Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13656 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/05/2017, (ud. 28/04/2017, dep.30/05/2017),  n. 13656

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 209-2016 proposto da:

P.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

09/06/2015.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con distinti ricorsi (poi riuniti) del 22 maggio 2006, presentati presso la Corte d’Appello di Roma, gli attuali ricorrenti chiedevano la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio svoltosi davanti al Tribunale di Benevento, iniziato con istanza del 18 giugno 1984 della S.p.A. Salumificio Telesino di ammissione alla procedura di concordato preventivo, concordato omologato con sentenza del 15 novembre 1984, risolto da sentenza del 17 luglio 1992 con dichiarazione di fallimento, cui era seguita procedura fallimentare chiusa con decreto del 22 novembre 2005.

Con Decreto depositato in data 24 ottobre 2007, la Corte d’appello di Roma dichiarava improponibili i ricorsi, in quanto proposti oltre il termine di sei mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4. Tale decreto veniva cassato da questa Corte con sentenza n. 8639 del 2010, con la quale si affermava che la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, riconosciuto dal paragrafo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, va accertata, riguardo alla procedura fallimentare, tenendo conto che il “dies a quo” coincide con la data della sentenza di fallimento ed il “dies ad quem” con il momento in cui diviene definitivo il decreto di chiusura della procedura concorsuale. Questa Corte, pertanto, escludeva che la valutazione del termine di ragionevole durata dovesse essere effettuata con esclusivo riferimento al tempo impegnato nella distribuzione dell’attivo ai creditori, senza tener conto di quello oggettivamente trascorso nella definizione dei procedimenti incidentali o, comunque, connessi, avviati dal curatore per il recupero di attività alla massa e quindi dell’intera procedura. Pertanto erroneamente la Corte d’Appello di Roma, nel Decreto del 24 ottobre 2007, aveva computato il termine semestrale per proporre il ricorso per equo indennizzo dalla data di esecuzione del piano di riparto finale anzichè da quella di chiusura del fallimento, e ciò imponeva la cassazione con rinvio.

In sede di rinvio, la Corte d’Appello di Roma ha così individuato il dies a quo per il calcolo della ragionevole durata con riferimento al 9 novembre 1993, data nella quale i ricorrenti si erano insinuati al passivo della procedura fallimentare, mentre il dies ad quem è stato inteso coincidente con la data di chiusura del fallimento (22 novembre 2005). Computati dodici anni di durata complessiva, la Corte di Roma ha stimato irragionevole, e perciò indennizzabile, il periodo di sette anni, liquidando ai ricorrenti Euro 500,00 per ogni annualità (ovvero complessivi Euro 3.500,00).

Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo la Corte d’Appello di Roma, quale giudice del rinvio, considerato l’eccessiva durata della fase di concordato preventivo.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e degli artt. 6 CEDU e 1 Protocollo addizionale CEDU, sempre perchè la Corte d’Appello di Roma non ha considerato l’eccessiva durata della fase di concordato preventivo.

Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 2, e degli artt. 6 e 41 CEDU in merito alla quantificazione dell’indennizzo nella iniqua misura di Euro 500,00 per ogni anno di irragionevole durata.

Il Ministero della Giustizia, intimato, non ha svolto attività difensiva.

I primi due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente, risultano infondati. Le censure non offrono elementi per mutare l’orientamento, già espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione, ex L. n. 89 del 2001, ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, la procedura di concordato preventivo e quella fallimentare, che ad essa consegue, non costituiscono un’unica procedura, essendo la prima distinta da quella fallimentare, anche nel caso in cui tra le predette procedure si verifichi una consecuzione (così Cass. Sez. 1, 14/01/2011, n. 821; e ciò a differenza del concordato fallimentare, che è strutturalmente connesso alla più ampia procedura fallimentare: così Cass. Sez. 6 – 2, 02/09/2014, n. 18538).

E’ altresì infondato il terzo motivo di ricorso. Anch’esso non tiene conto dell’interpretazione di questa Corte sulla specifica questione di diritto, interpretazione per cui, in tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo fallimentare, riguardo al quale il creditore non abbia neppure dimostrato di aver manifestato nei confronti degli organi della procedura uno specifico interesse alla definizione della stessa, è congrua la liquidazione dell’indennizzo nella misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre dieci anni, rapportata su base annua a circa Euro 500,00, dovendosi riconoscere al giudice il potere, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, di discostarsi dagli ordinari criteri di liquidazione dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. Sez. 6 – 2, 16/07/2014, n. 16311). La Corte d’Appello di Roma ha argomentato circa la complessità della procedura, evidenziata dalla stessa narrativa del ricorso, facendo rinvio agli atti di opposizione all’ammissione allo stato passivo. Tale considerazione consente di escludere che un indennizzo di Euro 500,00 per anno di ritardo possa essere di per sè considerato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte europea intende assicurare in relazione alla violazione del termine di durata ragionevole del processo.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato.

Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato Ministero si è limitato a depositare atto di resistenza, senza svolgere utili attività difensive.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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