Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13660 del 05/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/07/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 05/07/2016), n.13660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SEONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26112/2011 proposto da:

M.A. (OMISSIS), M.M.

(OMISSIS), M.G. (OMISSIS),

M.F. (OMISSIS), M.G.

(OMISSIS), MI.FL. (OMISSIS), C.

R. (OMISSIS), M.S. (OMISSIS),

m.f. (OMISSIS), m.g.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 19, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO RESTUCCIA,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO SURIA;

– ricorrenti –

contro

CO.AL. (OMISSIS), CO.MI.

(OMISSIS) e c.j. (OMISSIS) eredi di

CO.AN., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA LEPETIT

110, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA MILLEMACI,

rappresentate e difese dall’avvocato TEOBALDO MILLEMACI;

– c/ricorrenti e ric. incidentali –

contro

P.M. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE TOSCANO;

– c/ricorrente e ric. incidentale –

contro

CA.NI. (OMISSIS), c.f.

(OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato ANTONIO URZI’ BRANCATI;

F.F. (OMISSIS), ca.st.

(OMISSIS), ca.cl. (OMISSIS),

domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANTONIO URZI’ BRANCATI;

N.M.V., Amministratore pro tempore del CONDOMINIO

(OMISSIS) c.f.

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANASTASIO II

n. 130, presso lo studio dell’avvocato CHIARA SCIGLIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO DE LORENZO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 579/2010 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato RICCARDO RESTUCCIA, con delega dell’Avvocato

FRANCESCO SURIA che ha chiesto l’accoglimento delle difese in atti

ed il rigetto delle difese avversarie;

udito l’Avvocato FRANCESCO DE LORENZO, difensore del

controricorrente Sig. N., che ha chiesto il rigetto delle

difese di controparte;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Mi.Gi., Fl., A., S.R., G., Gr., Fl., A. fu S., gi., A. fu P. e G. fu G. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Messina Co.

A., l’amministratore del Condominio di (OMISSIS), isolato 250, P.M., i coniugi ca.co. e F.F., i coniugi Ca.Ni. e c. f., deducendo che con contratto del 9 gennaio 1970 gli attori e Mi.Sa., dante causa di Mi.Fl., Gr. e A., avevano trasferito al predetto Co.

l’area di circa 240 mq ricadente nel 5^ comparto dell’isolato 250 risultante dalla demolizione di vetusti fabbricati sita in (OMISSIS). Nell’atto di compravendita era precisato che l’area ceduta era edificabile e che il compratore si obbligava a realizzare sulla predetta area un fabbricato secondo il progetto redatto da un professionista e approvato dal Genio civile di Messina l’11 settembre 1969, oltre che a preservare un sottopassaggio, con la relativa rampa, che consentisse l’accesso dalla (OMISSIS) allo spazio di isolamento del 5^ comparto: sottopassaggio e rampa su cui avevano diritto di passaggio i proprietari del 5^ comparto. Era esposto della citazione che il convenuto Co. non si era attenuto al progetto approvato l’11 settembre 1969, realizzando delle opere sullo spazio di isolamento comune non autorizzate dagli attori.

In particolare, per quanto ancora rileva nella presente sede, il predetto convenuto aveva effettuato l’allaccio della fognatura al pozzo di raccolta del fabbricato di proprietà dei M.; aveva realizzato nello spazio di isolamento dei posti macchina trasferiti ai coniugi ca. e F., alla signora P. e ai coniugi Ca. e Ca.; aveva realizzato sotto la rampa di accesso allo spazio di isolamento due vani; aveva edificato nel cortile comune dei comparti 4^, 5^ e 6^ del predetto isolato 250 dei vani difformi dal progetto approvato. I convenuti, poi, utilizzavano lo spazio di isolamento per parcheggiare le loro auto, dopo aver sostituito la chiave del cancello d’ingresso.

Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale di Messina riconosceva il diritto di comproprietà degli attori nello spazio di isolamento del 5^ comparto, compresa la rampa di accesso, nonchè il diritto di servitù di passaggio per accedere a detta area; condannava il Condominio a consegnare a ciascuno degli attori copia delle chiavi del cancello di accesso allo spazio in questione; accertava, poi, la comproprietà dei locali sotto la rampa di accesso, i quali erano utilizzati solo da Co. e dal Condominio; condannava i convenuti alla rimozione del collegamento dei loro scarichi con il pozzetto di parte attrice.

Interposto gravame, la pronuncia era riformata dalla Corte di appello di Messina con sentenza depositata il 23 novembre 2010. Il giudice dell’impugnazione escludeva il diritto di proprietà dei M. sulla rampa, riconoscendo che su di essa gli attori avevano solamente un diritto di servitù di passaggio; accertava che i locali realizzati sotto la rampa erano di proprietà esclusiva del costruttore Co., dichiarava legittimo l’allaccio degli scarichi fognari del condominio al pozzetto posto all’interno dello spazio di isolamento; dichiarava il diritto del condominio e dei suoi aventi causa all’utilizzo dello spazio di isolamento per la collocazione dei posti macchina nella parte in cui era stato realizzato l’edificio condominiale; rigettava la richiesta del Condominio quanto allo sgombero dello spazio di isolamento, oltre che la domanda proposta da F.F. e diretta sia all’accertamento dell’inesistenza del diritto degli attori a parcheggiare in detta area, che alla condanna degli stessi al pagamento di un’indennità;

dichiarava legittima la realizzazione dei locali nel sottosuolo del cortile comune ai comparti 4^, 5^ e 6^; dichiarava legittima l’edificazione, da parte dei M., della rampa che consentiva l’accesso allo spazio di isolamento comune da altro comparto.

Questa sentenza è stata impugnata per cassazione da M. A., M., G., F., Gr., Fl., nata nel (OMISSIS), S., f., nata nel (OMISSIS), g. e C.R., con ricorso affidato a quattro motivi.

Resistono con cinque distinti controricorsi: Co.Al. e Mi., nonchè c.j., che hanno proposto impugnazione incidentale basata su un unico motivo; Ca.Ni. e c. f.; F.F., ca.st. e c. c.; N.M.V., amministratore del Condominio di (OMISSIS), isolato 250; P.M., che ha svolto ricorso incidentale fondato su tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 922, 934, 1102 e 1108 c.c., nonchè omessa e insufficiente motivazione. Rilevano, in particolare, che i vani realizzati sotto la rampa appartenevano, per accessione, ai comproprietari dello spazio di isolamento, tra cui erano ricompresi essi istanti. In conseguenza, Co. non era legittimato ad alienare a terzi i locali in questione: infatti, l’art. 1108 c.c. esige che gli atti di trasferimento siano posti in essere col consenso di tutti i partecipanti alla comunione.

Il motivo non è fondato.

La corte di appello, sul punto, ha valorizzato la circostanza per cui nell’atto di compravendita del 6 gennaio 1970 tra gli attori e Co. era stato precisato che i proprietari del 5^ comparto “hanno il diritto di passaggio attraverso il sottopassaggio e la relativa rampa”. Ha evidenziato, in proposito, che l’assunto della comproprietà della rampa trovava smentita nel fatto che il predetto contratto contemplava, con riferimento ad essa, un semplice diritto di passaggio da parte dei venditori e ha tratto conferma della spettanza di loro diritto di servitù da una dichiarazione del 4 agosto 1973 di Mi.Sa., dante causa di M. F., Mi.Gr., C.R. e C. S..

Tale interpretazione del contratto di compravendita non è stata specificamente censurata, nè per violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., nè per l’insufficiente o illogica motivazione spesa dalla corte di merito con riguardo alla ricostruzione della volontà negoziale espressa dai contraenti (essendo noto che il sindacato di legittimità, in tema di interpretazione del contratto, non investe il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta: per tutte, Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465).

In tal modo, la censura mostra di non cogliere la ratio decidendi della pronuncia. Se è vero, infatti, che ogni costruzione sopra il suolo appartiene al proprietario di questo, è altrettanto vero che la regola non opera ove diversamente sia disposto dal titolo (art. 934 c.c.). E nella fattispecie la corte distrettuale ha spiegato che il contratto di compravendita del 1970 aveva programmato la cessione della rampa all’acquirente, sicchè i locali costruiti sotto di essa – che ne costituivano, cioè, parte integrante – dovevano ritenersi nella proprietà esclusiva di quest’ultimo soggetto.

