Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13658 del 30/05/2017

Cassazione civile, sez. II, 30/05/2017, (ud. 28/04/2017, dep.30/05/2017),  n. 13658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6035-2016 proposto da:

G.G., G.P., G.D., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI, 123, presso lo studio

dell’avvocato MARIA CUOZZO, rappresentati e difesi dall’avvocato

BRUNO FORTE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il Decreto n. 32/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositato il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

G.G., G.P. e G.D., in proprio e quali eredi di R.A., hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso il Decreto della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 32/2015, depositato il 02/02/2015, che ha rigettato la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, proposta dai ricorrenti nei confronti del Ministero della Giustizia, relativa ad un giudizio civile di scioglimento di comunione ereditaria promosso nel 1995 davanti al Tribunale di Avezzano, tuttora pendente.

Non ha svolto attività difensive l’intimato Ministero della Giustizia.

Questa Corte, con sentenza n. 21411 del 17 ottobre 2011, aveva cassato il decreto della Corte d’appello di Campobasso del 16 febbraio 2009, che aveva già respinto la domanda di equa riparazione formulata da D., G. e G.P. con ricorso del 12 febbraio 2008, iure proprio e iure ereditario, quali successori di R.A., deceduta il 15 giugno 1997. In quel primo provvedimento negativo, la Corte d’Appello aveva spiegato che, essendo deceduta la R. dopo meno di due anni e mezzo di causa, non era maturato a quella data alcun diritto all’equa riparazione trasmissibile agli eredi, mentre questi ultimi non avevano dato prova di essersi poi ritualmente costituiti nel giudizio presupposto con apposita comparsa depositata in cancelleria o in udienza, sebbene a partire dal 17 febbraio 2002 risultasse la presenza in udienza di un loro procuratore.

Proposto ricorso da D., G. e G.P., la Corte di cassazione, nella sentenza n. 21411 del 17 ottobre 2011, richiamato il quadro codicistico in tema di interruzione, prosecuzione o riassunzione del giudizio in conseguenza della morte della parte, osservava come certamente i ricorrenti non avessero fornito la prova della loro tempestiva e rituale costituzione in giudizio (essendo gli stessi onerati di dimostrare la loro posizione nel giudizio presupposto), pur essendo stata, però, accertata la presenza in giudizio dal 2002 di un loro difensore ed avendo gli stessi richiesto che venissero effettuate le opportune ricerche di cancelleria. A tal fine, la Corte di cassazione affidava al giudice di rinvio, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 738 c.p.c., di assumere informazioni o di svolgere ricerche presso gli uffici di cancelleria, o di acquisire gli atti del processo presupposto, in maniera da verificare l’avvenuta formale costituzione di D., G. e G.P. nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Avezzano.

La Corte d’Appello di Campobasso, giudice di rinvio, ha dato atto di aver richiesto alla cancelleria del Tribunale di Avezzano, con ordinanza del 25 ottobre 2013, la copia integrale autentica del fascicolo d’ufficio e del fascicolo di parte, con le relative comparse o memorie difensive, di D., G. e G.P. Il Decreto del 2 maggio 2015, qui impugnato, afferma poi che all’udienza del 19 febbraio 2002, relativa al giudizio presupposto, era comparso “per gli eredi di R.A.”, impersonalmente indicati, l’avvocato Eleuterio Simonelli, il quale, all’udienza del 15 ottobre 2002, aveva dichiarato di rinunciare “al mandato ricevuto dai Sigg.ri G.D., G.P. e G.G.”. Sempre all’udienza del 15 ottobre 2022, come accertato dal giudice di rinvio, comparve l’avvocato Andrea Tinarelli, che dichiarò di “aver, ieri, ricevuto incarico dai predetti…. G.” e chiese un “breve differimento per costituirsi”. L’avvocato Tinarelli comparve quindi nuovamente all’udienza del 26 ottobre 2004. Nell’intestazione della sentenza non definitiva del Tribunale di Avezzano n. 622/2007 si indicarono, peraltro, D., G. e G.P. come rappresentati dall’avvocato Andrea Tinarelli “in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione”. Il giudice di rinvio, non di meno, ha concluso che gli atti trasmessi dalla cancelleria del Tribunale di Avezzano non contenessero nè memoria nè procura tali da far ritenere ritualmente costituiti i G. nel processo presupposto, mediante i difensori avvocati Simonelli o Tinarelli, ed il difetto di prova di tale costituzione è stato ritenuto dalla Corte di Campobasso preclusivo di un accoglimento della domanda di equa riparazione, non potendosi determinare il periodo di durata non ragionevole indennizzabile in favore degli attuali ricorrenti.

