Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13673 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.30/05/2017),  n. 13673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 8611 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

M.A. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa

dall’avvocato Giuseppe Pedarra (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

COMUNE DI TRINITAPOLI (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco,

legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso

dall’avvocato Nino Sebastiano Matassa (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari n.

1545/2015, pubblicata in data 8 ottobre 2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 11 aprile 2017 dal Consigliere Tatangelo Augusto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Trinitapoli ha proposto opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, avverso l’atto di precetto intimatogli da M.A. per il pagamento dell’importo di Euro 54.536,64, sulla base di lodo arbitrale recante condanna al pagamento di un credito del quale la M. si era resa cessionaria.

Iniziata dall’intimante l’esecuzione forzata (nelle forme dell’espropriazione di crediti), il comune ha poi riproposto la medesima opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2. Le opposizioni sono state riunite e rigettate dal Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Trinitapoli.

La Corte di Appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, le ha invece accolte, condannando l’opposta alla restituzione delle somme incassate in virtù della sentenza di primo grado.

Ricorre la M., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso il Comune di Trinitapoli.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 – bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “omesso ed errato accertamento sulla identità del credito – violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di rapporti obbligatori”.

Il ricorso è inammissibile.

Lo è in primo luogo nella parte (astrattamente inquadrabile nel profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in cui denunzia violazione di norme di diritto, in quanto non contiene la specifica indicazione delle disposizioni di legge che si assumono violate, se non con un riferimento del tutto generico, nella rubrica, alle “norme di diritto in materia di rapporti obbligatori”, riferimento che non trova del resto alcuna puntualizzazione e concreto riscontro nella successiva esposizione.

Lo è altresì con riguardo al contenuto effettivo delle critiche mosse alla sentenza impugnata, che si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto svolti dai giudici di merito in relazione all’oggetto ed al contenuto degli atti negoziali di cessione dei crediti posti a base dell’azione esecutiva contestata, accertamenti operati sulla base degli elementi istruttori acquisiti agli atti e sostenuti da adeguata motivazione, come tali non censurabili in sede di legittimità, e comunque nella specie non censurati nè mediante l’indicazione della eventuale violazione di norme sull’interpretazione degli atti negoziali, nè mediante l’indicazione di eventuali specifici fatti (decisivi e controversi) di cui sarebbe stato omesso l’esame, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo attualmente vigente, secondo le puntualizzazioni fornite da Cass., Sez. U, Sentenze n. 8053 e n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629830 e 629833 – 01).

Lo è infine anche per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ed in relazione al precetto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dal momento che i documenti sui quali si fondano le censure (e cioè il lodo arbitrale, gli atti di cessione dei crediti e i relativi mandati di pagamento emessi dal comune) non risultano prodotti in allegato al ricorso, e di essi non è indicata neanche l’esatta allocazione nel fascicolo processuale, nè risulta richiamato specificamente il loro contenuto rilevante, il che impedirebbe comunque alla Corte di esaminare il merito delle doglianze avanzate dalla ricorrente.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012. art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, ed oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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