Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13675 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/05/2017, (ud. 20/04/2017, dep.30/05/2017),  n. 13675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4921/2016 proposto da:

N.M., N.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato

CIRO SINDONA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

M.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5550/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/10/2015;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20/04/2017

dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

N.G. e M. ricorrono, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza (n. 5550 del 07/10/2015) con cui la corte di appello di Roma ha, accogliendo l’appello di Mu.St., accolto la domanda da costei dispiegata nei confronti loro e di Mu.St. per il pagamento della somma di Euro 51.650,00 (oltre interessi e spese), a titolo di corrispettivo per la vendita di quota della società Imm.re Verte srl, essendone stata la quantificazione condizionata al non superamento di una certa entità (Euro 36.150,00) delle somme necessarie per la definizione del contenzioso tributario in atto per l’acquisto di un terreno del 1991;

il ricorso è notificato sia a M.S. che agli eredi di Mu.St., collettivamente ed impersonalmente al suo ultimo domicilio;

gli intimati non espletano attività difensiva in questa sede;

è stata formulata proposta – di declaratoria di inammissibilità di definizione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

i ricorrenti depositano memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;

i ricorrenti si dolgono di: “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, artt. 4-27 e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento alla presunta cessione a titolo oneroso del tributo e relativa pronuncia di nullità” (primo motivo); di “violazione o falsa applicazione, ovvero contraddittoria applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27 e dell’art. 1419 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento al principio della coerenza e dell’assorbenza del giudicato” (secondo motivo); ed infine di “omesso esame delle prove testimoniali ammesse ex art. 245 c.p.c., omessa e comunque erronea valutazione delle prove testimoniali e del riconoscimento della scrittura privata prodotta in giudizio ex art. 215 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5” (terzo motivo);

la corte di appello ha però fondato la sua decisione su due distinte rationes decidendi: la prima, di nullità dell’accordo che avesse limitato il diritto al corrispettivo in caso avesse compreso l’INVIM come spettante all’acquirente anzichè al venditore (perchè in violazione appunto del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27); la seconda (v. pag. 5 della qui gravata sentenza, secondo capoverso), di interpretazione dell’accordo come incarico di compiere l’atto materiale del pagamento dell’imposta, tanto da lasciare estraneo all’ambito del “contenzioso tributario” in corso, alla cui entità parametrare il diritto della cedente al corrispettivo pattuito, appunto quanto necessario pure alla definizione del contenzioso relativo all’INVIM stessa;

questa seconda ratio decidendi è censurata con il terzo motivo, ma in modo incongruo o inammissibile, neppure potendo sopperirvi i ricorrenti con la memoria, la quale – analogamente a quella prevista dall’art. 378 c.p.c. – non può colmare le lacune del ricorso: visto che si tratta di un’interpretazione del contenuto del contratto, essa andava contrastata con idoneo riferimento alle categorie dell’ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., mentre l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie non integra giammai più un vizio motivazionale deducibile in Cassazione, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo l’interpretazione della relativa novella data a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014;

l’inammissibilità della censura alla seconda delle due autonome rationes decidendi rende irrilevante la disamina di quelle mosse alla prima e, nel suo complesso, inammissibile il ricorso (Cass. 10/02/2017, n. 3633; in precedenza, con principio affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.: Cass. ord. 03/11/2011, n. 22753; successivamente ribadito, e plurimis, da Cass. Sez. U. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. 29/05/2015, n. 11169; Cass. 04/03/2016, n. 4293);

non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendovi svolto attività difensiva gli intimati, ma va dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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