Col secondo motivo di ricorso è lamentata violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 1031 e 1032 c.c., oltre che omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La censura investe la decisione assunta dalla corte di merito con riferimento alla ritenuta legittimità dell’allaccio degli scarichi fognari al pozzetto di raccolta dell’edificio dei M.. E’ sottolineato, in proposito, che il consulente tecnico non aveva affermato la necessità dell’allaccio e che i M. si erano bensì impegnati a non frapporre ostacoli alla realizzazione del fabbricato, ma ciò con riferimento al progetto già approvato dal 1969, cui faceva riferimento il contratto di compravendita: progetto che non prevedeva il collegamento fognario con il pozzetto dei ricorrenti.

Nemmeno sul punto la sentenza merita cassazione.

Ha rilevato la corte di Messina che nel contratto di compravendita la parte venditrice si era impegnata a “non frapporre alcun ostacolo di qualunque specie alla realizzazione del progetto” del fabbricato dell’acquirente Co.; ha poi evidenziato che il C.T.U. aveva accertato che l’allaccio poteva essere realizzato solo col collegamento all’impianto di scarico degli attori; ha infine osservato che non era stato contestato l’assunto del Condominio secondo cui più volte lo stesso aveva contribuito alle spese di manutenzione dell’impianto.

senso di quest’ultima proposizione è che la contribuzione, da parte del Condominio controricorrente, all’attività manutentiva fosse indice del consenso prestato dai proprietari del fabbricato dei M. all’allaccio che era stato realizzato.

Tale ratio decidendi, che vale di per sè a sorreggere la decisione, non è stata specificamente impugnata: il che preclude l’esame delle altre censure. Se infatti la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (per tutte: Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 20 novembre 2009, n. 24540).

Si osserva, per completezza, che la deduzione dei ricorrenti –

secondo cui l’impegno a non frapporre ostacoli alla realizzazione del fabbricato riguardava un progetto approvato nel 1969, che non contemplava l’allaccio all’impianto fognario di proprietà M. – risulta carente in punto di autosufficienza, essendo mancata la riproduzione, nel corpo del ricorso, sia della parte del contratto che faceva riferimento al progetto, sia degli elementi di questo da cui desumere quanto affermato dagli istanti. Infatti, il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 9 aprile 2013, n. 8569).

Il terzo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 1102 e 1108 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. I ricorrenti assumono il diritto di godimento della cosa comune ex art. 1102 c.c., con particolare riguardo ai posti auto realizzati nello spazio di isolamento da Co. e alienati ad alcuni dei controricorrenti. Il predetto Co., nella qualità di comproprietario dell’area, non poteva infatti creare un diritto di proprietà esclusiva a discapito degli altri comunisti. E’ inoltre esposto che la variante del progetto, nel collocare l’area di parcheggio nello spazio di isolamento, aveva sottratto alla funzione di posteggio il piano seminterrato, che invece avrebbe dovuto essere adibito a tale destinazione, mentre, in fatto, era stato asservito ad altri scopi.

Col primo motivo di ricorso incidentale P.M., lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1031 e 1470 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata rilevando che andava riconosciuto il diritto degli acquirenti di Co. a riservare a parcheggio l’intera area dello spazio di isolamento. Sostiene che la corte messinese, avendo correttamente affermato la costituzione, per destinazione d’uso, dell’area in questione, aveva impropriamente limitato il diritto a parcheggio nella parte adiacente alla costruzione, e ciò per una superficie di soli mq. 137,55.

I due motivi possono esaminarsi contestualmente, investendo da angolazioni differenti la medesima questione della destinazione a parcheggio dello spazio di isolamento.

