Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13653 del 30/05/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 13653 Anno 2013
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SALVAGO SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 33472-2006 proposto da:

va,

FALCONE VINCENZO (C.F. FLCVCN39R23L0491), FALCONE
SERENA (C.F. FLCSRN70C55L049P), nella qualità di
eredi di GIORDANO MARIA, elettivamente domiciliati

Data pubblicazione: 30/05/2013

in ROMA, VIA G. CARDUCCI 4, presso l’avvocato
TRAINA DUCCIO M., che li rappresenta e difende,
2013

giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

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contro

COMUNE DI MONTEMARCIANO, in persona del Sindaco pro

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tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COLA DI RIENZO 252, presso l’avvocato CAPUTO BRUNO,
rappresentato e difeso dall’avvocato BORGOGNONI
ANTONIO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

349/2006

della CORTE

D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del

10/04/2013

dal Presidente

Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito,

per i ricorrenti,

l’Avvocato PAOLETTI

FRANCESCO, con delega avv. TRAINA, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Ancona,con sentenza dell’il agosto 2005
condannò il comune di Montemarciano al risarcimento del danno
nella misura di

1.238.021,25 per l’illegittima occupazione di

un terreno di proprietà di Vincenzo e Serena Falcone utilizzato
per la costruzione di alcuni alloggi di edilizia popolari
disposta nell’ambito di un PEEP con delibera consiliare
ottobre 1975.
In accoglimento dell’impugnazione del comune,la Corte di
appello di Ancona, con sentenza del 3 maggio 2006 ha respinto le
richieste risarcitorie dei Falcone,in quanto la procedura
ablativa era regolarmente iniziata con la dichiarazione di p.u.
dell’opera contenuta nel decreto 26 aprile 1976 del Presidente
della Giunta Regionale,e si era regolarmente conclusa con il
decreto presidenziale di esproprio in data 12 maggio
1978;mentre la questione relativa all’apposizione dei termini
di cui all’art.13 legge 2359/1865 riguardava l’invalidità della
dichiarazione di p.u. denunciabile soltanto al giudice
amministrativo.
Per la cassazione della sentenza,i Falcone hanno proposto
ricorso per 5 motivi;cui resiste il comune di Montemarciano con
controricorso.
Motivi della decisione
Con i primi due

motivi del ricorso Vincenzo e Serena

Falcone,deducendo violazione degli art.2697 cod. civ. e 13
legge 2359/1865,nonché difetti di motivazione, censurano la
sentenza impugnata: a) per avere posto a carico di essi

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proprietari l’onere di provare l’assenza dei menzionati termini
nella dichiarazione di p.u. che essi invece avevano soltanto
l’onere di allegare;e che nel caso era sostanzialmente ammessa
dalla controparte la quale si era difesa assumendo soltanto che
trattandosi di opera all’interno di un PEEP detti termini

coincidevano con quelli di validità del piano,ed in appello che
la dichiarazione era validamente contenuta nel decreto
presidenziale del 26 aprile 1976; b)per non essersi avveduta
che le due divergenti difese del comune,contenevano comunque
quale elemento comune l’ammissione che la dichiarazione ovunque
ravvisata era in ogni caso priva dei suddetti termini,perciò
esonerando essi attori da qualsiasi prova al riguardo.
Con il terzo deducendo violazione del medesimo art.13,nonché
degli art.2,4 e 5 legge 2359/1865 si dolgono che la Corte di
appello abbia ritenuto semplicemente invalida la dichiarazione
di p.u. priva dei termini in questione,disattendendo la
costante giurisprudenza di legittimità che in tali casi
qualifica il relativo provvedimento come emesso in carenza di
potere,consentendo al giudice ordinario di disapplicarlo.
Con il quinto,lamentando altre violazione della medesima
normativa addebitano alla sentenza impugnata di non aver
disapplicato anche il successivo decreto di esproprio perché
non supportato da una valida dichiarazione di p.u.
Le suesposte censure sono tutte infondate.
E’ infatti esatto,in linea generale, che la dichiarazione di
p.u. priva dei termini di cui all’art.13 legge 2359/1865 è da
decenni qualificata dalla giurisprudenza di questa Corte un
provvedimento emesso dalla p.a. in carenza di potere,perciò
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inidoneo ad incidere sul diritto dominicale del privato;nonché
a consentire

la pronuncia del successivo decreto di

espropriazione

comportandone l’invalidità derivata ed il

potere dovere di disapplicazione d’ufficio da parte del giudice
ordinario in conformità al disposto dell’art.5 legge 2248 del

