Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13662 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 19/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 19/05/2021), n.13662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1410-2020 proposto da:

A.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE

STROZZI, 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PADOVA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2225/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2019 R.G.N. 1942/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 30 maggio 2019, ha respinto l’appello proposto da A.Q., cittadina della (OMISSIS), avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. di rigetto della domanda di protezione internazionale e complementare;

1.1. dal provvedimento impugnato si evince che l’ A. aveva dichiarato di essere stata violentata nell’anno (OMISSIS) e di essere stata allontanata dalla famiglia di origine in quanto intenzionata a tenere il figlio frutto della violenza subita, di avere trovato ospitalità presso una donna conosciuta al mercato, deceduta nell’anno successivo; il fratello della benefattrice, che la aveva avvicinata già nell’anno 2009 e si era quindi ripresentato nell’anno 2013, le aveva offerto aiuto e proposto di accompagnarla in Libia, dove, tuttavia, anzichè aiutarla la aveva indotta alla prostituzione; riuscita a scappare dal campo in cui era stata rinchiusa, con l’aiuto di un uomo arabo era arrivata in Italia;

1.2. la Corte di merito ha ritenuto poco credibile il racconto della richiedente per la genericità e implausibilità delle circostanze riferite ed evidenziato che l’appellante si era limitata a riprodurre pedissequamente le ragioni del ricorso in opposizione senza censurare alcuno dei passaggi motivazionali dell’ordinanza appellata, alla quale aveva contrapposto la propria versione dei fatti, senza fornire plausibili risposte ai dubbi della Commissione territoriale e del giudice di prime cure sulla credibilità del racconto. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di merito ha escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè, stante l’assenza del pericolo di vita e la non credibilità della intera narrazione, dei presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) ed evidenziato che la ricorrente non aveva mai fatto riferimento al rischio di essere sottoposta alla pena capitale e che non sussistevano elementi tali da far desumere, in caso di rientro in patria, la sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti da parte dell’autorità; in ogni caso quanto avvenuto in Libia non poteva essere valorizzato al fine della protezione sussidiaria; quanto all’ipotesi di cui all’art. 14, lett. C D.Lgs. cit. ha osservato che le fonti consultate escludevano la esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – tale da comportare una situazione di indiscriminata violenza che potesse coinvolgere la ricorrente, proveniente dal (OMISSIS); quanto alla protezione umanitaria la Corte di merito ha escluso la possibilità di valorizzare a tal fine le condizioni di instabilità politica del Paese, i fatti relativi al periodo trascorso in Libia e l’eventuale inserimento in Italia;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.Q. sulla base di quattro motivi. Ha in via pregiudiziale proposto questione di legittimità costituzionale della L. 9 agosto 2013, n. 98, artt. 62-72, di conversione con modificazioni del D.L. n. 69 del 2013, riguardante l’istituzione dei giudici ausiliari delle Corti d’appello – in relazione agli artt. 3,25 Cost., art. 102 Cost., comma 1, art. 106 Cost., comma 2 e art. 111 Cost.; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del diritto ad essere giudicato dal giudice naturale precostituito per legge e difetto di costituzione del giudice; violazione degli artt. 25 e 102 Cost., dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110 richiamando i profili di incostituzionalità prospettati da questa Corte con le ordinanze di rimessione n. 32032/2019 e n. 32033/2019;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione o falsa interpretazione di legge nella valutazione delle dichiarazioni della ricorrente per omessa collaborazione nell’accertamento dei fatti violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e art. 5, e art. 8, lett. d) violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis, e art. 35 bis, n. 9, nonchè del D.L. n. 416 del 1989, art. 1, comma 5;