La corte di merito ha osservato, in proposito, che la compravendita del 9 gennaio 1970 aveva ad oggetto anche lo spazio di isolamento e che dal contratto di compravendita e dal progetto emergeva l’asservimento dell’area a parcheggio dello spazio di isolamento del 5^ comparto per una superficie determinata dal C.T.U. in mq 137,55;

ha inoltre richiamato l’impegno della parte venditrice a non ostacolare in alcun modo la realizzazione del progetto; ha osservato, infine, che non vi era prova che i M. avessero occupato area diversa rispetto a quella di cui i medesimi erano rimasti comproprietari (evenienza, questa, specificamente rilevante avendo riguardo al motivo di ricorso incidentale).

Orbene, poggia su di un accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede, l’affermazione della Corte di appello di Messina secondo cui la vendita comprendeva anche lo spazio di isolamento in cui dovevano essere realizzati i parcheggi che poi Co. vendette.

Anche in questo caso, per aggredire la decisione resa sul punto dalla sentenza impugnata avrebbero dovuto formularsi censure in punto di violazione delle regole ermeneutiche o di incongruità motivazione nell’accertamento della volontà negoziale.

Quanto dedotto con riferimento al progetto in variante è poi, oltre che privo di chiarezza, sprovvisto della necessaria autosufficienza.

In punto di fatto la corte di Messina ha accertato che l’asservimento riguardava lo spazio di isolamento, oggetto di cessione, per l’area di mq 137,55, secondo quanto verificato in sede di consulenza tecnica: su questa base – ritenuto che la parte acquirente si era obbligata a non frapporre ostacoli alla realizzazione del progetto, lo stesso giudice del gravame ha ritenuto infondata la pretesa dei M.. Non è riprodotta, nel corpo del ricorso, alcuna puntuale indicazione che sconfessi il dato della destinazione a parcheggio dell’area in questione, e tanto basta per disattendere i rilievi svolti da parte ricorrente al riguardo.

Allo stesso modo, non appare sindacabile, in quanto involge un riesame delle risultanze peritali, l’affermazione della corte siciliana secondo cui l’area asservita oggetto di cessione fosse pari a quella rilevata dalla consulenza tecnica: onde deve disattendersi anche la censura articolata dalla controricorrente P..

I due motivi risultano essere dunque infondati.

Col quarto motivo di ricorso è lamentata violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 934, 936 e 1108 c.c., nonchè omessa e insufficiente motivazione. Ad essere censurata con tale motivo è l’affermata liceità dell’attività costruttiva posta in essere da Co. nel sottosuolo del cortile comune ai comparti 4^, 5^ e 6^.

E’ precisato dagli istanti che col contratto di compravendita del 1970 i M. si erano spogliati di un’area di loro proprietà di circa 340 mq. ricadente nel 5^ comparto e avevano ceduto anche la quota di comproprietà ad essi spettante sul cortile comune ai comparti 4^, 5^ e 6^, nel cui sottosuolo erano stati poi realizzati i vani contestati. Si sostiene che i M. erano rimasti proprietari di altra parte del 5^ comparto, e cioè di quella non ceduta, su cui insisteva il loro edificio: rimanendo essi proprietari di detta area, risultavano tuttora comproprietari del cortile comune.

La censura non può trovare accoglimento.

Secondo la Corte di appello di Messina i M. avevano ceduto a Co. la quota di loro pertinenza del detto cortile: pertanto i detti locali non erano stati costruiti su area dei ricorrenti.

Tale accertamento non è intaccato dal motivo di ricorso in esame, dal momento che esso si fonda su una lettura del testo contrattuale che per essere censurata sul versante del vizio motivazionale avrebbe dovuto essere preceduta da una rappresentazione puntuale del contenuto della pattuizione che qui interessa: pattuizione che invece è richiamata in modo generico, senza alcuna indicazione della parte del documento in cui essa sarebbe contenuta. Quando il ricorrente censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. 6 febbraio 2007, n. 2560; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461; cfr. pure ad es.: Cass. 15 novembre 2013, n. 25728; Cass. 4 giugno 2010, n. 13587).