1865 All.E.
Ma siffatta problematica non si pone nel caso concreto, avendo
la sentenza impugnata accertato, ed entrambe le parti
confermato, che l’intervento espropriativo per la costruzione
di alloggi popolari, localizzato con delibera consiliare 11
ottobre 1975 ai sensi dell’art.52 legge 865/1971,ricade
all’interno di un PEEP;i1 quale come si ricava anche dalla
legge 167 del 1962 ha efficacia per 18 anni.
Da tale premessa,ribadita dalle parti anche in questa fase di
legittimità, discende che la questione da affrontare nella
fattispecie non era quella erroneamente posta dai ricorrenti di
stabilire se il provvedimento recante la dichiarazione di p.u.
(indicato ora nella delibera consiliare 11 ottobre 1975,ora in
quella regionale 26 aprile 1976) debba contenere anche e
contestualmente i termini per il compimento dei lavori e delle
espropriazioni di cui all’art.13 della legge 2359 del 1865,in
quanto al quesito è stata data costantemente e da decenni
risposta affermativa sia dalla Corte costituzionale che dalla
giurisprudenza ordinaria ed amministrativa;bensì quella
(Cass.sez.un.13027/1996) -eccepita dal comune fin dall’udienza
del 3 giugno 2002 (pag.7 ric.)- una volta ritenuta
incontestabile la vigenza dell’art.13 legge 2359 del 1865,
laddove impone all’amministrazione di determinare i termini in

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questione,di stabilire se la loro indicazione e predisposizione
possa essere eseguita addirittura a monte dal legislatore, ed
una volta per tutte, dopo avere individuato quale atto nello
specifico settore disciplinato debba avere la valenza di
dichiarazione di p.u. ovvero questa debba contenere.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte e quella dei
giudici amministrativi (Cons.St. 4803/2004; 5851/2003;
4056/2001; 3889/2001),dopo perplessità iniziali e comunque
assai lontane nel tempo, hanno sistematicamente risposto in
modo affermativo, osservando (anche con riguardo ad altra
espropriazione del medesimo P.Z.) come anche detta apposizione
preventiva persegue (a maggior ragione) la funzione
inderogabile di sottrarre alla P.A. il potere discrezionale di
mantenere in stato di soggezione i beni espropriabili per un
tempo indeterminato,onde non lasciare il proprietario
indefinitamente esposto alla vicenda ablatoria. E che è nel
contempo salvaguardato l’interesse pubblico a che l’opera venga
eseguita in un arco di tempo valutato congruo per il
perseguimento dell’interesse collettivo: atteso che,anzi
entrambi detti interessi sono tutelati in modo più rigoroso
perché l’ampiezza dei termini in questione non è rimessa alla
facoltà discrezionale dell’amministrazione espropriante,cui è
peraltro inibito di modificarli o prorogarli,e la loro inutile
scadenza comporta sempre e comunque la decadenza della
dichiarazione di p.u. stabilita dall’art.13.
Per cui, il Collegio deve dare continuità alla propria
giurisprudenza recentemente ribadita anche a sez ioni unite
(sent.15379/2009;nonché Cass. 18713/2012; 4027/2009;13493/2002;

