Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13655 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/05/2017, (ud. 28/04/2017, dep.30/05/2017),  n. 13655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDACIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4894/2016 proposto da:

T.L., A.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA

FERRIOLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FERDINANDO EMILIO ABBATE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1095/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 13/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia, T.L. e A.G. chiedevano la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, intrapreso dagli istanti nell’ottobre 1999 nei confronti del Ministero della Difesa al fine di ottenere l’accertamento del diritto alla retribuzione individuale di anzianità nell’importo previsto dal D.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, art. 9, giudizio conclusosi con decreto di perenzione del febbraio 2014.

Con decreto del 31 marzo 2015 il consigliere delegato della Corte di Perugia rigettava la domanda. Avverso tale decreto proponevano opposizione T.L. e A.G., opposizione che veniva rigettata dal collegio della Corte d’Appello di Perugia con decreto del 13 luglio 2015, n. 415/2015.

La Corte d’appello ha rilevato che: la pretesa azionata nel giudizio presupposto aveva ad oggetto il riconoscimento del diritto dei ricorrenti, dipendenti del Ministero della difesa, a percepire le maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità previste dal D.P.R. n. 44 del 1990, art. 9; in base alla normativa di settore, la maturazione dell’anzianità di servizio necessaria per il riconoscimento delle maggiorazioni era fissata al 31 dicembre 1990, come confermato definitivamente dalla L. n. 388 del 2000, art. 51, comma 3, che aveva fornito l’interpretazione autentica del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, convertito dalla L. n. 438 del 1992; pertanto, quanto meno dalla data del 1 gennaio 2001 di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica, la pretesa dei ricorrenti era palesemente priva di possibilità di accoglimento; a tale data il giudizio presupposto non aveva superato il termine di durata ragionevole (giacchè pendente da circa un anno e due mesi), e l’ulteriore durata non poteva aver procurato paterna d’animo proprio in ragione della sopravvenuta inconsistenza della pretesa, che i ricorrenti non avevano più coltivato consentendo la perenzione del giudizio. T.L. e A.G. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo avverso il Decreto 13 luglio 2015, n. 415/2015 ed il Ministero dell’economia e delle finanze resiste con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, contestando la ritenuta temerarietà della pretesa azionata nel giudizio presupposto, e negando la portata risolutiva rispetto ad essa della L. n. 388 del 2000.

La doglianza è infondata.

Risulta accertato in concreto, dal giudice dell’equa riparazione, che il giudizio presupposto non era stato coltivato nel periodo successivo all’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica, di tenore ostativo all’accoglimento della pretesa azionata.

Il decreto impugnato è conforme al principio, più volte ribadito da questa Corte (già nella disciplina anteriore all’introduzione del vigente comma 2-quinquies, lettera a, della L. n. 89 del 2001, art. 2), secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il paterna d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa è da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell’instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole. In particolare, proprio nel decidere analoghi ricorsi (aventi ad oggetto domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi vertenti su differenze retributive vantate da appartenenti all’amministrazione dello Stato, postulandosi l’equiparazione di trattamenti legislativi che si assumevano discriminatori), questa Corte ha reputato immune dalle proposte censure le pronunce delle Corti di merito secondo cui la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda di adeguamento fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi maturata per effetto di declaratorie di infondatezza della questione di incostituzionalità rese della Corte costituzionale o di interventi legislativi di interpretazione autentica (Cass. Sez. 6-2, n. 16856 del 2016; Cass. Sez. 6-2, n. 23421 del 2015; Cass. Sez. 6-2, n. 22385 del 2015; Cass. Sez. 6-2, n. 22049 del 2015; Cass. Sez. 6-2, n. 11828 del 2015; Cass. Sez. 2, n. 27567 del 2014; Cass. Sez. 2, n. 19478 del 2014).

Conseguentemente, il ricorso va rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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