Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13636 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/05/2017, (ud. 10/03/2017, dep.30/05/2017),  n. 13636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10001 – 2013 R.G. proposto da:

C.R., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso

dall’avvocato Marco Cimma in virtù di procura speciale a margine

del ricorso ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cola di

Rienzo, n. 180, presso lo studio dell’avvocato Stefano Giannini;

– riccorrente –

contro

COMI s.r.l. (già “Comi s.a.s. di P.G. e C.”) –

c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Tacito, n. 23,

presso lo studio dell’avvocato Cinzia De Micheli che congiuntamente

e disgiuntamente all’avvocato Alfredo Monteverde la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474 del 1.2/14.3.2012 della corte d’appello di

Torino, udita la relazione nella camera di consiglio del 10 marzo

2017 del consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al tribunale di Novara la “Comi s.a.s. di P.G. e C.” esponeva che l’architetto C.R., onde prender parte ad una gara indetta dal comune di Romentino, le aveva affidato incarico di consulenza e di predisposizione di elaborati e documenti; che, espletato il mandato, controparte non aveva provveduto al pagamento del compenso ad essa accomandita spettante giusta fattura n. (OMISSIS).

Chiedeva ed otteneva in danno del committente ingiunzione n. 2892/2004 per la somma di Euro 39.600,00.

Con atto di citazione notificato il 29.11.2004 C.R. proponeva opposizione.

Deduceva che si era pattuito che il pagamento delle spettanze sarebbe avvenuto allorchè il comune di Romentino avesse provveduto a corrispondergli gli emolumenti a lui dovuti; che nulla gli aveva versato l’ente pubblico, sicchè nulla doveva alla “Comi”; che in ogni caso gli importi ex adverso pretesi erano sproporzionati e che gli elaborati ed i progetti predisposti dalla s.a.s erano inficiati da lacune ed errori.

Instava per la revoca del decreto opposto.

Si costituiva la “Comi” s.a.s..

Assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 690/2008 il tribunale di Novara rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alle spese.

Interponeva appello C.R..

Resisteva la “Comi” s.r.l..

Con sentenza n. 474 del 1.2/14.3.2012 la corte d’appello di Torino rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Esplicitava la corte che non vi era nessuna prova che l’appellante avesse sollevato sia in corso d’opera sia successivamente contestazioni in ordine all’operato della “Comi”; che del resto il C. non aveva fornito specificazione alcuna delle asserite omissioni, degli asseriti errori della “Comi”.

Esplicitava altresì che, alla stregua delle risultanze delle assunte testimonianze, era da escludere che il pagamento delle spettanze dell’appellata fosse stato sottoposto a condizione sospensiva; che conseguentemente erano del tutto ininfluenti i rilievi dell’appellante “circa il pagamento totale o parziale del proprio compenso da parte del Comune di Romentino” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Esplicitava infine che non aveva valenza alcuna la deduzione del C. secondo cui il compenso dalla “Comi” preteso sarebbe stato da liquidare in base alle tariffe degli architetti; che invero “Comi” era una società e non vi era riscontro che fosse iscritta all’albo degli architetti.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.R.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “Comi” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

La controricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; l’omessa valutazione delle prove documentali e testimoniali.

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte di merito, ha avanzato contestazioni specifiche in ordine all’operato della “Comi” ancor prima che controparte formulasse richiesta di pagamento.

Deduce che talune delle attività alla cui esecuzione controparte era obbligata, sono state effettuate da altro professionista.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; l’omessa valutazione delle prove documentali e testimoniali.

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, le risultanze probatorie, documentali e testimoniali, danno ragione della deduzione secondo cui il pagamento delle spettanze di “Comi” era subordinato al pagamento dei suoi emolumenti da parte del comune di Romentino.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; l’omessa valutazione delle prove documentali e testimoniali.

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte territoriale, il compenso dovuto alla “Comi” si ricava dal documento n. (OMISSIS) da egli prodotto; che da tale documento si evince che il compenso spettante alla controparte è complessivamente pari ad Euro 21.922,56; che d’altra parte il disciplinare con cui era stato incaricato dal comune di Romentino determinava in Euro 33.000,00, oltre i.v.a., l’importo delle sue spettanze e tale cifra comprendeva sia il compenso per l’attività da egli svolta personalmente sia il compenso per l’attività svolta – solo in parte – dalla “Comi”; che dunque le somme ex adverso pretese sono del tutto sproporzionate rispetto all’attività svolta.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi. Se ne giustifica pertanto la disamina contestuale. Tutti comunque sono destituiti di fondamento.

Si rappresenta previamente che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto vaglio dei propri assunti, riprodurre nel corpo del ricorso l’intero complesso delle dichiarazioni testimoniali rese dal geometra F., dall’architetto B. e dall’avvocato Ca., e non già limitarsi a trascriverne singoli stralci (cfr. Cass. sez. lav. 27.2.2009, n. 4849, secondo cui, qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa); ed in pari tempo ben avrebbe dovuto fornire completa rappresentazione dei documenti, segnatamente delle missive in data 2.4.2002, 13.3.2003, 8.3.2007 e 22.5.2002, del disciplinare d’incarico e del documento n. 10, di cui ha denunciato l’omessa ovvero l’incongrua valutazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980, secondo cui, qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata per l’asserito omesso esame di un documento, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del documento non valutato (o insufficientemente valutato), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione del contenuto dell’atto nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa).

E ciò tanto più che la controricorrente ha reiteratamente denunciato il vizio di “autosufficienza” (cfr., tra l’altro, memoria, pag. 2).

Si rappresenta in ogni caso che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Si rappresenta in particolare che, ai fini di una corretta decisione, è sufficiente che il giudice del merito, dopo aver vagliato le risultanze processuali nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).

Si rappresenta conseguentemente che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Nei termini testè enunciati l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di Torino risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo sul piano logico – formale.

Più esattamente, siccome si è premesso, la corte piemontese ha vagliato nel complesso – non ha dunque obliterato la disamina di punti decisivi – e dipoi ha in maniera inappuntabile selezionato il materiale probatorio cui ha inteso ancorare il suo dictum, altresì palesando in forma nitida e coerente il percorso decisorio seguito.

In ogni caso ed a rigore con i motivi addotti il ricorrente null’altro prospetta se non un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (“il geom. F. (…) nella propria lettera 13.03.2003 (…) attesta di aver provveduto alla correzione e completamento degli elaborati amministrativi che Comi avrebbe dovuto stilare”: così ricorso, pag. 5; “il legale del Comune di Romentino (…) nella propria lettera del 22.05.2002 evidenziava espressamente le lacune e le manchevolezze degli elaborati redatti dalla Comi”: così ricorso, pag. 5; “ulteriore riscontro si trova nella comunicazione con cui l’altro professionista di cui si è avvalso il ricorrente (…), ha presentato il conteggio dei compensi della propria attività”: così ricorso, pag. 6).

I motivi quindi involgono gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I motivi del ricorso dunque si risolvono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

In dipendenza del rigetto del ricorso C.R. va, come da dispositivo, condannato alle spese del presente giudizio di legittimità.

Si dà atto che il ricorso è datato 18.3.2013. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, C.R., a rimborsare alla controricorrente, “Comi” s.r.l., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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