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3835/2001; 6289/2000; 13027/1996; sez.un. 7068/1992,secondo la
quale: l) questa apposizione preventiva dei termini di cui
all’art.13 è ravvisabile proprio nelle disposizioni
legislative concernenti l’approvazione dei piani di zona (leggi
167 del 1962;865 del 1971;247 del 1974),aventi efficacia di

provvedimento dichiarativo della pubblica utilità ove il
termine legale di validità del piano rappresenta nel contempo
il termine ultimo entro il quale devono essere compiute le
espropriazioni ed ultimati i lavori; le quali hanno sostituito
alle indicazioni separate di ciascun termine richieste
dall’art.13,1a prefissione di un termine unico,indicato dalla
stessa legge e decorrente dalla data di approvazione del piano
di zona,entro il quale ogni attività deve essere compiuta;e la
garanzia del diritto del proprietario viene tutelata comunque
dalla limitazione temporale imposta ex lege, all’atto di
»

programmazione urbanistica,cui necessariamente si commisura
l’estensione temporale dell’efficacia della conseguente
procedura ablatoria iniziata in concreto (normalmente) con il
provvedimento di approvazione del progetto ; 2) il piano per
l’edilizia economica e polare (PEEP) è valido,infatti, ai fini
della espropriazione delle aree in esso comprese,per 18 anni a
partire dalla data del decreto di approvazione:in quanto il
termine originario di cui all’art.9 legge 167/1962,era di 10
anni;è stato elevato a 15 dall’art.1 legge 274 del 1974 ed
ulteriormente prorogato di 3 anni dall’art.51 legge
865/1971;esso ha valore di piano particolareggiato di
esecuzione ai sensi della legge 1150 del 1942,e la sua
approvazione equivale a dichiarazione di p.u. delle opere in

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esso previste; 3) siffatta disciplina non è neppure unica nel
nostro sistema,come dimostra l’art.14 della legge 641 del 1967
che, con riguardo alla procedura espropriativa in attuazione di
un programma di edilizia scolastica, stabilisce che la
dichiarazione di pubblica utilità è implicita nel decreto di

vincolo dell’area ritenuta idonea allo scopo, ed è efficace per
la durata di due anni:perciò costituente il termine richiesto
dall’art. 13 della legge 2359/1865 per il compimento dei
lavori e della procedura espropriativa. Ed è divenuta la regola
nel nuovo T.U. per le espropriazioni di p.u. appr. con d.p.r.
327/2001,i1 cui art.13 ha unificato i due termini finali
fissandone la durata massima in 5 anni,prorogabili
dall’autorità che l’ha dichiarata per un periodo non superiore
ad altri due,ove ricorrano le condizioni stabilite nel quinto
comma della norma.

Nell’ambito di tale normativa una seconda ulteriore indicazione
di detti termini (a meno dell’ipotesi qui non ricorrente in cui
l’amministrazione voglia ridurli in relazione ai singoli
interventi) non trova alcuna giustificazione logico- giuridica
in presenza di uno strumento urbanistico esecutivo,quale è il
piano di zona, la cui approvazione ha, per un verso, effetto
legale di dichiarazione di pubblica utilità e di
indifferibilità e di urgenza delle opere da realizzare; e, per
altro verso,a differenza di quei piani di terzo livello cui il
legislatore attribuisce anche funzione di dichiarazione di
p.u.,fissa anche la durata del piano stesso
(Cass.sez.un.11433/1997 e success.), delimitando temporalmente
il potere espropriativo dell’amministrazione ed in essa

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assorbendo e contenendo i termini in questione; che vengono
perciò a coincidere,e pur essi a scadere con quello di validità
»

del piano medesimo.
L’accertata validità della dichiarazione di p.u. comporta di

IPS

conseguenza quella del successivo decreto di esproprio emesso

(pag.14-15 ric.) dell’errore commesso dal Tribunale nel
confondere l’autorità cui la legge attribuisce la funzione di
adottare il provvedimento di trasferimento coattivo
dell’immobile
Regione),con

(nel

Presidente

caso,concreto,i1

l’amministrazione

espropriante

che

della
ne

è

beneficiaria:errore, già corretto dalla sentenza impugnata.
Assorbito,pertanto il 4 ° motivo del ricorso,la Corte deve
rigettare l’impugnazione ed in aderenza al principio legale
della soccombenza,condannare in solido i Falcone al pagamento

delle spese processuali,da liquidare come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido
al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del
comune di Montemarciano in complessivi 5.200,di cui
per esborsi, oltre agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2013.

l

e 200

il 22 maggio 1978,una volta che le ricorrenti più non dubitano

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