Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1367 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2011, (ud. 05/07/2010, dep. 21/01/2011), n.1367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – rel. Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26600/2006 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA QUINTINO

SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato BOVELACCI CAMILLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SCAVONE Angelo, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI (OMISSIS)

BOLOGNA,

MINISTRO – SEGRETARIO DI STATO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 85/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 27/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

05/07/2010 dal Presidente e Rei. Dott. MARCO PIVETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato SCAVONE ANGELO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del 1 motivo di

ricorso, l’accoglimento del 2^ e 3^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avvisi di accertamento del 1982 e 1983, l’Amm. finanziaria ha rettificato da L. 1.670.000 a L. 511.710.000, il reddito professionale quale consulente tributario del sig. S.F. per il 1982 e da L. 3 milioni e 900 mila circa a oltre 195 milioni quello del 1983.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto parzialmente il ricorso proposto dal contribuente e contro tale decisione hanno proposto appello il contribuente stesso e in via incidentale l’Amm.

Finanziaria. Entrambi gli appelli sono stati respinti dalla Commissione tributaria regionale contro la decisione della quale ha proposto ricorso il sig. S. prospettando cinque motivi di censura.

L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denunzia la violazione del D.P.R. 600 del 1973, art. 39, in ragione della tipologia di accertamento adottata. Il secondo motivo denunzia violazione dello stesso art. 39 sotto altro profilo e vizio di motivazione per avere la Commissione tributaria regionale male utilizzato come indici di reddito i movimenti del suo c/c bancario. Anche la terza censura è incentrata sull’art. 39 e sul vizio di motivazione, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto alcuno delle analitiche e documentate spiegazioni fornite a proposito delle poste del c/c bancario; il 4 e 5, infine, riguardano esclusivamente l’accertamento del 1982 ed in particolare una ripresa relativa ad una fattura che la stessa Amm. finanziaria oltre che l’autorità penale hanno ritenuto riguardare un’operazione inesistente.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 39 per avere il fisco “utilizzato una indebita commistione del metodo analitico e di quello sintetico induttivo. La censura è manifestamente infondata oltre che irrilevante. La rettifica è stata operata con specifico collegamento alle risultanze di altri atti acquisiti dall’ufficio.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto di poter trasformare versamenti bancari in operazioni di tipo reddituale. Anche tale deduzione è manifestamente infondata. Deve essere affermata l’applicabilità della presunzione anche ai professionisti e l’applicabilità della presunzione stessa, come presunzione semplice, anche prima del 1992.

Si tratta infatti di una presunzione naturale (anche se solo successivamente consacrata dalla legge): se un soggetto versa una somma sul proprio conto corrente bancario vuoi dire che ha la disponibilità di tale somma e se ha tale somma è ragionevole presumere che l’abbia guadagnata, salvo che egli non deduca e provi diverse fonti dell’introito.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce, con riferimento esclusivo all’accertamento del 1983, la violazione del medesimo art. 39 e il vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata tenuto conto delle analitiche controdeduzioni opposte a tale accertamento circa le ragioni di alcuni versamenti. Quali fossero tali controdeduzioni il ricorso non sembra dirlo, salvo quanto si dirà qui di seguito, e tale omissione appare costituire violazione del principio di autosufficienza. Dal ricorso emerge che i versamenti erano stati giustificati come proventi di prestiti ricevuti da terzi. La sentenza impugnata ha motivato al riguardo sostanzialmente ritenendo inverosimile tale spiegazione in mancanza di prove. Tali deduzioni sono state quindi disattese dalla sentenza impugnata con decisione motivata e quindi non sindacabile in cassazione. Comunque, da quanto emerge dal ricorso e dalla sentenza impugnata sembra che si trattasse di “distinte” di versamento e quindi non di prove.

Con il quarto e il quinto motivo di ricorso si deduce oltre che violazione di legge la illogicità della motivazione circa la fattura (OMISSIS) che la Commissione tributaria regionale ha ritenuto riferirsi ad operazione inesistente per quanto riguardava i costi mentre ha contabilizzato il ricavo come reddito.

Il motivo appare fondato, in quanto la lettura della sentenza impugnata non consente di comprendere l’iter seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua statuizione ed in particolare non consente di comprendere quali siano i fatti che la Commissione tributaria regionale abbia ritenuto accertati.

P.Q.M.

– rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso;

– accoglie il quarto e il quinto e per l’affetto cassa la sentenza impugnata in relazione ai due suddetti motivi e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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