Il primo motivo di ricorso, che si sviluppa da pagina 17 a pagina 29 dello stesso, denuncia la violazione e la falsa o mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 737, 738, 115 e 116 c.p.c., artt. 36 e 72 disp. att. c.p.c., art. 2697, 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., 6.p.1 e 13 CEDU, nonchè la contraddittorietà della motivazione, imputando all’impugnato decreto del giudice di rinvio di aver erroneamente attribuito alla formale costituzione in giudizio dei signori D., G. e G.P. il presupposto legittimante al conseguimento dell’indennizzo per l’equa riparazione, di aver negato valenza probatoria ai verbali di udienza ed agli atti del processo presupposto che confermavano la loro costituzione e di aver addebitato agli stessi ricorrenti la mancata custodia dei fascicoli non rivenuti.

Il secondo motivo di ricorso censura poi l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto alla prova della costituzione in giudizio di D., G. e G.P. davanti al Tribunale di Avezzano, ritraibile dai verbali delle udienze del 19 febbraio 2002, del 15 ottobre 2002, del 28 maggio 2002, del 26 ottobre 2004, nonchè di successive udienze, dall’avversa comparsa conclusionale (che menziona l’avvocato Tinarelli come procuratore dei signori G.) e dall’intestazione della sentenza del 22 luglio 2007.

I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione e si rivelano infondati.

Questa Corte ha più volte, ed assai di recente, espresso un orientamento del tutto prevalente, al quale il collegio indende dare continuità, secondo cui, qualora la parte del giudizio civile presupposto sia deceduta, l’erede ha diritto all’indennizzo “iure proprio” solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria rituale costituzione, la quale – come confermato dalla CEDU, con sentenza del 18 giugno 2013, “Fazio ed altri c. Italia” – è condizione essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo, atteso che, nel processo civile, in ipotesi di morte della parte originaria, stante la regolamentazione di tale evento prevista nell’art. 300 c.p.c., non assume altrimenti rilievo la continuità delle rispettive posizioni processuali tra dante ed aventi causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., se non dal momento, appunto, dell’effettiva costituzione degli eredi conseguente al decesso del primo. Pertanto, per il riconoscimento dell’indennizzo iure proprio occorre accertare il superamento della predetta durata ragionevole, e dunque individuare il giorno in cui, con la costituzione in giudizio, gli eredi abbiano assunto a loro volta la qualità formale di parti, in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU, e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione. Non è perciò corretto, a tal fine, equiparare la posizione dell’erede, che non si sia costituito in luogo della parte deceduta prima della conclusione del processo presupposto, a quella del contumace originario (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 08/02/2017, n. 3387; Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2017, n. 3001; Cass. Sez. 6 – 2, 24/01/2017, n. 1785; Cass. Sez. 6 – 2, 20/11/2014, n. 24771; Cass. Sez. 2, 19/02/2014, n. 4003). Alla luce di tali premesse interpretative, incombeva certamente su D., G. e G.P., che hanno agito per conseguire (anche) iure proprio l’indennità ex L. n. 89 del 2001, l’onere di allegazione e di dimostrazione circa la data dell’acquisizione della formale posizione di parti nel processo presupposto, mediante costituzione nello stesso con rituale comparsa.

La facoltà per il ricorrente di chiedere l’acquisizione degli atti del giudizio presupposto la L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 3, comma 5, nel testo, nella specie, “ratione temporis” applicabile (prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012), sebbene, infatti, lo sollevi dal produrre l’intero fascicolo, non lo esime dall’allegare a pena d’inammissibilità i fatti costitutivi della domanda, rendendo in tal modo attivabile il potere ufficioso del giudice di acquisizione degli atti posti in essere nel processo presupposto (così Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2015, n. 1936). Ne consegue che, una volta esercitato il potere d’iniziativa del giudice di acquisizione dagli atti del processo presupposto (coerente con il modello procedimentale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.), ove rimangano comunque sprovvisti di prova gli elementi essenziali costitutivi della pretesa di equa riparazione, non è certo impedito al giudice di rigettare la domanda stessa.

