Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13657 del 30/05/2017
Cassazione civile, sez. II, 30/05/2017, (ud. 28/04/2017, dep.30/05/2017), n. 13657
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 4936-2016 proposto da:
B.A., B.P., BR.PA., elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato SANTINO
FORESTA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINA CALI’;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il Decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il
03/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/04/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
B.A., B.P. e BR.PA. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi (il primo per violazione dell’art. 105 c.p.c., il secondo ed il terzo per violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2) avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il 03/07/2015.
L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.
Con ricorso depositato in data 10/08/2012 presso la Corte d’appello di Messina, V.R. aveva chiesto la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio civile iniziato da B.V. (marito della V., deceduto nel (OMISSIS)) davanti alla Pretura di Noto e tuttora pendente davanti al Tribunale di Siracusa, dove si era verificato già nel 1993 lo smarrimento del fascicolo d’ufficio, mai poi ricostruito. All’udienza del 24 maggio 2013 davanti alla Corte d’Appello di Messina erano quindi intervenuti A., Pa. e B.P., sia in proprio che quali eredi di B.V., chiedendo anche loro l’indennizzo per equa riparazione.
Con Decreto del 3 luglio 2015 la Corte di Messina condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di V.R. della somma di Euro 3.500,00, dopo aver valutato in complessivi quattordici anni il ritardo irragionevole ed aver tenuto conto della quota ereditaria spettante alla V., facendo, in particolare, decorrere dall’1 agosto 1973 il periodo rilevante ai fini del calcolo della durata ragionevole del processo e negando l’indennizzo per il tempo successivo allo smarrimento del fascicolo, in quanto imputabile all’inerzia delle parti. La Corte di Messina dichiarava, invece, improponibile l’autonoma domanda di equa riparazione formulata dagli interventori A., Pa. e B.P., in quanto soggetta alla nuova disciplina della L. n. 89 del 2001 entrata in vigore l’11 settembre 2012, e quindi essendo la stessa preclusa dalla pendenza del giudizio presupposto.
In ordine al primo motivo di ricorso, il Collegio osserva quanto segue.
La L. n. 89 del 2001, art. 4, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, dispone che “la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”. Tale nuova formulazione trova applicazione, ai sensi del medesimo D.L. n. 134, art. 55, comma 2, per i “ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La Corte d’Appello di Messina ha perciò inteso soggetta a questa rinnovata disciplina la domanda autonoma di indennizzo per equa riparazione proposta soltanto all’udienza del 24 maggio 2013 dagli interventori A., Pa. e B.P., sia in proprio che quali eredi di B.V..
La soluzione indicata dai giudici del merito appare conforme all’orientamento interpretativo che assume che le condizioni di ammissibilità o proponibilità di una domanda giudiziale vanno stabilite in base al generale principio tempus regit actum, secondo cui l’atto processuale è retto dalla legge del momento in cui esso è compiuto; di tal che, in ipotesi di norme procedurali sopravvenute, applicabili, come nella specie, in forza del dettato regime transitorio, ai ricorsi depositati successivamente alla loro vigenza, le stesse sono estensibili altresì per disciplinare gli interventi di terzi, attuati in giudizi già pendenti, ove diretti a spiegare domande nuove a sostegno di una propria autonoma posizione.
E’ tuttavia noto che questa stessa Corte, con ordinanza interlocutoria Sez. 6 – 2 20/12/2016, n. 26402, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli art. 6 e 13 della CEDU, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 4, come appunto sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d), nella parte in cui, subordinando la proponibilità della domanda di equa riparazione, secondo l’interpretazione costituente “diritto vivente”, al passaggio in giudicato del provvedimento che ha definito il processo presupposto, implica la definitiva inammissibilità della stessa ove erroneamente proposta durante la pendenza di quest’ultimo.
Il Collegio ritiene allora necessario attendere, ai fini della presente decisione, la pronuncia sull’indicata questione di legittimità costituzionale.
PQM
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 28 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017