2.1. premesso che il racconto narrato dalla ricorrente si collocava in una vicenda di tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale, che era notorio che il tragitto dalla (OMISSIS) del Sud alla Libia, con la traversata del deserto del Sahara, non poteva essere affrontato da sola da una ragazza, la quale giocoforza doveva affidarsi più o meno ingenuamente ad organizzazioni criminali dedite alla tratta a fini sessuali, che in Libia le ragazze non hanno possibilità di rivolgersi all’autorità pubblica, che era altresì nota la difficoltà delle vittime di tratta a raccontare le violenze subite sia per il trauma in sè che per gli ordinari meccanismi di rimozione o per vergogna o minacce, evidenzia che in tali vicende la reticenza è la regola; richiamate le linee guida ministeriali per la identificazione della vittima di tratta si duole che la Corte di merito non avesse ritenuto di sottoporre la richiedente ad una valutazione di carattere psicologico; in questa prospettiva assume che in assenza di qualsiasi approfondimento, diretto o tramite servizi specializzati e figure professionali competenti come quelle di cui si avvale il servizio antitratta nazionale la sentenza impugnata risultava frutto della violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria; censura, inoltre, l’affermazione della Corte di merito che aveva qualificato la vicenda come attinente alla sfera privata, ulteriormente affermando la irrilevanza di eventuali violenze o abusi subiti in Libia; ciò in contrasto con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. d) alla stregua del quale la tratta delle donne configura atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per apparenza di motivazione in relazione al rigetto della domanda di protezione umanitaria;

4. con il quarto motivo deduce errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 9, per omessa o comunque incompleta indicazione delle fonti COI rispetto alla situazione di generale insicurezza della (OMISSIS);

5. con il quinto motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti;

6. il secondo motivo di ricorso è meritevole di accoglimento e tanto assorbe l’esame degli ulteriori motivi; la cassazione con rinvio conseguente all’accoglimento rende irrilevante la questione di costituzionalità prospettata in relazione alla questione dedotta con il primo motivo;

6.1. si premette che in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere affidata alla mera opinione del giudice ma deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 2956/2020, n. 19716/2018n. 26921/2017); solo all’esito di un esame effettuato nel modo anzidetto, le dichiarazioni del richiedente possono essere considerate inattendibili e come tali non meritevoli di approfondimento istruttorio officioso, salvo restando che ciò vale soltanto per il racconto che concerne la vicenda personale dei richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma non per l’accertamento dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui all’art. 14 cit., lett. c – la quale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico nella violenza indiscriminata ivi contemplata, a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale – neppure può valere ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. tra le altre, Cass. n. 2960/2020, n. 2956/2020, n. 10922/2019);

6.2. solo a condizione che la suddetta valutazione – sulla sussistenza o meno della credibilità soggettiva – risulti essere stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità della legge, essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: n. 3340/2019);

6.3. nel caso di specie non è revocabile in dubbio che la vicenda narrata dalla richiedente evoca nel suo nucleo centrale uno scenario di possibile tratta finalizzata alla prostituzione ed alla luce di tale specifico contesto doveva essere verificata la complessiva attendibilità del racconto della richiedente, in particolare in relazione ai possibili profili di reticenza, incongruenza, carenza di elementi destinati a meglio circostanziare gli aspetti del narrato, eventualmente avvalendosi, in conformità al principio di cooperazione istruttoria, dell’ausilio di esperti per la ricostruzione del profilo psicologico; in altri termini, il giudice di merito, ai fini della valutazione di credibilità, non poteva prescindere dal quadro indiziario che emergeva dal racconto della richiedente ed in questa prospettiva dovevano essere apprezzate le incongruità e contraddizioni emerse; come già osservato da questa Corte in fattispecie analoga, occorreva che il giudice di merito tenesse conto della particolare condizione di vulnerabilità della vittima, o potenziale vittima, di tratta, “la quale si esprime innanzitutto nella difficoltà di riferire, di fronte ad estranei, una storia che è evidentemente incentrata su vicende assolutamente personali, sulle quali – soprattutto in determinati ambiti culturali – può esservi un particolare riserbo, fino alla vera e propria ritrosia a fornire i dettagli del proprio vissuto. In questo senso, la modifica di alcuni elementi del racconto della vittima può ritenersi consustanziale al senso di insicurezza, alla vergogna provata dalla richiedente, alla disistima personale ed alla mancanza di fiducia negli altri causata da quanto subito, alla difficoltà di relazionarsi – su vicende profondamente personali – con persone sconosciute che mai sono state incontrate prima (Cass. 2464/2021);

6.5. in base alle considerazioni che precedono si impone, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la cassazione della decisione con rinvio ad altro giudice per la rivalutazione della domanda di protezione alla luce del principio richiamato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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