Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13638 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. un., 22/06/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 22/06/2011), n.13638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente di sezione –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.F., M.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio degli avvocati PASCAZI PAOLO,

ANGELO CASILE, ARENA GREGORIO, che li rappresentano e difendono, per

deleghe a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.S.P.R.A. – ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE E LA RICERCA

AMBIENTALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1922/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato Paolo PASCAZI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato al Tribunale di Roma D.F. e M.A. (insieme ad altri lavoratori che non sono parti nei presente giudizio di cassazione) convenivano in giudizio l’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici), ente datore di lavoro, chiedendo la condanna della stessa al pagamento nei loro confronti, in aggiunta all’indennità di fine rapporto, delle maggiori somme maturate per effetto della polizza assicurativa (polizza collettiva n. 52900) stipulata in data 1 gennaio 1983 tra l’ENEA (originario datore di lavoro) e l’INA e della quale i ricorrenti erano beneficiari.

I ricorrenti evidenziavano, in particolare, che, in forza della polizza suddetta, stipulata a garanzia del TFR e riconducibile alla figura del contratto a favore di terzo, i lavoratori beneficiari avevano acquistato un autonomo diritto di credito, assumendo il contratto – definito di capitalizzazione – carattere e ruolo autonomo rispetto al rapporto di lavoro. Tale diritto era stato leso da datore di lavoro nel momento in cui aveva omesso di corrispondere all’INA gli ulteriori premi annuali e tale lesione si era ulteriormente aggravata a causa del comportamento dell’ente che, nell’omettere ogni comunicazione ai lavoratori sulla sorte del fondo, aveva impedito agli stessi l’esercizio di ogni azione a tutela del loro diritto nei termine di prescrizione del diritto medesimo.

Deducevano pertanto la sussistenza di una responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro per fatto illecito e chiedevano conseguentemente la condanna dello stesso al risarcimento del danno da liquidarsi nella misura corrispondente alle maggiori somme maturate per effetto della polizza assicurativa stipulata nel 1983 nonchè al risarcimento di tutti gli ulteriori danni morali e materiali subiti.

Il Tribunale di Roma dichiarava il difetto di giurisdizione quanto ai dipendenti cessati anteriormente al 30 giugno 1998 (e, nella specie, nei confronti di D.F.) e rigettava nel merito la domanda proposta dagli altri (ivi compreso il M.).

La Corte d’Appello di Roma confermava integralmente la decisione.

Riteneva in primo luogo il difetto di giurisdizione dell’AGO sulla domanda proposta da D.F. sul rilievo che questi era cessato dal servizio in data anteriore al 30 giugno 1998 e che il diritto rivendicato era sorto prima di tale data, per cui, in applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, e art. 69, comma 7, sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo; nè si poteva invocare, a sostegno della giurisdizione del giudice ordinario, la violazione dell’art. 2043 cod. civ., atteso che doveva escludersi una responsabilità dell’ENEA per fatto illecito.

Sotto altro profilo rigettava la tesi dei ricorrenti, fra cui il M., secondo cui i dipendenti dell’ente dovevano essere considerati come beneficiari non solo delle somme corrispondenti al trattamento di fine rapporto, ma anche delle maggiori somme maturate in relazione al rendimento della polizza. Ciò in quanto la causa del contratto era costituita dalla costituzione di un rapporto di provvista al fine di consentire all’ente pubblico di ottemperare agli obblighi di legge e non emergeva alcun interesse dell’ente a beneficiare il dipendente con i maggiori importi rappresentati dal plusvalore maturato rispetto alle somme versate.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D. F. e M.A. affidato a cinque motivi.

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (ISPRA), subentrato all’APAT, resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato. I ricorrenti principali hanno notificato un controricorso avverso il ricorso incidentale e depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

La causa è stata fissata innanzi a queste Sezioni Unite in considerazione del fatto che il primo motivo di ricorso pone una questione di giurisdizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Col primo motivo si denunzia violazione dell’art. 1 cod. proc. civ. ovvero del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1 e art. 69, comma 7, in relazione alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle domande proposte da D.F.. Si deduce che la giurisdizione deve essere definita in base alle prospettazioni poste a base della domanda e non già, come erroneamente ritenuto dalla Corte di merito, all’esito dell’accertamento giudiziale per cui, essendo stata proposta una domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., la stessa deve ritenersi comunque ricompresa nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo estranea alla giurisdizione del giudice amministrativo anche anteriormente al processo di contrattualizzazione del pubblico impiego. In ogni caso la Corte territoriale non aveva adeguatamente considerato la permanenza della condotta di occultamento del credito posta in essere dall’ente, condotta protrattasi fino all’aprile 2002.