Col secondo motivo di ricorso incidentale P.M. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1108 c.c., nonchè omessa e insufficiente motivazione. Rileva che la corte di appello aveva ritenuto legittima l’edificazione di una rampa di accesso al 6^ comparto, posta in essere dai M. nello spazio comune. Ad essere censurate sono le affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, secondo cui la costruzione era stata per un verso regolarmente autorizzata, senza indicare da chi, e, per altro verso, portata a compimento prima della vendita: laddove, con riferimento a quest’ultimo profilo, nel contratto di compravendita non si faceva alcuna menzione della rampa, nemmeno indicata nella planimetria allegata al contratto stesso.

L’argomento basato sulla preesistenza della rampa al contratto è in sè idoneo a sorreggere la decisione assunta sul punto dalla corte messinese. Ciò detto, il giudice dell’impugnazione ha spiegato la ragione per la quale ha ritenuto non dirimente la mancata menzione, nel contratto, della rampa in questione: ha infatti precisato che l’esistenza della stessa ineriva a una situazione di fatto oramai consolidata, con ciò volendo affermare che non vi era necessità di nominarla proprio in quanto essa era, all’epoca, parte integrante dell’area compravenduta. Il profilo della dedotta mancata indicazione della predetta rampa all’interno del progetto presenta carattere di novità, dal momento che la sentenza impugnata non ne fa menzione e la ricorrente incidentale non chiarisce, nel proprio controricorso, quando, nel precorso giudizio di merito, la questione fu prospettata.

Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

Il terzo motivo di ricorso incidentale della controricorrente P. investe la statuizione sulle spese e censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè per omessa e insufficiente motivazione. La corte di appello – secondo quanto denunciato – aveva infatti totalmente omesso di pronunciarsi sulle spese sostenute dalla ricorrente. I M., siccome soccombenti, dovevano essere condannati al rimborso delle spese processuali.

Nella motivazione della sentenza impugnata si legge che le spese del primo grado andavano compensate per l’intero, mentre quelle della fase di gravame andavano compensate per due terzi e che la frazione residua doveva essere posta a carico degli appellati M. in favore degli appellanti. Tra questi, nell’epigrafe della sentenza, non è menzionata P.M., la quale, oltre ad essere appellata, aveva pure svolto appello incidentale contro la sentenza del Tribunale di Messina. Nel dispositivo manca, poi, alcuna statuizione che riguardi la predetta P..

La censura è pertanto fondata.

Poichè in ipotesi di omessa pronuncia sul capo relativo alle spese non può farsi luogo all’applicazione dell’art. 384 c.p.c. (Cass. 1 ottobre 2002, n. 14075; Cass. 27 agosto 2003, n. 12543), essendo oltretutto riservata al giudice del merito la valutazione circa una eventuale compensazione totale o parziale delle predette spese, si impone sul punto la cassazione con rinvio.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale Co.Al., Co.Mi. e C.J. lamentano la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., rilevando la soccombenza dei ricorrenti nei due gradi di merito; si afferma che i predetti andavano condannati al rimborso delle spese processuali.

La censura, per come posta, investe la decisione della corte di merito circa l’attuata compensazione, totale (in primo grado) e parziale (in appello).

Essa non ha fondamento.

In tema di spese processuali, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in di sede legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa), o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (ex plurimis:

Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 14 aprile 2000, n. 4818; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1485; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542). In particolare, poichè il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti commessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317).

In conclusione, va respinto il ricorso principale, va accolto il ricorso incidentale di P.M., con riferimento al solo terzo motivo, e rigettato quello incidentale di Co.Al., Co.Mi. e c.j..

La sentenza, con riferimento al motivo accolto è cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità tra i ricorrenti e P.M..

La sorte delle spese del presente giudizio seguono invece la soccombenza tra i ricorrenti e gli altri controricorrenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale di Co.

A., Co.Mi. e c.j.; accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale di P.M., rinviando ad altra sezione della Corte di appello di Messina anche per le spese del giudizio di legittimità, e rigetta gli altri; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nei confronti di Co.

A., Co.Mi. e c.j., di F.F., ca.st. e ca.cl., di Ca.Ni. e c.f. e di N.M.V., liquidandole, per ciascun gruppo di tali controricorrenti, unitariamente costituiti in giudizio, in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2016

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