Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13673 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. III, 19/05/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 19/05/2021), n.13673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35688-2019 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliato in Piacenza, via Abbadia, n.

8, presso l’avv. ANNA MARIA GALIMBERTI;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE;

– intimato –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza N. 1477/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il ricorrente G.N. è cittadino del (OMISSIS).

Si apprende dalla sentenza impugnata che egli è fuggito dal suo paese in quanto, essendo musulmano e non volendo abbracciare la religione degli idoli, che era praticata dallo zio, è stato da questi perseguitato con una magia, che gli ha procurato altresì dolore al braccio sinistro; che la persecuzione ha riguardato anche la sorella, la quale è però andata via dal villaggio in altra città ed è riuscita in tal modo a scamparvi, mentre lui che voleva rimanere a coltivare la sua terra ne ha subito l’influenza; ma poi è fuggito a sua volta.

Il Tribunale, adito a seguito del rigetto da parte della Commissione territoriale, ha ritenuto non verosimile il racconto con decisione confermata dalla corte di appello, la quale, oltre alla inverosimiglianza della narrazione ha ritenuto non sussistere in (OMISSIS) una situazione di conflitto armato ed ha escluso la protezione internazionale non avendo il ricorrente allegato situazioni di vulnerabilità e soprattutto ritenendolo capace di riprendere in patria una vita dignitosa, anche per via dei legami familiari ivi esistenti e dell’assenza di condizioni di violazione dei diritti umani.

Ricorre G. con tre motivi. Non v’è costituzione rituale del Ministero.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorso difetta del tutto dell’esposizione del fatto. Quale sia stata la vicenda che ha originato l’espatrio e che è stata posta a base della richiesta di protezione lo si ricava dalla sentenza impugnata. Nel ricorso non v’è traccia, a parte un cenno a pagina 5 dove si ricorda che il ricorrente avrebbe abbandonato il “(OMISSIS) poichè temeva per la propria incolumità in quanto lo zio gli avrebbe lanciato una maledizione ” (p. 5).

Il che non è sufficiente a ritenere adempiuto l’onere di descrivere il fatto, che deve essere riportato, si, nei suoi tratti essenziali, ma per l’appunto, essenziali a comprendere le ragioni del ricorso.

Inoltre, difetta del tutto l’esposizione del fatto processuale e soprattutto quale sia stato il giudizio di appello e quali i motivi di impugnazione che lo hanno circoscritto.

Il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Poichè il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti è inammissibile. Adde: Cass., Sez. Un. 22575 del 2019.

Il ricorso deve pertanto ritenersi inammissibile.

Ad ogni modo, i motivi di ricorso se fossero (Ndr: testo originale non comprensibile) sarebbero inammissibili e infondati comunque.

p.. – Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3 e L. n. 25 del 2008, art. 8.

Si contesta il giudizio di credibilità, fondamentalmente su due argomenti: a) aver ritenuto inverosimile il racconto per difetto di riscontri esterni, che invece è una regola di giudizio non sufficiente da sè a considerare inverosimile il racconto (p. 3); b) avere ritenuto contraddittorio o lacunoso il racconto sulla base della considerazione, ritenuta erronea, che il ricorrente non avrebbe dovuto credere alle possibilità di una maledizione o di una magia; questo argomento è ritenuto erroneo allegando a dimostrazione della diffusa credenza animistica una serie di dati tratti, per l’appunto, da pratiche animistiche in (OMISSIS) (p. 4 e ss.).

Si tratta di un motivo infondato.

Intanto, la corte di merito non ritiene inverosimile il racconto solo per l’assenza di riscontri esterni, che, anzi, non considera affatto necessari; la ratio del giudizio di inverosimiglianza dato proprio dalla genericità e contraddittorietà del racconto che viene analizzato puntualmente; la corte, in aggiunta ai motivi di inverosimiglianza, ritiene che il ricorrente non avrebbe dovuto credere alla magia, in quanto musulmano dichiarato; da questo punto di vista la censura non coglie nel segno, poichè presuppone che il ricorrente sia animista, nel momento in cui mira a dimostrare che gli animisti credono nella magia.

p..- Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 7.

Il motivo è volto ad illustrare quali, secondo l’art. 7 citato, debbano ritenersi gli atti persecutori rilevanti (p. 9-11), senza alcun riferimento però al caso concreto. Il motivo, dopo, l’esposizione astratta degli atti persecutori, finisce con l’affermazione che la Corte avrebbe apoditticamente disatteso il senso delle norme citate (p. 11).

Il motivo è inammissibile.

Non si capisce quale ratio contesti. Se è vero che è rivolto alla pronuncia sulla protezione sussidiaria non è però chiaro quale sia la contestazione mossa alla pronuncia, ed in relazione a quale ratio rilevante, salva la descrizione astratta della regola contenuta nella norma in questione.

p..- Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14.

Si tratta di una censura che riguarda, nello stesso tempo, sia la pronuncia sulla protezione sussidiaria che su quella umanitaria.

Quanto alla prima, il ricorrente contesta la decisione nel punto in cui ha escluso l’esistenza di un conflitto armato generalizzato, richiamando alcune fonti che invece deporrebbero per il contrario. La censura in parte qua è infondata.

Da un lato, la corte richiama fonti attuali ed attendibili, per altro verso quelle richiamate dal ricorrente non testimoniano, a ben vedere, l’esistenza in (OMISSIS) di un conflitto armato generalizzato, quanto piuttosto episodi singoli di terrorismo e scontri armati.

Infine, quanto alla umanitaria, a pagina 14 il ricorrente si limita a censurare la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non vi siano ragioni ostative al rimpatrio, essendo la situazione familiare e sociale favorevole, dicendo che il rimpatrio lo esporrebbe ad una rappresaglia dello zio, trascurando in tal modo la circostanza che tale evenienza è stata ritenuta impossibile dal giudice di merito nel momento in cui ha ritenuto inverosimile il racconto.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento

da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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