Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1364 del 23/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1364 Anno 2014
Presidente: CARLEO GIOVANNI
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 8773-2008 proposto da:
ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALO-LATINO AMERICANA “LA PIRAGUA”
(025485902377), in persona del presidente e legale
rappresentante PAOLO CAVICCHI, nonché dei soci PAOLO CAVICCHI
e GONZALES HERNANDEZ YOSIN, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato
BOVELACCI CAMILLA, rappresentata e difesa dall’avvocato
SCAVONE ANGELO giusta delega in atti;
– ricorrente –

contro

.2at 3

ARCO

2233

rappresentante dott.

r
L

S.R.L.

(00501681209),

in

persona

GIANNI GRASSILLI,

del

legale

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio
dell’avvocato DE MICHELI CINZIA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ASTROLOGO CARLO MARIA giusta procura
1
/6///’

Data pubblicazione: 23/01/2014

speciale notarile del Dott. Notaio ALESSANDRO MAGNANI in S.
LAZZARO DI SAVENA (BO) del 28/05/2013 rep. n. 7357;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1208/2007 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata il 31/10/2007 R.G.N. 487/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

udito l’Avvocato ALESSANDRO ARDIZZI per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. AURELIO GOLIA, che ha concluso per l’inammissibilità o
rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – In forza di contratto in data 1 ° novembre 1991,
l’Arco s.r.l. concedeva in locazione all’Associazione
culturale italo-latino americana “La Piragua”, per la durata
di anni sei e per un canone annuo di lire 90.000.000, un
immobile, sito nel Comune di Granarolo, “ad uso uffici,
magazzini, laboratori e residenza custode, composto da una
palazzina su due livelli adibita ad uffici ed abitazione con
retrostante fabbricato industriale con tettoia ed area
cortiliva”.
A seguito del mancato pagamento dei canoni per il
periodo da agosto ad ottobre 1992, la società locatrice
conveniva l’Associazione conduttrice davanti al Pretore di
Bologna per sentir convalidare lo sfratto per morosità.
La convenuta Associazione si opponeva alla convalida,
assumendo che, nonostante l’anzidetta destinazione
dell’immobile, in realtà i locali erano da utilizzarsi per
l’esercizio delle attività istituzionali dell’associazione e
cioè “l’allestimento di spettacoli d’arte e folklore e
concerti di musica Sudamerica”, tanto che locatrice aveva
richiesto al Comune di Granarolo il cambio di destinazione
d’uso soltanto in data 9 giugno 1992, senza che fosse
concesso, con conseguente inadempimento della stessa

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del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

locatrice, per la cui responsabilità il contratto andava
risolto.
Concessa dall’adito Pretore la richiesta convalida e
rimessa la causa al giudice competente per valore, l’Arco
s.r.l. la riassumeva dinanzi al Tribunale di Bologna,
chiedendo la conferma dell’ordinanza di rilascio e la
declaratoria di risoluzione del contratto di locazione per

L’Associazione “La Piragua” si costituiva contestando,
come in precedenza, la domanda attrice e instando, in via
riconvenzionale, per la risoluzione del contratto per
inadempimento della locatrice e per i danni.
Successivamente, con separato atto di citazione,
l’Associazione “La Piragua” conveniva in giudizio l’Arco
s.r.l. per sentir dichiarare, in base ad argomentazioni
analoghe a quelle sviluppate nel giudizio per la convalida di
sfratto, la simulazione del contratto di locazione inter
partes,

la sua nullità per contrarietà a norme imperative o

l’annullamento per vizio del consenso, con condanna della
società locatrice alla restituzione dei canoni versati, oltre
al risarcimento dei danni.
Riunite le cause ed espletata l’istruttoria, il
Tribunale di Bologna, con sentenza del 28 gennaio 2002,
rigettava tutte le domande proposte dall’Associazione “La
Piragua”, dichiarava risolto il contratto di locazione per
inadempimento di quest’ultima, che condannava anche al
risarcimento dei danni patiti dalla locatrice da liquidarsi
in separato giudizio, nonché al ripristino della piena
agibilità dell’immobile “secondo normativa”.
2. – Il gravame interposto avverso detta decisione
dall’Associazione culturale italo-latino americana “La
Piragua”, in persona del presidente e legale rappresentante
p.t. Paolo Cavicchi, nonché dei soci Paolo Cavicchi, Angelo
Davoli e Gonzales Hernandez Yosin, quest’ultima quale erede
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inadempimento della conduttrice.

