Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1363 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 19/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.19/01/2017),  n. 1363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.R., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avv. Fiorello Tatone, con domicilio eletto

nello studio dell’Avv. Alessandro Marchetti in Roma, via Paolo

Emilio, n. 71;

– ricorrente –

contro

O.P. e F.A., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Gaetano

Puglielli, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Daniele

U. Santosuosso in Roma, via Giangiacomo Porro, n. 15;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 123/2013 in data 29

gennaio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Fiorello Tatone;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso, condanna aggravata alle spese e

statuizione sul contributo unificato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 21 novembre 2009, L.R., proprietario di un appartamento sito nello stabile condominiale di (OMISSIS) e residente nello stesso, conveniva in giudizio O.P. e F.A., chiedendo la cessazione delle attività rumorose provenienti dall’appartamento dei convenuti, sito nel medesimo condominio, e il conseguente risarcimento del danno.

Si costituivano i convenuti, resistendo.

Il Giudice di pace di Pescara, con sentenza in data 1 marzo 2011, accoglieva la domanda e condannava i convenuti al risarcimento dei danni ex artt. 844 e 2043 cod. civ., quantificati in Euro 1.000.

Il Giudice rilevava che i testi avevano riferito dell’esistenza di rumori dovuti ai lavori di ristrutturazione nell’appartamento di proprietà dei convenuti, protrattisi dal giugno 2008 al settembre 2009; quanto al danno lamentato, lo riteneva provato, sul rilievo che in materia di immissioni sonore, di vibrazioni e di scuotimenti atti a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad uso di abitazione, il danno è in re ipsa e va valutato con prudente apprezzamento, tenuto conto delle particolarità riferentisi alla situazione concreta, al regolamento condominiale e a quello comunale.

2. – Il Tribunale di Pescara, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 gennaio 2013, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni e ha condannato il L. al pagamento delle spese del doppio grado.

Il Tribunale ha ritenuto che, quantunque dimostrata la sussistenza di un’attività rumorosa, non ne è stata provata l’effettiva intollerabilità e, soprattutto, non è stato dimostrato un danno risarcibile.

In ordine al primo rilievo, il Tribunale ha ritenuto implausibile che i lavori di demolizione – i soli implicanti l’uso di strumenti particolarmente rumorosi – si siano protratti per il lasso temporale (oltre un anno) indicato dal L., tanto più che nessuno dei restanti condomini se ne era lamentato; ed in tal senso ha ritenuto non del tutto convincenti le prove testimoniali valorizzate dal giudice di primo grado.

In ogni caso, e quanto al secondo e più decisivo profilo, il Tribunale ha osservato che il pregiudizio lamentato era stato allegato in modo assai generico dal L. (il quale aveva accennato in citazione ad effetti negativi sulla salute e sulla vita di relazione) ed a tale indistinta allegazione non aveva poi fatto seguito alcuna precisazione, tanto meno sul piano probatorio, dovendosi escludere la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile in re ipsa. Nel caso di specie – ha affermato conclusivamente il Tribunale – non solo gravità e serietà del danno non trovano riscontro concreto, ma è carente la stessa deduzione specifica di una incidenza delle immissioni rumorose sulla vita di relazione del L. tale da determinare un danno serio e grave.

3. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale il L. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2013, sulla base di tre motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto assoluto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale erroneamente disatteso il principio dispositivo sotteso alla stessa norma, avendo obliterato il regolamento condominiale e con esso la concreta disciplina convenzionale dei rapporti fra condomini, disciplina la cui osservanza avrebbe dovuto essere ritenuta prevalente rispetto al divieto codicistico e a suoi parametri di individuazione. In particolare, il ricorrente si duole della ritenuta insussistenza di immissioni superiori alla normale soglia di tollerabilità, pur in presenza di un’accertata violazione del regolamento condominiale che prescriveva il divieto di attività rumorose dalle 14.00 alle 16.00.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

La censura non tiene conto del fatto che il giudice del merito, con congruo e ponderato esame delle risultanze processuali, ha escluso che il dato probatorio testimoniale sia univoco nell’acclarare che vi siano state, nell’occasione dei lavori in questione, immissioni rumorose, anche negli orari pomeridiani dedicati al riposo delle persone, tali da eccedere la normale tollerabilità.

Anche là dove denuncia una violazione e falsa applicazione di norme di legge, il ricorrente denuncia in effetti un malgoverno delle risultanze probatorie. Sennonchè, nella specie è applicabile, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza gravata, il nuovo dettato dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Proprio a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che, con la sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, hanno statuito che la disposizione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, ed è solo in tali ristretti limiti che può essere denunziata la violazione di legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle ipotesi che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione.

Il motivo di ricorso neppure considera che il Tribunale ha ritenuto tardivi i richiami, avvenuti soltanto in comparsa conclusionale, alla violazione degli artt. 18 del regolamento condominiale e 35 del regolamento comunale, tali richiami non rintracciandosi nell’atto introduttivo e neppure in atti successivi: e su questo punto non c’è specifica impugnazione.

2. – Il secondo mezzo lamenta “intima contraddittorietà della motivazione reiettiva rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in merito alla richiesta risarcitoria, pur disattesa, nella misura in cui il Tribunale ha speso invano argomenti senza finalità alcuna, perchè inseriti in un contesto probatorio ritenuto insufficiente e quindi disatteso (mancata prova della intollerabilità dei rumori ai sensi dell’art. 844 c.c.)”.

2.1. – Non sussiste la lamentata contraddittorietà, perchè ben può il giudice del merito, senza con ciò incorrere in alcun vizio logico, rigettare la proposta domanda ex art. 844 c.c., per la cospirante convergenza di una duplice ragione giustificativa, sia perchè i rumori e le immissioni non raggiungono il limite della intollerabilità, sia perchè manca la prova sulla esistenza del patito danno.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale erroneamente escluso la risarcibilità del danno esistenziale in esito a lesioni di beni della vita di rilevanza costituzionalità quali la tranquillità, la quiete ed il riposo quotidiano delle persone.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Invero, essendo stato dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui è stata censurata la statuizione che ha escluso la prova del superamento della normale tollerabilità dei rumori, e rigettato il secondo motivo, attinente alla dedotta contraddittorietà della motivazione, il ricorrente è privo di interesse allo scrutinio del presente motivo, con cui ci si duole che non sia stato riconosciuto un danno esistenziale risarcibile.

Infatti, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi (nella specie: mancanza di prova dell’intollerabilità delle immissioni e mancata deduzione specifica di una incidenza di rumori sulla vita di relazione tale da determinare un danno serio e grave), ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile non solo che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate; ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass., Sez. 3, 24 maggio 2006, n. 12372).

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Diversamente da quanto sollecitato dal pubblico ministero, non vi è luogo a condanna a titolo di responsabilità aggravata, non constando che il ricorrente abbia agito con dolo o con colpa grave o con abuso dello strumento impugnatorio.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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