Dagli atti acquisiti del processo presupposto svoltosi davanti al Tribunale di Avezzano, non è dunque emersa prova – per quanto accertato in fatto dai giudici del merito e non diversamente apprezzabile in sede di legittimità – di una comparsa costitutiva dell’avvocato Tinarelli o dell’avvocato Simonelli (già difensore della signora R.) per conto di D., G. e G.P..

E’ del resto certo che, in ipotesi di morte della parte originaria del processo, alla luce degli artt. 302 e 303 c.p.c. e art. 125 disp. att. c.p.c., l’erede che intenda proseguire il giudizio, o sia destinatario dell’atto di riassunzione, ha l’onere di rinnovare la costituzione, anche in caso di precedente costituzione del de cuius (arg. da Cass. Sez. 3, 01/12/1998, n. 12191; Cass. Sez. L, 26/09/2011, n. 19613). Tale costituzione dell’erede in prosecuzione presuppone l’avvenuto deposito in cancelleria di una comparsa difensiva, quale atto iniziale dell’esercizio del diritto di contraddire, con la conseguenza che il difetto di tale atto non è utilmente riparabile con il solo fatto della comparizione all’udienza (come, nella specie, comprovato dai verbali di udienza in cui era presente l’avvocato Tinarelli, qualificandosi procuratore dei signori G.), sicchè l’attività processuale eventualmente spiegata nell’interesse degli eredi, senza il preventivo deposito di uno scritto costitutivo, rimane del tutto irrituale (arg. da Cass. Sez. L, 20/02/2006, n. 3586).

Tutti i “fatti storici”, dai quali i ricorrenti intendono desumere l’avvenuta formale costituzione dell’avvocato Simonelli (prima) o dell’avvocato Tinarelli (poi) per conto di D., G. e G.P. non suppliscono al difetto di prova di una comparsa scritta, nè, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, (applicabile nella specie ratione temporis, dovendosi guardare, per il regime transitorio, alla data di pubblicazione dell’impugnato provvedimento conclusivo del giudizio di rinvio: Cass. Sez. 6 – 3, 18/12/2014, n. 26654), può rilevare l’omesso esame di elementi istruttori, quando il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè il provvedimento impugnato non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nè è corretto sostenere che la Corte d’Appello abbia accollato agli istanti la responsabilità della custodia del fascicolo d’ufficio o del rispettivo fascicolo di parte, incombente invece sulla cancelleria. Deve, piuttosto, presumersi che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali: non è stato, del resto, mai dedotto davanti ai giudici del merito l’avvenuto smarrimento del fascicolo d’ufficio o del fascicolo di parte, contenenti, in copia ed in originale, la comparsa di costituzione di D., G. e G.P. col relativo mandato al difensore, nè risulta che sia stato mai richiesto al giudice del processo presupposto termine per ricostruire detti fascicoli e così depositare nuovamente atti e documenti già ritualmente prodotti.

Infine, quanto all’indicazione del conferimento della procura alle liti nell’epigrafe della sentenza n. 622/2007 del Tribunale di Avezzano, deve considerarsi come l’intestazione della sentenza non ha di per sè una sua autonoma efficacia probatoria, in quanto meramente riproduttiva degli atti di causa, tant’è che gli errori relativi alle indicazioni del nome del difensore o del rilascio del mandato si considerano irregolarità formali emendabili con la procedura della correzione degli errori materiali (cfr. Cass. Sez. 1, 16/07/1996, n. 6439). D’altro canto, la considerazione a fini probatori dell’indicazione nella sentenza del 2007 della costituzione dei G. non ha carattere decisivo (vale a dire che non avrebbe comunque determinato un esito diverso della controversia), in quanto gli stessi ricorrenti, per poter ottenere il preteso riconoscimento dell’indennizzo “iure proprio”, avrebbero, come detto, dovuto dimostrare il superamento del decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto a decorrere dal momento esatto della loro costituzione in giudizio, dato che rimarrebbe pur sempre ignoto.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato.

Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato Ministero si è limitato a depositare atto di resistenza, senza svolgere utili attività difensive.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2014

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