Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13634 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Presidente –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25819-2018 proposto da:

INTERNATIONAL CAR DI S.G. & C. SAS, in persona del

legale rappresentante pro tempre, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GOLAMETTO 4 presso lo studio dell’avvocato LORENZO GIUA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO FALANGA;

– ricorrente –

contro

IVECO ORECCHIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 15, presso lo studio

dell’avvocato LUCA MORANI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO GILESTRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Presidente Relatore Dott. COSENTINO

ANTONELLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La società International Car di S.G. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino che, confermando la pronuncia del Tribunale della stessa città, l’ha condannata a pagare alla società Iveco Orecchia S.p.A. la somma di Euro 230.000 a titolo di saldo di plurime fatture per l’acquisto di veicoli usati

La Corte d’appello, nel respingere il gravame della International Car, ha in primo luogo ritenuto che la sottoscrizione apposta al documento di ricognizione del debito del 12.01.2010, azionato in giudizio dalla società Iveco Orecchia S.p.A. quale prova dell’esistenza del suo diritto di credito, fosse autentica e riconducibile al sig. S.G.. Secondo la Corte piemontese la consulenza tecnica, per quanto non fosse giunta a riconoscere l’autenticità della sottoscrizione con assoluta certezza, aveva però espresso un giudizio di “motivata consistente probabilità”, idoneo a soddisfare il livello probatorio richiesto per un giudizio civile in tema di causalità, che non è quello della certezza assoluta “oltre ogni ragionevole dubbio”, quanto piuttosto in termini di “più probabile che non”. In secondo luogo, la Corte d’appello ha ritenuto che correttamente il giudice di primo grado avesse dato rilevanza probatoria alla deposizione dell’unico teste della parte appellata, il sig. M.G., professionalmente deputato alle vendite della società Iveco Orecchia S.p.A., e non invece ai testi della parte appellante, trattandosi di familiari di S.G., coinvolti solo occasionalmente nell’attività della società attrice e, pertanto, privi di una conoscenza approfondita dei fatti.

La società Iveco Orecchia S.p.A. ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 20 febbraio 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Con il primo motivo di ricorso, la società International Car di S.G. & C. s.a.s. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nella valutazione delle risultanze probatorie, violando l’art. 116 c.p.c., in quanto la consulenza tecnica d’ufficio grafologica non aveva confermato con assoluta certezza l’autenticità della sottoscrizione della scrittura privata di riconoscimento del debito, prodotta dalla società Iveco Orecchia S.p.A., avendo al contrario formulato un mero giudizio di probabilità, non di ausilio ai fini della decisione della controversia. Parte ricorrente argomenta, peraltro, che la violazione dell’art. 116 c.p.c. in tema di valutazione delle prove è censurabile in Cassazione anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dando così luogo a nullità della sentenza, qualora il giudice di merito valuti non già in base al suo prudente apprezzamento, quanto sulla scorta di altri e diversi valori, giungendo così ad una non corretta ricostruzione della quaestio facti.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia l’errata valutazione in ordine alle risultanze della prova testimoniale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nel motivo di ricorso si argomenta che le indagini grafiche hanno un limitato valore probatorio, rilevando al più come indizi, sicchè il giudice non può fare a meno di porle in correlazione con tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame. Avrebbe, dunque, errato la Corte d’appello nell’assegnare rilievo decisivo alla consulenza grafologica e alla sola deposizione del teste di controparte, senza peraltro fornire una motivazione adeguata dell’assunto che i testi dell’appellante avrebbero avuto una conoscenza superficiale dei fatti. Parte ricorrente censura, dunque, la motivazione della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., scaturente dal cattivo uso del “prudente apprezzamento” giudiziale, per grave travisamento della prova e conseguente errata ricostruzione del fatto.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Entrambi i motivi in cui esso si articola, infatti, si risolvono nella prospettazione di doglianze di merito e tendono a sollecitare una revisione delle risultanze istruttorie (il primo motivo in relazione alle risultanze peritali, il secondo in relazione alle risultanze testimoniali), notoriamente inammissibile in sede di legittimità.

Va qui ricordato l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. 23940/17).

D’altra parte, come pure questa Corte non ha mancato di precisare, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 16056/16).

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente a rifondere alla società controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000, oltre Euro 200 per esborsi e altri accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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