Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13634 del 30/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13634 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: PETITTI STEFANO

proprietà

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

BOTTIGLIERI Francesco (BTT FNC 55E09 C747S) e FERRARA Giuseppina (FRR GPP 61H42 F839W), rappresentati e difesi, per procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Giovanni Amato,
elettivamente domiciliati in Roma, via Cipro n. 46, presso lo
studio dell’Avvocato Vincenzo Noschese;

ricorrenti

contro
SCOPPETTA Laura (SCP LRA 68M61 H703K), SCOPPETTA Ivan (SCP VNI
63T27 H703S), SCOPPETTA Fabio (SCP FBA 72A27 A717S), rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati Giuseppe Avella e Angelo Arciello, elettiva-

Data pubblicazione: 30/05/2013

mente domiciliati in Roma, via Calabria n. 56, presso lo studio
dell’Avvocato Enrico Alessandro;
– controricorrenti nonché nei confronti di

Marta Maria; LO VERDE Roberto; LO VERDE Mauro;
– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 710 del
2008, depositata il 16 luglio 2008.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’il giugno 2012 dal Consigliere relatore Dott. Stefano
Petitti;
sentito

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi, che ha concluso
per la inammissibilità o il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il geometra Senia, dopo aver acquistato il compendio immobiliare in Salerno, costituito dai cespiti posti sui mappali
99, 1295, 100, 1992 e 103 dei fogli 64/A e 64/B, con successivi
atti alienava alcune delle proprietà ai signori Fontana, Fortunati e Scoppetta nonché ad Anna Maria Stabile, Roberto Lo Verde, Mauro Lo Verde e Valerio Parisi. In particolare, la proprietà della particella n. 1992, piccola porzione di terreno di
mq. 220 circa, descritta come “proprietà pro quota al cortile e
spazio di mq. 243 identificati in catasto come la particella

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PALUMBO Giovanni; FONTANA Bruno; FORTUNATI Raffaele; D’ANDRE’

1992 del fol. 64″, veniva indicata negli atti d’acquisto in favore di Fontana, Fortunati, Scoppetta e Stabile, mentre a Marta Maria D’Andrè, a Roberto Lo Verde e a Mauro Lo Verde giungevano in comunione i diritti sull’uantistante terrapieno che sa-

adibita nel frattempo a parcheggio privato, peraltro, venne utilizzata dai Lo Verde, così come venne utilizzato uno sgabuzzino sito sul pianerottolo condominiale, i quali accampavano
sullo stesso diritti di comunione.
In questa situazione Bruno Fontana, Raffaele Fortunati e
Alessandro Scoppetta convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Salerno, la D’Andrè e i Lo Verde, per ivi sentir accertare e dichiarare l’inesistenza, sul cortile o sulla particella
n. 1992 nonché sullo sgabuzzino, di qualsiasi diritto reale o
di servitù in capo ai convenuti, con conseguente condanna al
rilascio immediato dei detti beni e cessazione di ogni turbativa, oltre al risarcimento dei danni.
Nel giudizio così introdotto intervenivano Francesco Bottiglieri e Giuseppina Ferrara, succeduti alla D’Andrè e ai Lo
Verde in virtù di atto di vendita.
L’adito Tribunale, espletata una consulenza tecnica
d’ufficio, accoglieva la domanda principale, limitatamente alle
pretese sulla particella 1992, la cui proprietà in comunione
era indicata solo negli atti di acquisto degli attori.

rà adibito a parcheggio condominiale”. La particelle n. 1992,

Avverso questa sentenza proponevano appello Bottiglieri e
Ferrara, chiedendo che venisse dichiarato il loro diritto di
comunione sulla particella 1992 e che venisse riconosciuta in
loro favore la proprietà esclusiva dello sgabuzzino. Resisteva-

Alessandro Scoppetta, Laura Scoppetta, Ivann Scoppetta e Fabio
Scoppetta, quali successori di Alessandro Scoppetta, i quali
chiedevano, in via di appello incidentale, la dichiarazione
della inesistenza di diritti di proprietà o di altri diritti
reali sullo sgabuzzino in capo agli appellanti principali e la
condanna degli stessi al risarcimento dei danni.
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza depositata il
16 luglio 2008, rigettava sia l’appello principale che quello
incidentale.
Premesso che la presunzione di proprietà comune di cui
all’art. 1117 cod. civ. è superabile solo facendo riferimento
all’atto costitutivo del condominio, sicché la questione andava
affrontata avuto riguardo alla interpretazione degli atti negoziali rilevanti, e rilevato che un atto di trasferimento in via
autonoma della particella 1992 si era realizzato sin dal primo
atto di vendita posto in essere dal Senia, mentre negli atti
successivi il detto trasferimento si era verificato solo negli
atti di Stabile, Fortunati, Onesti e Scoppetta, con esclusione
degli altri acquirenti, la Corte d’appello riteneva che la particella 1992 appartenesse in via esclusiva solo a coloro che la