Sotto altro profilo si allega che la Corte territoriale aveva omesso di considerare, ai fini della giurisdizione, che la richiesta di pagamento del trattamento assicurativo non era collegata ad atti di gestione del rapporto di lavoro derivanti da obblighi di legge o previsti da contratti collettivi. Infine non era stato adeguatamente considerato che la domanda comprendeva anche il risarcimento di danni morali, essendo astrattamente ipotizzabile l’esistenza di specifiche ipotesi di reato nella condotta dell’ente.

Col secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione o falsa interpretazione del R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, in relazione agli artt. 1325 e 1411 cod. civ., con riferimento alla statuizione, concernente M.A., cessato dal servizio in data 1 marzo 2000, secondo la quale il contratto stipulato fra ENEA e INA aveva le caratteristiche proprie sia del contratto a favore di terzi, volto ad assicurare al dipendente le somme dovute per legge a titolo di trattamento di fine rapporto, sia del contratto funzionale all’interesse dell’ente a perseguire una gestione efficiente e remunerativa del proprio patrimonio, con la conseguenza che le prestazioni garantite ai lavoratore erano solo quelle concernenti il trattamento di fine rapporto e non comprendevano, pertanto, le ulteriori utilità maturate per contratto. Ad avviso dei ricorrenti la suddetta interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 4 sopra citato che regola tale tipo di contratto, da inquadrare nella categoria dei contratti assicurativi di capitalizzazione, norma che non è stata abrogata dalla L. n. 297 del 1982. La causa tipica di tale contratto è quella di garantire ai dipendenti un trattamento di fine rapporto non inferiore (e, quindi, anche superiore, secondo i ricorrenti) a quello dovuto.

Col terzo motivo di ricorso viene denunciata violazione o falsa interpretazione dell’art. 1362 cod. civ., con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale, con riferimento al M., ha ritenuto decisiva, ai fini dell’interpretazione e qualificazione del contratto de quo, la sola clausola n. 1, primo capoverso, ai sensi della quale VENEA, attraverso le polizze di cui trattasi, intende costituirsi le disponibilità economiche occorrenti per far fronte al trattamento di fine rapporto di lavoro dovuto ai propri dipendenti ai sensi della L. 29 maggio 1982 n. 297. I ricorrenti invocano, in particolare, l’art. 3 della convenzione, dalla quale si evincerebbe chiaramente che l’ENEA è il contraente delle polizze laddove i beneficiari delle prestazioni garantite dalle singole polizze sono i dipendenti; l’art. 10, che richiede il consenso del dipendente interessato per la risoluzione anticipata;

gli artt. 12 e 13 che disciplinano l’erogazione di anticipazioni all’assicurato in costanza di rapporto; l’art. 14 che indica l’ENEA quale semplice tramite per l’erogazione agli aventi diritto delle prestazioni garantite. L’assunto dei ricorrenti troverebbe inoltre conferma nelle “Condizioni generali delle polizze collettive” richiamate dal contratto. Invocano altresì il confronto con la successiva polizza n. 58572 che costituisce un distinto contratto e che, diversamente dal precedente, è stato stipulato a beneficio del solo ente, in ottemperanza alla delibera del Consiglio di amministrazione ENEA del 25 ottobre 1996.

Col quarto motivo di ricorso viene denunciata violazione o falsa interpretazione dell’art. 421 cod. proc. civ., comma 2, e art. 437, comma 2, in relazione alla mancata acquisizione, da parte della Corte d’appello, sia del certificato assicurativo, che rappresenta la polizza individuale di ciascun ricorrente ed è richiamato espressamente dall’art. 2 del contratto, sia della copia integrale del modulo predisposto dall’INA per la richiesta di liquidazione della polizza individuale. Le relative richieste istruttorie erano state proposte sia nel giudizio di primo grado che in grado di appello.

Col quinto motivo di ricorso viene denunciato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Si deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso totalmente la considerazione di fatti e documenti e decisivi proposti alla sua attenzione e si sarebbe affidata, per la decisione, ad elementi parziali. Sussistono inoltre profili di contraddittorietà specialmente con riferimento al contenuto del contratto assicurativo oggetto di interpretazione.

Il primo motivo è infondato alla luce dei principi già enunciati da queste Sezioni Unite (Cass. S.U. 14 aprile 2010 n. 8834) in una fattispecie analoga, principi che devono essere integralmente confermati.

