Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1363 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2011, (ud. 28/05/2010, dep. 21/01/2011), n.1363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GESTIONE SERVIZI PUBBLICI srl, con sede in (OMISSIS), rappresentata

e

Adeguamento difesa dall’avv. ZOPPINI Giancarlo, dall’avv. Piero

Zanzarelli e dall’avv. Giuseppe Mazzuti, presso il quale è

domiciliata in Rema in Via Filippo Corridoni n. 4;

– ricorrente –

contro

A.P. ITALIA srl, con sede in (OMISSIS), in persona del Presidente

legale

rappresentante A.P.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 13/01/05, depositata il 24 marzo 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28

maggio 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La srl Gestione Servizi Pubblici, concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità del Comune di San Giustino Umbro, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria che, accogliendo l’appello della srl AP Italia, dichiarava l’illegittimità dell’avviso di accertamento con il quale era stato richiesto il conguaglio dell’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2001, in relazione a più cartelli installati nel territorio comunale, in forza del D.P.C.M. 16 febbraio 2001, che aveva adeguato le tariffe del tributo a decorrere dal 1 marzo 2001: il giudice d’appello riteneva infatti che tale decreto non potesse trovare applicazione per l’anno in corso, ma solo per il periodo successivo alla sua emanazione e al suo recepimento in apposita delibera comunale, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 3, comma 5.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando “falsa applicazione del D.P.C.M. 16 febbraio 2001”, assume che, essendo fissata dallo stesso decreto la decorrenza degli effetti al 1 marzo 2001, l’adeguamento della tariffa troverebbe applicazione per il periodo d’imposta 2001, atteso che il termine per il pagamento dell’imposta comunale sulla pubblicità sarebbe fissato al 31 marzo 2001 dal decreto del Ministero delle finanze del 16 febbraio 2001, e considerato che le tariffe, a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3, comma 5, si applicano a decorrere dal 1 gennaio dello stesso anno.

Al momento della scadenza del pagamento, perciò, le tariffe in vigore erano quelle di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificate dal detto D.P.C.M. 16 febbraio 2001, emanato ai sensi del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 37. L’adeguamento periodico delle tariffe dell’imposta al costo della vita, previsto da quest’ultima disposizione ed affidato alla competenza del Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede a rideterminarle in misura fissa per le varie categorie di comuni, riguarderebbe la tariffa minima inderogabile ed obbligatoria, cioè di immediata applicazione, che lo Stato si sarebbe riservato di quantificare ed aggiornare in modo del tutto autonomo, ovvero senza alcuna partecipazione o consenso dell’ente locale, e quindi senza bisogno di alcuna delibera di recepimento. A tale tariffa base, poi, potrebbe affiancarsene una variabile, lasciata alla libera valutazione dei comuni, anche se in misura limitata ad una percentuale prefissata dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 11, comma 10; qualora si faccia ricorso a tale facoltà sarebbe, appunto, necessaria una deliberazione del Comune, trattandosi di parte della tariffa, eventuale ed aggiuntiva.

Con il secondo motivo la ricorrente censura la decisione per aver fornito una motivazione insufficiente a spiegarne le ragioni, essendosi limitata a richiamare l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 5206/01 del 18 settembre 2001, senza che sia chiaro il percorso argomentativo seguito.

Il ricorso è infondato.

Il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, recante al capo 1^ “imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni”, all’art. 3, dopo avere disciplinato nei commi da 1 a 4 “l’apposito regolamento per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni” che “il comune è tenuto ad adottare”, stabilisce al comma 5 – nel testo applicabile ratione temporis, anteriore, cioè alla modifica portata con la L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 10, comma 1, lett. a) – che le tariffe dell’imposta e del diritto sulle pubbliche affissioni sono deliberate dal comune “entro il 31 ottobre di ogni anno ed entrano in vigore il primo gennaio dell’anno successivo a quello in cui la deliberazione è divenuta esecutiva a norma di legge, e qualora non modificate entro il suddetto termine, si intendono prorogate di anno in anno”; ma qualora, come nella specie, il comune non provveda, vale a dire “in caso di mancata adozione della deliberazione in questione, si applicano le tariffe di cui al presente capo”.

Le tariffe della “pubblicità ordinaria” sono fissate dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, che, al successivo art. 37, a chiusura del capo I, recante appunto la disciplina dell’imposta, stabilisce al comma 1 che “con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle Finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, le tariffe in materia di imposta sulla pubblicità e di diritto sulle pubbliche affissioni possono essere adeguate, comunque non prima di due anni dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo”. In forza di tale disposizione la tariffa della pubblicità ordinaria di cui al precedente art. 12 è stata dunque “rideterminata”, con decorrenza dal 1 marzo 2001, con il D.P.C.M. 16 febbraio 2001, pubblicato nella G.U. del 17 aprile 2001.

E’ dunque in sè erronea l’affermazione del giudice di merito secondo cui, “poichè a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3, comma 5, e della L. n. 212 del 2000, art. 1, le modifiche tariffarie in materia d’imposta sulla pubblicità sano deliberate dai Comuni entro il 31 ottobre di ogni anno ed entrano il vigore il primo gennaio dell’anno successivo, da ciò consegue che gli strumenti tariffari previsti dal D.P.C.M. 16 febbraio 2001, non risultando recepiti nell’ordinamento comunale di S. Giustino Umbro, non possono avere effetto per l’anno 2001”.

Ma il rilievo del giudice di merito, secondo cui “la rideterminazione della tariffa di cui al D.P.C.M. 16 febbraio 2001, non può trovare applicazione prima dell’emanazione del decreto medesimo (principio di irretroattività)”, essendo stato disposto l’adeguamento nel corso del periodo d’imposta, è immune da censura.

Questa Corte ha infatti di recente affermato, in tema di imposta comunale sulla pubblicità, che “è illegittimo e va disapplicato dal giudice tributario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 5, il D.P.C.M. 16 febbraio 2001, in quanto, nel rideterminare all’art. 2 la tariffa dell’imposta con decorrenza dal 1 marzo 2001, si pone in contrasto con la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1 (Statuto dei diritti del contribuente) nella parte in cui, dopo aver ribadito il principio di irretroattività delle disposizioni tributarie (fatte salve, a determinate condizioni, quelle di natura interpretativa), prevede che, relativamente ai tributi periodici, quale è l’imposta sulla pubblicità, in cui il presupposto impositivo è destinato a durare nel tempo ed il pagamento è dovuto per anno solare di riferimento (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 9), le modificazioni introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono” (Cass. n. 15528 del 2010).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte della contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2010 e, in seconda convocazione, il 20 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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