no Giovanni Palumbo, quale successore di Raffaele Fortunati,

avevano espressamente acquistata dal Senia. Riteneva poi inammissibile la domanda di usucapione, anche abbreviata, proposta
dagli appellanti, in quanto nuova. Rigettava infine l’appello
incidentale, rilevando che la situazione di mancanza di prova

ta dal Tribunale non fosse stata idoneamente censurata.
Per la cassazione di questa sentenza Francesco Bottiglieri
e Giuseppina Ferrara propongono ricorso affidato a cinque motivi; resistono, con controricorso, Laura, Ivan e Fabio Scoppetta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e
falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo che la sentenza
impugnata sarebbe viziata per erronea interpretazione delle domande, che si riverbererebbe in una omissione di pronuncia; in
particolare, le censure si appuntano sul fatto che la Corte
d’appello, al rilievo che il Tribunale, quanto alla domanda
principale e per quel che riguarda la particella 1992 aveva
premesso la natura di

negatoria servitutis della domanda, non

avrebbe fatto seguire alcuna considerazione e alcuna conseguenza. La rilevazione avrebbe indotto la Corte d’appello a non
considerare che essi ricorrenti, in via riconvenzionale, avevano chiesto l’accertamento della comproprietà in loro favore

della proprietà esclusiva dello sgabuzzino e del danno accerta-

sulla detta particella e sullo sgabuzzino, sicché sarebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente

quesito di diritto: «dica l’Ecc.ma Corte se l’impugnata senten-

domanda principale e per quel che riguarda la p.11a 1992, premessa la natura di negatoria servitutis,

osserva”, sia incorso

in una violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che tale pronuncia determina un’evidente mancata corrispondenza tra il chiesto
e il pronunciato».
1.1. Il motivo è inammissibile.
Il quesito che conclude l’esposizione del motivo appare invero di difficile comprensione, non essendo esplicitato il profilo di non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Sotto tale aspetto, poi, non può non rilevarsi che la questione
della qualificazione della domanda principale in termini di negatoria servitutis,

contenuta nella sentenza di primo grado,

non risulta avere formato oggetto di specifica censura in sede
di appello.
Ove poi volesse ritenersi che la denunciata violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. si riferisce alla mancata pronuncia sulla domanda riconvenzionale di accertamento della comunione sulla particella 1992, la censura risulterebbe del tutto
infondata, atteso che la sentenza impugnata chiaramente ha e-

za, nella parte in cui afferma che “il Tribunale, quanto alla

scluso la sussistenza della detta comunione in favore degli appellanti, così rigettando la loro domanda.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e
falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ., sostenendo che la

interpretazione della disciplina delle parti comuni nel regime
condominiale. I ricorrenti sostengono che il giudice di appello
avrebbe desunto a contrario l’esclusione di qualsiasi diritto
di essi ricorrenti sulla particella 1992 nell’apparente silenzio dei rogiti di acquisto dei loro danti causa sul punto.
A

conclusione del motivo, i ricorrenti formulano il seguen-

te quesito di diritto: «dica l’Ecc.ma Corte se per accertare la
nascita della proprietà condominiale occorre fare riferimento
all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di
trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico
proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata
recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti e se, dunque, da esso emerga o meno l’inequivocabile
volontà delle parti di riservare al costruttore-venditore la
proprietà di quei beni che, per ubicazione e struttura, siano
stati potenzialmente destinati all’uso comune».
3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., sostenendo
che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso dalla com-

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Corte d’appello, come prima il Tribunale, avrebbe errato nella

proprietà sulla particella 1992 i soli danti causa di essi ricorrenti sulla sola base del dato letterale degli atti di cessione, in violazione dei principi di ermeneutica contrattuale,
senza tener conto di altri dati da cui invero era possibile co-

A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente

quesito di diritto: «dica l’Ecc.ma Corte se il rilievo da assegnare alla formulazione letterale di una clausola deve essere
verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta al formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua
parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte
soltanto, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro
frasi e parole al fine di chiarirne il significato».
3.1. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili per
inidoneità del quesito con il quale ciascuno di essi si conclude.
Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che «il
quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ.,
rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più
ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzio-

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gliere una volontà opposta.

ne tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio generale, e non può consistere in una mera richiesta
di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come il-

tuire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la
Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di
una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata» (Cass., n. 11535 del 2008; Cass., S.U., n. 2863 del
2009).
In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366bis cod. proc. civ. deve compendiare: «a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad
avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie» (Cass. n. 19769 del 2008) e «non può essere desunto dal
contenuto del motivo, poiché in un sistema processuale, che già
prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art.
366-bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed

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lustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costi-

autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla
formazione immediata e diretta del principio di diritto e,
quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della
Corte di legittimità» (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

rente ad una censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione
del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve
essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte
in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice
richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello
della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello
svolgimento del motivo (Cass. n. 3530 del 2012).
Orbene, nel caso di specie risulta evidente la astrattezza
di entrambi i quesiti, atteso che i ricorrenti prescindono completamente dalla considerazione dell’accertamento svolto della
Corte d’appello, la quale – conformemente del resto, a quanto
ritenuto dal Tribunale – ha sulla base dell’esame dei contratti
di acquisto degli originari attori e di quello dei danti causa
degli odierni ricorrenti e con motivazione immune da vizi logici e giuridici, affermato che la particella 1992, per la termi-

Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quesito ine-

nologia utilizzata nei citati atti di autonomia privata, era
stata esclusa dal regime condominiale, avendo essa formato oggetto di specifica considerazione in alcuni atti e non in altri.

re il rilievo che «nell’interpretazione dei contratti, i canoni
legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole – prevalgono su quelli interpretativi-integrativi; l’indagine sulla corretta applicazione di essi compete al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata» (Cass. n.
27021 del 2008; Cass. n. 6852 del 2010). E, come sostenuto dagli stessi ricorrenti, la Corte d’appello ha fatto applicazione
proprio del criterio letterale di interpretazione dei contratti, sicché si è attenuta puntualmente al richiamato principio,
mentre il sindacato sollecitato dai ricorrenti mira ad una inammissibile diversa ricostruzione della volontà espressa dalle
parti nei contratti oggetto di interpretazione; il che è inammissibile in sede di legittimità.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di
insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, segnatamente con riferimento alle risul-

Alla inidoneità di entrambi i quesiti si deve poi aggiunge-

tanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo
grado.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Nella giurisprudenza di questa Corte è saldo il principio

cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in
vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo
l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel
caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione
al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo
del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità»
(Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass. n. 8897 del 2008; Cass.
n. 11019 del 2011).
Nel caso di specie, difettano sia la chiara indicazione del
fatto controverso, sia la illustrazione delle ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe
inidonea a giustificare la decisione.

per cui «in tema di formulazione dei motivi del ricorso per

5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione
e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione in ordine alla dichiarata inammissibilità,
per novità, della domanda volta all’accertamento dei diritti

usucapione. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il
seguente quesito di diritto: «dica l’Ecc.ma Corte se, atteso
che la proprietà appartiene alla categoria dei diritti autodeterminati ossia individuati sulla base della sola indicazione
del relativo contenuto così come rappresentato dal bene ch bene
forma l’oggetto, con la conseguenza che la causa petendí delle
relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi
e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione ecc. – che ne costituisce la fonte, a deduzione
dell’usucapione, nella fattispecie, non abbia avuto, per
l’effetto, alcuna funzione di specificazione della comanda e se
pertanto l’allegazione da parte degli appellanti di un fatto
costitutivo diverso da quello prospettato in primo grado non
abbia violato dunque il divieto dello ius novorum in appello».
5.1. Il motivo è fondato.
Come esattamente ricordano i ricorrenti, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio per cui «la
proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono
alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo

reali indicati nella domanda riconvenzionale per intervenuta

contenuto quale rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto,
con la conseguenza che la

causa petendi

delle relative azioni

giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale de-

cazione della domanda, ma è rilevante ai soli fini della prova»
(Cass. n. 3089 del 2007; Cass. n. 3192 del 2003; Cass. n. 11521
del 1999).
Pertanto, da un lato, l’attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della

causa petendi,

dall’altro, il giudice può accogliere il petitum

in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il
principio della domanda di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
(Cass. n. 23851 del 2010; Cass. n. 7078 del 1999).
All’evidenza, la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi, dichiarando inammissibile, per novità, la domanda volta all’accertamento dell’acquisto del diritto di comproprietà sulla particella 1992, già avanzata in
primo grado sulla base dei titoli o per effetto
dell’applicazione dell’art. 1117 cod. civ., formulata in appello con riferimento alla intervenuta usucapione.
6. In applicazione del quinto motivo di ricorso, quindi, la
sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo
accolto, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’appello di

duzione non svolge, per l’effetto, alcuna funzione di specifi-

Salerno, in diversa composizione, la quale provvederà altresì
alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibili i primi quattro motivi di

lazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giu-

dizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 11 giugno 2012.

ricorso, accoglie il quinto; cassa la sentenza impugnata in re-

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