Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13642 del 30/05/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 13642 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CULTRERA MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 20928-2007 proposto da:
FAMCO ALLEVAMENTI DI AMORINO E C. S.N.C. (C.F.
00843100918), in persona del legale rappresentante
pro tempore, MORITTU GIOVANNA, MILIA FRANCO,

Data pubblicazione: 30/05/2013

domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
2013
444

rappresentate e difese dall’avvocato LONGHEU
GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

p.

contro

1

AllENA GIAMMARIO (C.F. ZZNGMR65R30F452M);
– intimato –

avverso la

sentenza n.

87/2007

della CORTE

D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 19/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella

Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

pubblica udienza del 14/03/2013 dal Consigliere

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata 1’8.11.1995 Gianmario Azzena ha
impugnato innanzi al Tribunale di Oristano la delibera
assunta in data 18.9.1995 dalla società Famco Allevamenti

s.n.c. che ne aveva disposto l’ esclusione dalla compagine
sociale in ragione della sua asserita inadempienza allo
scopo sociale, deducendone nullità in plurimi profili:
perché adottata senza la sua previa convocazione, perché
non adeguatamente motivata, per insussistenza degli
addebiti. Rilevata la sussistenza dei fatti ascritti
all’attore posti a base della delibera e la loro gravità,
segnatamente ritenuta acquisita la prova che l’Azzena
aveva continuativamente ed ininterrottamente lavorato
anche al di fuori della società, e si era fatto sostituire
dal padre, remunerandolo, per l’attività manuale che
rientrava tra i suoi compiti, rendendosi altresì
irreperibile per 12 giorni consecutivi, il Tribunale adito
con sentenza n. 339/2004 ha rigettato la domanda.
L’Azzena, deducendo la mancanza di prova dei fatti assunti
a fondamento della statuizione gravata, ha proposto
impugnazione innanzi alla Corte d’appello di Cagliari che
con sentenza n. 87 depositata il 19.3.2007, disponendone
l’accoglimento, ha dichiarato la nullità dell’opposta
delibera.

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Avverso questa decisione hanno proposto ricorso per
cassazione la società Famco Allevamenti s.n.c ed i soci
Franco Milia e Giovanna Morittu in base a due motivi.
L’intimato non ha spiegato difesa.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente denuncia col primo motivo la violazione
dell’art. 2286 C.C. in cui sarebbe incorsa la Corte del
merito e correlato vizio di motivazione che risiederebbeg)
nell’asserita irrilevanza dell’attività prestata dal socio
Azzena presso altra impresa, non concretante divieto di
concorrenza di cui all’art. 2301 c.c.; nell’affermata
presenza presso la società del predetto, noninferiore a
quella degli altri soci; nella ritenuta assenza di prova
circa la sua ridotta partecipazione all’attività sociale
secondo i calendari prestabiliti, da reputarsi inesistenti
in assenza della loro produzione in atti; nell’affermata
inesistenza del divieto statutario di sostituzione del
socio d’opera, peraltro ritenuta non concretante
violazione dell’obbligo sociale in ragione del fatto che
il predetto dava il suo contributo nei giorni festivi e
prefestivi; nel fatto che la legge reg. n. 28/84 che detta
provvedimenti urgenti per favorire l’occupazione non
rileva nell’ambito dei rapporti interni alla società;
nell’asserita esclusione del carattere arbitrario
dell’assenza del socio per 12 giorni consecutivi. La Corte
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del merito non avrebbe considerato che l’esclusione
deliberata a carico dell’Azzena si fonda sulla violazione
non già del divieto di concorrenza ma degli obblighi
sociali da esso assunti previsti dall’art. 8 dello statuto

sociale che lo impegnavano nella società a tempo pieno. Il
suo impegno paritario a quello degli altri soci sarebbe
stato desunto dalla deposizione del teste Deriu che
genericamente riferì d’aver visto l’Azzena recarsi in
azienda, a volte con la frequenza degli altri ) a volte più
sporadicamente, dunque generica. Risulterebbe carente la
motivazione in ordine all’esclusione della gravità dei
fattiD ed il fatto che la sostituzione pregiudicava la
società, costituita per mettere a frutto la specifica
esperienza di allevatori dei soci @ e violava le nome sul
collocamentoi risultando il padre dell’Azzena remunerato a
nero dal predetto per l’attività prestata in sua
sostituzione .
Il quesito di diritto chiede se nell’ambito di società
agricola costituita tra tre soci al fine di garantire loro
occupazione permanente e giusta remunerazione, che si
siano obbligati a prestare la propria opera personale,
costituisca grave inadempimento ai sensi dell’art. 2286
c.c. la condotta di colui che presta attività lavorativa
al di fuori della società facendosi sostituire da altri di
sua fiducia, impedendo o rendendo più gravoso il
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raggiungimento dello scopo sociale, inserendo in azienda
prestatore d’opera in violazione di norme sul lavoro e
previdenziali, è suscettibile di arrecare danno economico.
Il motivo per un verso è infondato per altro verso è

