Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13628 del 21/06/2011

Cassazione civile sez. II, 21/06/2011, (ud. 15/04/2011, dep. 21/06/2011), n.13628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Rizzardo Del Giudice,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Paolo Migliaccio in

Roma, via Cosseria, n. 5;

– ricorrente –

contro

T.A.M., Z.V., Z.L. e

ZA.An., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. RIZZO Salvatore,

elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Daniele Ciuti in

Roma, via Giuseppe Pisanelli, n. 2;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

A.D.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n.

802 in data 5 maggio 2009;

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Stefano Di Meo, per delega dell’Avv. Salvatore Rizzo;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 1 febbraio 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: ” Z.M., con atto notificato il 29 novembre 1988, ha convenuto in giudizio Ap.Ad. e – premesso di essere proprietario di un appartamento disposto su tre piani sito in (OMISSIS) e che al terzo piano dell’edificio era stata realizzata una terrazza posta a confine con l’immobile di proprietà di Ap.Ad.;

– ha lamentato che la Ap. aveva aperto quattro luci ed una porta prospicienti la sua proprietà e che utilizzava una parte della terrazza delimitata da una ringhiera fatta posizionare dall’attore medesimo. Tanto premesso, ha chiesto che la convenuta fosse condannata alla chiusura di tutte le aperture realizzate, al rilascio della porzione di terrazzo occupata ed al risarcimento del danno.

Si è costituita la convenuta, resistendo e formulando domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione della proprietà della terrazza e del diritto a mantenere le aperture esistenti.

In corso di causa è deceduto l’attore e si sono costituiti gli eredi T.A., Z.V., Z.L. ed Za.An., i quali hanno chiamato in causa M. P., quale terzo successore a titolo particolare nel diritto controverso. Quest’ultimo si è costituito, resistendo.

Il Tribunale di Treviso, con sentenza in data 21 febbraio 2003, ha condannato la convenuta ed il terzo chiamato al rilascio della porzione della terrazza delimitata dalla ringhiera ed alla chiusura della porta di accesso alla stessa, nonchè alla rifusione delle spese. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 802 depositata il 5 maggio 2009, ha rigettato il gravame del P..

Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale ha rilevato che dalle deposizioni dei testi Pi.Gi. e Da.Ar.

F. emerge che l’intero stabile confinante con quello di Z.M. era di proprietà di Ap.Ad., la quale aveva locato a terzi gli appartamenti andando a vivere in uno di essi, e precisamente in quello prospiciente la terrazza, nel 1984, anno in cui fece costruire la porta di accesso alla terrazza stessa, nel mentre prima si accedeva ad essa attraverso le altre aperture poste sul pianerottolo. Secondo la Corte d’appello, tali aperture non erano porte ma semplici finestre e l’accesso alla terrazza avveniva ponendo una scaletta che consentiva agli inquilini di salire sul davanzale.

La Corte di Venezia ha sottolineato: (a) che tale modalità di accesso da parte degli inquilini rivela la sua saltuarietà e, soprattutto, il fatto che esso avveniva per mera tolleranza da parte del proprietario della terrazza; (b) che la circostanza che la terrazza sia stata costruita nel 1966 e che fin dall’inizio sia stata posta dal proprietario la ringhiera a delimitazione della parte di essa prospiciente lo stabile non indica inequivocabilmente la volontà del proprietario stesso di dismettere l’uso del bene quanto la cautela che egli ha inteso adottare affinchè dalle finestre poste sul pianerottolo delle scale dello stabile confinante non si accedesse alla sua proprietà; (c) che solamente nel 1984 la parte di terrazza al di là della ringhiera è divenuta accessibile ed è iniziato l’esercizio del possesso ut domina da parte della Ap., in quanto solo da allora è stato posto in essere un accesso diretto che rilevava la volontà della stessa di usare il bene; (d) che l’appellante non ha acquistato per usucapione il diritto di proprietà della terrazza nè quello di mantenere la porta di accesso alla stessa, non essendo trascorso il tempo necessario.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 ed il 17 giugno 2010, sulla base di tre motivi. Hanno resistito con controricorso T.A. e V., L. e A. Z., mentre l’altra intimata – Ap.Ad. – non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il primo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1142, 1143, 1144, 1146, 1158 e 2697 cod. civ. , in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con connessa carenza e contraddittorietà della motivazione) pone il quesito se “nei rapporti tra vicini, il possesso esercitato su di un bene immobile attraverso l’accesso continuativo ai luoghi, per un periodo prolungato di tempo, accompagnato dalla dismissione del bene da parte del proprietario, possa essere definito saltuario, e meramente tollerato dal proprietario stesso, in ragione delle modalità di accesso ai luoghi o se, viceversa, ai sensi degli artt. 1142, 1143, 1144, 1146, 1158 e 2697 cod. civ., debba essere esclusa la tolleranza ed il possesso essere ritenuto idoneo ed utile ai fini dell’accoglimento della domanda di usucapione”. Il motivo è inammissibile, perchè il quesito di diritto con cui si conclude muove da una premessa in fatto – la dismissione del possesso da parte del proprietario – diversa dall’accertamento compiuto, con logico e motivato apprezzamento, dal giudice del merito, il quale ha rilevato come, fino al 1984, l’accesso da parte degli inquilini era saltuario ed avveniva per mera tolleranza da parte del proprietario dello stabile, il quale non aveva affatto dimesso l’uso del bene.

Il secondo motivo (omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai fini della decisione) lamenta l’obliterazione della testimonianza della Pi. che, se valutata, avrebbe confermato il possesso continuato nel tempo nonchè la dismissione del bene da parte del proprietario, essendo irrilevanti le modalità non comode di accesso ai luoghi. Il motivo è inammissibile.

Risulta per tabulas dalla sentenza impugnata che la Corte è pervenuta al proprio convincimento – motivato con logico e congruo apprezzamento delle risultanze di causa utilizzando, tra l’altro, le deposizioni dei testi Pi.Gi. e Da.Fo.Ar..

Il motivo – oltre a risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie (con riferimento in particolare alla deposizione della teste Pi.) che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tiene conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.

Spetta, infatti, solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la motivazione (Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n, 27162).

Il terzo motivo denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai fini della decisione. La Corte d’appello avrebbe ritenuto saltuari gli atti di possesso, ma questa affermazione sa-rebbe inconciliabile con l’affermazione attinente alla cautela adottata dai proprietari, attraverso l’apposizione della ringhiera, al fine di difendersi dalle ingerenze dei vicini.

Non sussiste la lamenta contraddittorietà logica, perchè nella sentenza impugnata non v’è alcuna affermazione circa la funzione di reazione della ringhiera contro accessi già in atto.

Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Letta la memoria dei controricorrenti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2011

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