, come pure hanno fatto i giudici di appello;

– pare opportuno premettere che non può dubitarsi della prescrizione quinquennale dell’imposta comunale sugli immobili; al riguardo deve ribadirsi quanto affermato da Cass. n. 4283 del 2010, ovvero che “la consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. n. 2941 del 2007, n. 4271 del 2003. Cass. S.U. n. 10955 del 2002) ha chiarito che la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno od in termini più brevi si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo, di guisa che soltanto con il protrarsi dell’adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio e può essere soddisfatto l’interesse del creditore per il tramite della ricezione di più prestazioni, aventi un titolo unico, ma ripetute nel tempo ed autonome le une dalle altre; tale prescrizione, per contro, non trova applicazione con riguardo alle prestazioni unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui cioè è, o può essere, prevista una pluralità di termini successivi per l’adempimento di una prestazione strutturalmente eseguibile però anche “uno actu” con riferimento alle quali opera la ordinaria prescrizione decennale contemplata dall’art. 2946 c.c. (Cass. n. 9295 del 1993). In altri termini, la disposizione codicistica trova applicazione nella ipotesi di prestazioni periodiche in relazione ad una causa debendi continuativa, mentre la medesima norma non trova applicazione nella ipotesi di debito unico”;

– orbene, il tributo locale di cui è causa (ICI), così come la tassa per lo smaltimento rifiuti, per l’occupazione di suolo pubblico, per la concessione di passo carrabile ed i contributi di bonifica, è elemento strutturale di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da una “causa debendi” di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo in relazione alla quale l’utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione imposta (arg. da Cass. n. 4283/2010, cit.);

– “Invero, in tutti i casi considerati, l’utente è tenuto a pagare periodicamente una somma che, sia pure autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo di un servizio a lui reso, o richiesto (concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo carrabile) o imposto (tassa per smaltimento rifiuti, contributo opere di risanamento idraulico del territorio)”, come pure per l’imposta comunale sugli immobili; “nè è necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame della esistenza dei presupposti impositivi, che permangono fino alla verificazione di un mutamento obbiettivo della situazione di fatto giustificante il servizio” o l’imposizione, “nè il corrispettivo potrebbe dall’utente essere corrisposto in unica soluzione, in quanto ab initio non determinato e non determinabile, nè nell’entità, nè nella durata” e “Nessun rilievo può darsi alla osservazione che l’importo dei pagamenti annuali ed infrannuali possa variare nel tempo, in quanto tali variazioni non dipendono da nuova negoziazione del rapporto, che rimane stabile, ma da variazioni del costo dei servizi prestati, il cui addebito da parte degli enti impostori discende da considerazioni di politica fiscale ed economica rapportata alla generalità degli utenti del servizio ed indipendenti dalla volontà del singolo contribuente” (così in Cass. n. 4283/2010, cit.);

– pertanto, l’imposta in esame va considerata come obbligazione periodica o di durata ed è sottoposta alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, c.c., n. 4, in forza del quale si prescrive in cinque anni, tra l’altro “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno od in termini più brevi” (v. anche Cass. n. 28576 del 2017, n. 28173 del 2018, n. 29996 del 2018, n. 30362 del 2018 e n. 31322 del 2019);

– il motivo in esame è quindi fondato e va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente CTR che pronuncerà sull’eccezione di prescrizione valutando le risultanze processuali anche in punto di eventuale esistenza di atti interruttivi tempestivamente dedotti e provati;

– con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., in relazione alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, sostenendo che la CTR aveva erroneamente ritenuto provata la regolarità della notifica della cartella di pagamento impugnata benchè l’avviso di ricevimento della raccomandata postale di notifica dell’atto, prodotto in giudizio dall’agente della riscossione, identificato con il n. (OMISSIS) non corrispondesse “a quello richiamato nelle proprie controdeduzioni, identificato con il n. (OMISSIS), spedito in data 25.11.2014 totalmente estraneo ai fatti di causa” e che l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (c.d. CAD) inviata alla ricorrente ex art. 140 c.p.c., identificato con il n. (OMISSIS), “non manifesta alcun collegamento con la cartella presuntivamente notificata ed addirittura risulta essere sottoscritto da un soggetto la cui convivenza con il destinatario non è dato sapere”;

– che il motivo è inammissibile non solo perchè viene dedotto cumulativo i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, in spregio al principio di tassatività e specificità del motivo di censura che esige una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (cfr., ex multis, Cass. n. 10667 del 2008, n. 18202 del 2008, n. 11603 del 2018), ma anche perchè è privo di autosufficienza. E’ noto infatti che “In applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso” (Cass., Sez. 1 -, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018 (Rv. 647747). Si è quindi precisato che “I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277).

Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Corte di Cassazione nel caso di deduzione di un error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (che ricorre nel caso di specie), non esonera la parte dal riportare, in seno al ricorso per cassazione, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare nei suoi termini esatti, e non genericamente, il vizio processuale, in modo da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 4928 del 2013; Cass. 23420 del 2011; Cass. 20405 del 2006; Cass. n. 19410 del 2015). E seppur sia vero che la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo” è giudice anche del fatto, ed ha, pertanto, il potere di accedere agli atti di causa, è altrettanto vero che tale potere-dovere della Corte presuppone pur sempre l’ammissibilità della relativa censura, il che comporta che gli atti dai quali dovrebbe desumersi l’error in procedendo, oltre che indicati, siano anche riprodotti (nelle parti essenziali), nel rispetto del principio di autosufficienza, ai sensi delle disposizioni succitate (cfr., ex plurimis, Cass. n. 1170/2004; n. 8575/2005; n. 16245/2005; n. 2771/2017). E ciò perchè il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non consente il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi. E’ quindi evidente che nella specie i(rilevato vizio non può superarsi dall’avvenuta allegazione a(ricorso del “fascicolo di primo e secondo grado”, in assenza di specificazione del luogo in cui rinvenire la documentazione indicata nel mezzo in esame;

– in estrema sintesi, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo, la sentenza cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla CTR territorialmente competente anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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