di Luigi Bianchi, veniva rigettato dalla Corte di appello di
Bologna, con sentenza resa pubblica il 31 ottobre 2007.
La Corte territoriale, alla luce delle risultanze
probatorie, escludeva che vi fosse “una discrepanza tra
volontà manifestata nel contratto e volontà effettiva delle
parti in ordine alla destinazione dell’immobile”, nonché
riteneva insussistente “l’assunzione, da parte della

conduttrice l’idoneità dell’immobile, sotto il profilo della
disciplina urbanistica, alla diversa destinazione”.
Dall’infondatezza della domanda simulazione parziale del
contratto, discendeva, secondo il giudice di gravame, anche
l’infondatezza delle domande di nullità e di risoluzione per
inadempimento, delle quali la prima costituiva “il
presupposto”.
Quanto, poi, alla domanda di annullamento per vizio del
consenso, la Corte di appello la riteneva inammissibile,
giacché, pur essendo stata riproposta nelle conclusioni”,
l’appellante non aveva però “svolto alcun motivo di censura
in ordine al suo mancato accoglimento da parte del primo
giudice”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre
l’Associazione culturale italo-latino americana “La Piragua”,
in persona del presidente e legale rappresentante p.t. Paolo
Cavicchi, nonché dei soci Paolo Cavicchi e Gonzales Hernandez
Yosin, quest’ultima quale erede di Luigi Bianchi, sulla base
di due congiunti motivi.
Resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’Arco
s.r.l.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Preliminarmente, va respinta l’eccezione di
inammissibilità del ricorso, sollevata dalla società
controricorrente, per asserita invalidità della procura
rilasciata dai ricorrenti al proprio difensore, in quanto non
riferibile alla sentenza impugnata in questa sede.
4

locatrice, di uno specifico obbligo di garantire alla

A tal riguardo, è agevole osservare che la procura non è
affetta dal vizio dedotto, posto che si riferisce alla
sentenza della Corte di appello oggetto di impugnazione, che
è stata individuata sia nella data di decisione (5 giugno
2007) e di pubblicazione (31 ottobre 2007), sia nel numero di
ruolo generale della causa di appello (n. 487/03), che
risulta chiaramente indicato nell’intestazione stessa di

2. – Con il primo ed il secondo mezzo è denunciata, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
rispettivamente, “omessa motivazione in ordine ai documenti
di cui ai precedenti punti 4) e 5)”, nonché “motivazione
difettosa e contraddittoria in ordine alle circostanze di cui
ai precedenti punti 6) e 7)”.
La Corte territoriale avrebbe incentrato il proprio
ragionamento sul fatto che “l’Associazione conduttrice ha
confidato nella mancata opposizione da parte della società
locatrice che ha soltanto tollerato il mutamento d’uso” e ciò
con particolare riguardo ai lavori realizzati dalla prima per
detto mutamento. Si tratterebbe, però, di affermazione
contraddetta dalla documentazione versata in atti, il cui
esame sarebbe stato trascurata dal giudice di appello,
risultando da essa l’assenso scritto della locatrice ai
lavori di mutamento di destinazione dell’immobile, siccome in
parte già previsti nel contratto di locazione e, inoltre,
riconfermato appena pochi giorni dopo la sottoscrizione di
detto negozio.
Di qui, l’erronea valutazione della circostanza relativa
alla presentazione di istanza di sanatoria, che la Corte
territoriale ha reputato, in modo contraddittorio, non
significativa dell’assunzione da parte della locatrice della
garanzia dell’idoneità del bene per un uso diverso da quello
indicato nel contratto, così come si paleserebbe illogico
l’assunto sull’assenza di ragioni per “dissimulare un uso
diverso, dal momento che il contratto avente ad oggetto un
5

detta decisione.

