Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13665 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. I, 04/06/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 04/06/2010), n.13665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

V.U., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, cron. n. 2425/07,

del 4 maggio 2007, nella causa iscritta al n. 3317/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18 febbraio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona dell’avvocato

generale, Dott. IANNELLI Domenico, che nulla ha osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“IL CONSIGLIERE RELATORE;

letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. V.U. ha proposto ricorso per Cassazione avverso il decreto in data 4 maggio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 3.429,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso in data 13 settembre 2000 e non ancora definito;

1.1. la Presidenza intimata ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 3.429,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di tre anni e cinque mesi a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 1.000,00 per anno di ritardo;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

3.2. l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, effettuata in misura insufficiente (secondo e terzo motivo);

3.3. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e senza motivazione, del bonus di Euro 2,000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto lavoro (quarto, quinto e sesto motivo);

3.4. l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, rispetto alle tariffe professionali vigenti e con erronea applicazione di quelle riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo la nota spese depositata, (motivi da sette a tredici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. il secondo e il terzo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000,00 e i 1500,00 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU;

4.2. il quarto, il quinto e il sesto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. appaiono manifestamente infondate anche le complessive censure di cui al punto 3.4., atteso che parte ricorrente ha dedotto ma non dimostrato che la Corte di merito abbia applicato le tariffe professionali dovute per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè quelle previste per il giudizio di cognizione; inoltre parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325; 2006/9082), nè ha dimostrato specificamente l’attribuzione di importi inferiori ai minimi inderogabili (Cass. 2007/5318), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati ai punti 4, 4.1., 4.2. e 4.3.

si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”.

B) osservato che, a seguito della discussione tenuta nella camera di consiglio, il collegio, rilevato che la Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto difese, ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione per quanto concerne l’inammissibilità del primo motivo del ricorso principale, la manifesta infondatezza dei motivi da due a sei, mentre ha ravvisato la manifesta fondatezza delle censure mosse nei motivi da a tredici limitatamente alla illegittima applicazione delle tariffe professionali dovute per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè di quelle previste per il giudizio di cognizione, con conseguente liquidazione dei compensi in misura inferiore agli importi tariffali inderogabili, restando assorbite le ulteriori censure sollevate dal ricorrente in ordine alla liquidazione delle spese processuali; che pertanto, in base alle considerazioni che precedono, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso, vanno respinti i motivi da due a sei ed accolti, nei termini sopra precisati, i motivi da sette a tredici, con la conseguenza che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alla censura accolta;

B1) ritenuto che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di V.U. delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione in favore del procuratore del ricorrente dichiaratosi antistatario;

ritenuto altresì che le spese del giudizio di cassazione – da liquidarsi come in dispositivo con compensazione nella misura dei due terzi, atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso e limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito – vanno poste a carico della Presidenza soccombente, con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; respinge i motivi da due a sei e accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da sette a tredici. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, compensate per due terzi, che si liquidano per l’intero in Euro in Euro 330,00, di cui Euro 230,00 per onorari, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

 

 

 

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