La determinazione della giurisdizione consegue all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta atteso che, se è fatta valere la responsabilità contrattuale della P.A. datrice di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel caso di controversia relativa a rapporto di pubblico impiego soggetta ratione temporis alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998, mentre, ove sia stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario (cfr., oltre alla sentenza prima citata, Cass. S.U. 4 marzo 2008 n. 5785; Cass. S.U. 6 marzo 2009 n. 5468). Non rileva, ai fini della configurazione detrazione, la qualificazione formale data dalla parte in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, e mediante il richiamo di specifiche disposizioni relative all’uno o all’altro tipo di responsabilità, trattandosi di indizi di per sè non decisivi rispetto all’individuazione dei tratti propri dell’elemento materiale della condotta posta a base della pretesa (Cass. S.U. 8 luglio 2008 n. 18623).

Nella specie, i giudici di merito hanno accertato che la domanda traeva fondamento dal dedotto inadempimento dell’ENEA in relazione agli obblighi previsti dalla polizza assicurativa stipulata con l’INA e hanno ritenuto, sulla base dell’interpretazione della domanda, che la causa petendi dovesse essere inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale dell’ENEA connessa al rapporto di lavoro escludendo altresì la configurabilità di una responsabilità riconducibile a un diverso rapporto giuridico, comportante un’obbligazione autonoma rispetto al rapporto di lavoro. Tale interpretazione si sottrae alle censure sollevate in ricorso, peraltro generiche e prive di specifiche indicazioni in ordine a eventuali vizi di motivazione o violazioni di canoni ermeneutici idonei a inficiare il procedimento logico-esegetico dei giudici di merito.

Non può rilevare, d’altronde, la proposizione di una specifica domanda di risarcimento, anche in relazione al danno morale conseguente al comportamento denunciato, atteso che, per le controversie devolute alla sua giurisdizione, il giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 205 del 2000 (art. 7), dispone anche con riguardo al risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass. S.U. 28 ottobre 2009 n. 22749 del 2009).

Per gli aspetti risarcitori, infine, non si profila alcuna permanenza dell’illecito oltre la data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale coincide l’asserito inadempimento dell’ente datore di lavoro, non essendo stati peraltro adeguatamente prospettati successivi comportamenti datoriali rilevanti ai fini in esame, così come puntualmente rilevato nella decisione impugnata.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato dovendosi ritenere corretta la declaratoria di carenza di giurisdizione adottata dalla Corte territoriale in relazione alla domanda proposta dal D..

I successivi motivi devono essere esaminati congiuntamente, essendo tutti diretti, in stretta connessione, a denunciare la asserita erroneità delle conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla interpretazione della convenzione assicurativa.

Tali motivi sono infondati. Deve ricordarsi che una simile configurazione del meccanismo contrattuale in esame è già stata sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite che, in analoga controversia, hanno ritenuto corretta la conclusione dei giudici di merito secondo cui la previsione di eventuali utili economici derivanti dalla convenzione assicurativa era funzionale all’interesse proprio dell’ente pubblico e, in particolare, alla gestione del suo patrimonio, per cui non poteva configurarsi alcuno spazio per ulteriori vantaggi per i dipendenti, oltre a quello della garanzia del trattamento di fine rapporto (cfr. Cass. S.U. 12 ottobre 2009 n. 21553). Le suddette conclusioni devono essere pienamente confermate.

I giudici d’appello hanno accertato, mediante l’interpretazione delle relative clausole, che la convenzione assicurativa stipulata dall’ente datore di lavoro trovava la sua giustificazione causale esclusivamente nel rapporto lavorativo; gli stessi hanno altresì escluso l’esistenza di una causa contrattuale, estranea al testo letterale della polizza in esame, finalizzata a beneficiare i dipendenti con i maggiori importi rappresentati dal plusvalore maturato rispetto alle somme versate come premio, e quindi, in definitiva, con una sorta di capitalizzazione, autonoma rispetto al rapporto di lavoro e tuttavia corrisposta direttamente dall’ENEA. Hanno conseguentemente ritenuto non decisivo il fatto che, in epoca successiva, l’ENEA ha modificato la polizza nel senso dell’identificazione dell’ente stesso quale beneficiario.

Alla stregua di tale puntuale accertamento, basato su una motivazione sufficiente e priva di vizi logici, deve ritenersi la piena conformità della soluzione adottata con la disciplina del t.f.r. di cui alla L. n. 297 del 1982; in particolare la mancanza di giustificazione delle somme aggiuntive domandate dai ricorrenti comporta in maniera del tutto coerente, nel ragionamento dei giudici d’appello, la configurazione delle medesime come illegittima integrazione del t.f.r., trattandosi di somme che non troverebbero alcun altro titolo all’interno del rapporto di lavoro e non potendosi configurare, d’altra parte, un diretto rapporto contrattuale fra i dipendenti e la compagnia di assicurazione.

