Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13651 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 19/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 19/05/2021), n.13651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

OGGETTO

sul ricorso 1079-2020 proposto da:

D.T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II,

4, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA FARINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO COSEANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI

IMMIGRAZIONE – UNITA’ DUBLINO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 3104/2019 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato

il 22/10/2019 R.G.N. 3607/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 22 ottobre 2019, il Tribunale di Trieste – davanti al quale D.T.A., cittadino (OMISSIS), aveva riassunto, a seguito della pronuncia declinatoria di competenza del Tribunale di Roma (in favore di quella territoriale del Tribunale giuliano), il giudizio di impugnazione del provvedimento del Ministero dell’Interno di suo trasferimento nel Regno Unito, Stato competente ai sensi del Reg. UE n. 604/2013 (cd. Dublino III) per la presentazione ivi della sua richiesta di protezione internazionale – rigettava la domanda di impugnazione del trasferimento da parte del predetto e di protezione umanitaria;

2. nonostante l’inammissibilità di alcuna doglianza in proposito dello straniero, non avendo egli proposto regolamento di competenza avverso l’ordinanza declinatoria del Tribunale capitolino, essendo tuttavia l’incompetenza territoriale inderogabile nei procedimenti camerali rilevabile d’ufficio, il primo giudice ribadiva la propria competenza territoriale, posta l’ubicazione della struttura di accoglienza, presso la quale lo straniero era ospitato, nella propria circoscrizione;

3. nel merito, il Tribunale negava di poter esaminare: le censure del richiedente in ordine ai vizi della procedura di protezione internazionale svolta nel Regno Unito (neppure oggetto di specifica allegazione e comunque essendo un Paese sicuro), siccome eccedenti l’ambito del proprio sindacato, limitato al provvedimento di trasferimento impugnato; nè potendo la domanda di protezione umanitaria essere separata da quelle di protezione internazionale già proposte nel Regno Unito;

4. parimenti, esso escludeva l’applicabilità della cd. “clausola discrezionale”, in quanto, essendo una facoltà esercitabile da ogni Stato nella propria sovranità, a norma dell’art. 17 Reg. UE 604/2013, non disponibile dal giudice senza l’intermediazione di organi costituzionali investiti di un tale potere “politico, umanitario o pragmatico”; e così pure del principio di “non respingimento”, essendo non l’Italia, ma il Regno Unito il Paese di presentazione della domanda di protezione internazionale;

5. con atto notificato il 17 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con unico motivo; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 11 della Direttiva 2013/32/UE, attuata con D.Lgs. n. 142 del 2015, dell’art. 17Reg. UE 604/2013 con riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 CEDU, degli artt. 33 della Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, art. 5, comma 6 violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento alla propria area di provenienza e al principio di non refoulement, per la mancata disamina delle proprie doglianze in ordine alle gravi lacune della procedura di protezione internazionale svolta nel Regno Unito, anche alla luce della decisione CGUE 2 aprile 2019, in causa C-582/17, senza neppure accedere all’istanza di acquisizione di informazioni, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., presso il Ministero degli Esteri, così ponendo l’onere probatorio a carico del predetto, in violazione della sua corretta ripartizione e per l’omessa applicazione della cd. “clausola discrezionale” e, avuto riguardo alle rappresentate condizioni di grave conflitto nelle aree del Kashmir, del principio di “non respingimento”, nonchè della protezione umanitaria, istituto proprio dell’ordinamento italiano, non previsto dalla normativa Europea (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

3. nel caso di specie, è irrilevante il richiamo della decisione CGUE (Grande Sezione) 2 aprile 2019, in cause riunite C- 582/17 e 583/17, in quanto riguardante la diversa ipotesi di un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, lo abbia poi lasciato e successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro; nel caso di specie, il richiedente ha invece proposto detta domanda unicamente nel Regno Unito nel quale è stata rigettata, avendo egli impugnato in Italia il decreto del Ministero dell’Interno di suo trasferimento nel Regno Unito, Stato competente ai sensi del Reg. UE n. 604/2013;

3.1. il motivo difetta, in via preliminare, di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845): esso non confuta, infatti, le puntuali argomentazioni del Tribunale, non confrontandosi con esse ma semplicemente reiterando tutte le censure già correttamente disattese, in riferimento articolare: ad una supposta inversione dell’onere della prova alle doglianze procedurali e all’istanza di acquisizione di informazioni (al primo capoverso di pg. 4 e al terz’ultimo di pg. 6 del decreto); all’omessa applicazione della cd. “clausola discrezionale” (al secondo e terzo capoverso di pg. 5 del decreto); all’omessa applicazione del principio di “non respingimento” (dal penultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 del decreto) e della protezione umanitaria, istituto proprio dell’ordinamento italiano, non previsto dalla normativa Europea (agli ultimi tre capoversi di pg. 4 del decreto);

3.2. occorre peraltro ribadire che, in corretta applicazione dei principi fissati dall’art. 78 TFUE come in particolare declinati dall’art. 17 Reg.UE 604/2013 (cd. Dublino III) in riferimento alla cd. “clausola discrezionale”, la competenza ad esaminare una domanda di protezione internazionale, il sensi dell’art. 17 citato, spetti all’amministrazione e non al giudice: posto che una “nuova rivalutazione della istanza contrasterebbe, infatti, con l’art. 78 TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia, improntato ad una fiducia reciproca tra gli Stati dell’Unione e, pertanto, al rispetto delle decisioni assunte dagli stessi; essa, inoltre, attraverso una torsione interpretativa 17 assolutamente non consentita dal dato letterale e da quello logico-sistermtico ed in contrasto con la finalità del Regolamento n. 604 del 2013, dichiarata dall’art. 3.1. (per cui una domanda di asilo è esaminata da un solo Stato membro che è quello individuato come Stato competente in base ai principi enunciati nel capo III), determinerebbe uno stress strutturale di tutto l’impianto del suddetto Regolamento Dublino III, mettendo in crisi e vanificando l’intero sistema degli “obblighi sulla presa in carico”, previsti dagli artt. 18 e ss. del Regolamento”, sicchè, “il controllo che residua, per il giudice ordinario (in quanto si verte comunque in materia di diritti soggettivi…), in sede di ricorso avverso il decreto di trasferimento emesso dall’Unità Dublino è… unicamente un sindacato di legalità… come giudice dell’atto e non del rapporto, e che concerne i vizi quali i criteri di competenza e/o la violazione di legge procedimentale” (Cass. 23 novembre 2020, n. 26603; nello stesso senso: Cass. 27 ottobre 2020, n. 23584); spettando inoltre al giudice ordinario il vaglio della sussistenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti nello Stato membro designato, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sempre che tale situazione sia tale da superare l’art. 78 del TFUE (Cass. 27 ottobre 2020, nn. 23585, 23586 e 23587; Cass. 28 ottobre 2020, n. 23724; Cass. 17 marzo 2021, n. 7520);

4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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