uso difforme da quello consentito non è nullo”, posto che le
parti “hanno preferito stipulare un contratto che tenesse
conto della destinazione attuale per poi procedere ad un
adeguamento successivo, anche in forza del parere preventivo
ottenuto dall’Amministrazione comunale”.
3. – Il ricorso è inammissibile, in quanto – in linea
pregiudiziale ed assorbente di ogni altro profilo di

confezionati in modo conforme alle prescrizioni di cui
all’art. 366-bis cod. proc. civ., che è pienamente operante
ratione temporis

nella fattispecie, posto che la sentenza

impugnata è stata pubblicata il 31 ottobre 2007 e, dunque,
nella vigenza della disciplina dettata dalla predetta
disposizione processuale. Infatti, il citato art. 366-bis ha
iniziato ad esplicare i propri effetti in relazione alle
sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di
entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che l’ha
introdotto, e ha cessato di essere applicabile soltanto a
decorrere dal 4 luglio 2009 e cioè dalla sua abrogazione ad
opera dell’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
La ricorrente ha, infatti, omesso di formulare, a
corredo delle censure di vizio di motivazione veicolate, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
tramite i congiunti motivi di ricorso, il cd. “quesito di
fatto”, imposto – sulla scorta dell’ormai consolidato
orientamento di questa Corte (tra le tante, Cass., 16 luglio
2007, n. 16002; Cass., sez. un., l ° ottobre 2007, n. 20603;
Cass., 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., 18 novembre 2011,
n. 24255) – dal capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ.,
e cioè ha omesso di indicare chiaramente, in modo sintetico,
evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come
le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, a
tal fine necessitando, segnatamente, la enucleazione
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inammissibilità – i motivi con essi proposti non sono

conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio
espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo in
equivoco. Con l’ulteriore precisazione che tale requisito non
si identifica con il requisito di specificità del motivo di
cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ma
assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità
del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica

correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al
ricorrente (Cass., 8 marzo 2013, n. 5858); né esso può dirsi
rispettato allorquando solo la completa lettura
dell’illustrazione del motivo (o dei motivi) – all’esito di
un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto
ed il significato delle censure, posto che la

ratio

che

sottende la disposizione di cui al citato art. 366-bis è
associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla
Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di
comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale
sia l’errore commesso dal giudice di merito.
4. – L’inammissibilità del ricorso per il rilevato vizio
processuale rende, altresì, irrilevante la questione, posta
dalla società controricorrente, dell’integrità del
contraddittorio con l’ulteriore socio della Associazione “La
Piragua”, Angelo Devoli, che ha partecipato al giudizio di
appello, ma non già al presente giudizio di legittimità, nel
quale non è stato evocato, in quanto – a prescindere da ogni
ulteriore possibile rilievo al riguardo – trova applicazione
il principio, in più di un’occasione enunciato da questa
Corte (tra le altre, Cass., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6826;
Cass., 18 gennaio 2012, n. 690; Cass., 17 giugno 2013, n.
15106), per cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del
principio della ragionevole durata del processo impone, in
presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso
(nella specie, per la mancata formulazione del quesito cd.
7

denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove

”di fatto” di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.), di
definire con immediatezza il procedimento, senza la
preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di
litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato
o la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente,
trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente
sull’esito del processo, che si risolve unicamente in un

cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia
dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
5. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e
la ricorrente, in quanto soccombente, condannata al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, come
liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento, in favore della società
controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui
euro 200,00, per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

..12r

data 27 novembre 2013.
I A.–Go nsigliere

estensore

Il residente

allungamento dei termini per la definizione del giudizio di

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