Come sottolineato da Cass. S.U. 12 ottobre 2009 n. 21553, prima ricordata, secondo le previsioni della citata L. n. 297 del 1982 non sono impedite, in generale, indennità corrisposte alla cessazione del rapporto aventi natura e funzioni diverse da quelle dell’indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate, poichè, in effetti, il legislatore ha inteso precisare che gli aspetti inderogabili della disciplina sono attinenti solo al titolo del trattamento di fine rapporto, sussistendo la possibilità, per il datore di lavoro, di corrispondere al lavoratore, in occasione della cessazione del rapporto, erogazioni aggiuntive, a titolo diverso e distinto da quello del detto trattamento, rispetto al quale si collocano a latere. Tuttavia, la previsione di tali somme si ricollega pur sempre al contratto di lavoro, nel quale deve trovare una giustificazione causale che sia idonea ad escludere una disposizione derogatoria della disciplina legale. A questa ipotesi si riconducono, per esempio, le previsioni contrattuali di mensilità aggiuntive al momento della cessazione del rapporto, riguardanti l’incentivazione all’esodo anticipato del lavoratore a tutela anche di un interesse del datore di lavoro e idonee, pertanto, a configurare un emolumento concettualmente distinto dal trattamento di fine rapporto.

Sennonchè, nella specie, l’interpretazione de giudice di merito, condotta alla luce della comune volontà delle parti risultante dalle clausole della richiamata convenzione, ha escluso che somme aggiuntive possano trovare causa nel rapporto di lavoro ed ha invece ricollegato il frutto dell’investimento alla gestione e alle finalità proprie dell’ente, così identificando con precisione la natura e la funzione della polizza stipulata con l’INA. Con ciò la Corte territoriale ha escluso, anche in ragione della struttura della provvista e delle modalità di erogazione degli importi derivanti dalla polizza, che la previsione di utilità economiche ulteriori rispetto alle somme a garanzia del t.f.r. fosse diretta ai dipendenti.

Non potrebbe configurarsi, infine, nella conclusione ermeneutica del giudice di merito, una violazione dell’art. 1411 cod. civ., così come ipotizzato dal ricorrente M.. Ed infatti, una volta escluso che i benefici ulteriori siano effettivamente previsti nella convenzione assicurativa, non si verifica alcuna alterazione causale del contratto a favore di terzi, che mantiene la sua funzione di arrecare ai terzi tutti i vantaggi previsti dalle parti, consistenti in via esclusiva nella garanzia de trattamento di fine rapporto.

Parimenti infondate sono le censure riguardanti il procedimento esegetico e l’iter argomentativo su cui si fonda il predetto accertamento. Si imputa in particolare alla sentenza impugnata di avere trascurato il criterio letterale, prescritto dall’art. 1362 cod. civ., e, in ogni caso, di avere configurato un intento negoziale ben diverso da quello effettivamente risultante da alcune clausole che, secondo la tesi sviluppata in ricorso non sarebbero state adeguatamente esaminate.

Tali censure, però, devono essere considerate inammissibili. Esse sono infatti indirizzate, sostanzialmente, a sostenere un diverso risultato interpretativo delle clausole contrattuali, considerato preferibile a quello accolto nella sentenza censurata. Ma una prospettazione siffatta, oltre a riferirsi a clausole riportate talvolta solo in maniera parziale e all’interno di diverse argomentazioni, è comunque inammissibile alla stregua della funzione del giudizio di legittimità, limitata, in materia di interpretazione del contratto di diritto privato, al controllo della motivazione e alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici secondo le censure proposte dal ricorrente.

Inoltre la prospettazione di una diversa ricostruzione storica della convenzione assicurativa, operata nel ricorso principale con riferimento ad una pretesa finalità di risparmio in favore dei dipendenti, non potrebbe comportare – alfa luce delle considerazioni sopra esposte – un diretto esame del diverso risultato interpretativo da contrapporre a quello raggiunto dal giudice di merito con riguardo alla natura e alla funzione del negozio; nè la mancata considerazione di un tale intento specifico di risparmio, prospettato in questa sede, che avrebbe determinato l’ente datore di lavoro alla stipulazione della convenzione INA, potrebbe risolversi ne vizio qui denunciato, atteso che la comune volontà delle parti deve essere desunta in funzione di ciò che nelle clausole del contratto esaminato appare obiettivamente voluto in relazione ad un determinato istituto.

In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e, conseguentemente, deve dichiararsi assorbito il ricorso incidentale condizionato.

In applicazione del criterio della soccombenza i ricorrenti principali devono essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4000 (quattromila) per onorari e oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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