inammissibile. È infondato laddove la ricorrente,
allegando il danno arrecatole dalle prestazioni eseguite
al di fuori dell’ambito sociale dall’Azzena, ne predica
compromissione dei diritti ai quali non può ritenersi che
il predetto abbia abdicato per la sua mera assunzione
della qualità di socio, e dell’obbligo di buona fede
nell’adempimento delle obbligazioni che derivano dal
. contratto di società. Secondo l’enunciato espresso nella
sentenza di questa Corte n. 29776/2008, cui in piena
condivisione s’intende in questa sede dare continuità, il
socio di una società collettiva ha il diritto di avvalersi
dei suoi diritti e facoltà, seppur derivino da rapporti
estranei al contratto sociale, anche se possano in ipotesi
rivelarsi lesivi dell’interesse della società. Altra e
diversa questione sarebbe se dalla contrarietà
dell’esercizio di tali diritti all’interesse della società
si volesse ricavare la prova del dolo del socio e quindi
dell’abuso del diritto, ipotesi però non prospettata dalla
ricorrente. È inammissibile il motivo laddove induce
all’evidenza alla rivisitazione delle condotte ascritte
,

all’Azzena, per inferirne quel requisito di gravità
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legittimante l’adozione della delibera contestata che la
Corte del merito ha invece escluso sulla scorta
dell’apprezzamento delle circostanze in cui si sono
concretate, da cui ne ha desunto o che non erano previste

in statuto quali cause di esclusione i ovvero non
,
concretavano addebiti connotati da gravità legittimante
l’esclusione dalla compagine sociale- lavoro presso altra
azienda,

sostituzione da parte del padre,

assenza

arbitraria per 12 giorni-. Il puntuale tessuto
motivazionale che rende conto del percorso critico che ne
sorregge la conclusione sottrae la decisione al sindacato
percorribile in questa sede, che preclude la rilettura
della vicenda di fatto, la cui valutazione è demandata al
solo giudice del merito, il motivo merita pertanto il
rigetto.
2.- La ricorrente deducendo violazione degli artt. 112,
278 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. ascrive
alla Corte del merito d’aver erroneamente pronunciato nei
propri confronti condanna generica al risarcimento danni i
ancorché la domanda fosse stata introdotta solo in
appello, e dunque ne fosse stata eccepita
l’inammissibilità essendo stata nell’atto di citazione
chiesta la liquidazione nella misura da accertarsi in
giudizio. Il quesito di diritto chiede se nel caso in cui
sia stata chiesta la liquidazione del danno nello stesso
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processo e quindi sia stata chiesta condanna generica
senza il consenso del convenuto, il giudice dell’appello
possa provvedere ovvero debba rigettare la domanda
originaria per mancanza di prova.

Il motivo espone censura priva di fondamento. Occorre
rilevare anzitutto che, secondo le conclusioni trascritte
nella sentenza del Tribunale di Oristano, la domanda di
danni formulata dall’Azzena ne prevedeva la liquidazione
anche in separato giudizio, dunque con condanna generica
(3″danni da liquidarsi a mezzo c.t.u., in via equitativa
dal giudice, o in subordine in separato giudizio”). In
simile evenienza, formulata dall’attore in via
originariamente alternativa la domanda di risarcimento
danni con richiesta di condanna generica limitata all'”an
debeatur”, “al convenuto è riconosciuta la sola facoltà di
opposizione alla richiesta di condanna generica, con
conseguente onere dell’attore di dare dimostrazione della
esistenza del danno, e conseguente divieto, per il
giudice, di rimessione ad un separato giudizio della
determinazione del “quantum” (Cass. n. 85/1999 ribadita da
Cass. n. 25510/2010). Ritualmente proposta dall’appellante
in sede di gravame, la domanda, cui la società neppure
allega essersi opposta in primo grado, è stata per
l’effetto esaminata e quindi decisa dalla Corte
distrettuale nel pieno rispetto del principio devolutivo.
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Merita analoga sorte il terzo motivo che denuncia ancora
violazione degli artt. 112, 278 e 345 c.p.c. in relazione
all’art. 2697 c.c. sull’assunta incompatibilità della
domanda di condanna generica subordinata a quella di

risarcimento danni proposta in via principale e formula
quesito di diritto che chiede proposta in via principale
domanda che comprende “an” e “quantum” sia consentita la
subordinata con richiesta di condanna generica. La facoltà
esercitata dall’Azzena di proporre in alternativa domanda
estesa sia all'”an” che al “quantum” ovvero di condanna
generica, consentita alla stregua del citato orientamento,
esclude il rapporto di subordinazione tra le domande
evocato dalla ricorrente sulla scorta della lettera di
quelle conclusioni correttamente interpretate dai giudici
del merito di diverso tenore, che, secondo risalente
orientamento (Cass. n. 7847/1998), che ne avrebbe
comportato 1″incompatibilità. Suddetta alternativa posta
ab origine nell’atto introduttivo del giudizio, cui, giova
ribadire, non risulta si sia opposta la società convenuta
che riferisce la sua eccezione alla sola fase d’appello,
ha dunque consentito al giudice di pronunciarsi
direttamente sulla domanda di condanna generica, senza
necessità di ulteriori precisazioni in tal senso.Tutto ciò
premesso deve disporsi il rigetto del ricorso senza dar

9

luogo alle spese del presente giudizio in assenza
d’attività difensiva dell’intimato.
PQM

rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

La Corte:

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