Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13627 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. II, 19/05/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 19/05/2021), n.13627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23297/2016 R.G. proposto da:

I.G., in proprio e quale erede di P.I.,

I.F., I.A., IA.AN. e

I.E., tutti in qualità di erede di P.I., rappresentati

e difesi dagli Avv. Gregorio Iannotta e Federica Iannotta, con

procura speciale in calce al ricorso e con domicilio in Roma, viale

Bruno Buozzi n. 82, presso lo studio dei loro difensori;

– ricorrenti –

contro

D.E., rappresentata e difesa dagli Avv. Prof. Giorgio

Costantino, ed Emanuele Cartoni, con mandato a margine del

controricorso e con domicilio in Roma, via Cassiodoro n. 1/a, presso

lo studio del primo difensore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TECHNINVEST s.r.l., in persona del legale rappresentate pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari – Sezione

distaccata di Sassari n. 182 depositata il 19 aprile 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Tempio Pausania – Sezione distacca di Olbia, con sentenza n. 8 del 2012, in parziale accoglimento della domanda proposta da D.E. nei confronti della Techninvest s.r.l., svolto intervento adesivo ed autonomo da I.G. e P.I. in I., dichiarava la comproprietà pro indiviso dell’attrice e degli intervenienti della porzione di terreno sito in (OMISSIS), individuata al Catasto foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS);

– sul gravame interposto dall’originaria attrice, la Corte d’appello di Cagliari, nella resistenza degli appellati – intervenienti (costituiti gli eredi di P.I.), rimasta contumace la società Techninvest, in parziale accoglimento dell’impugnazione e in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’appellante proprietaria esclusiva della porzione di terreno in questione, con soccombenza delle spese processuali, affermando previa dichiarazione di ammissibilità dell’intervento spiegato dagli appellati, i quali prospettavano la comproprietà del bene in questione, per cui facevano valere un’ipotesi di contraddittorio necessario – che nella specie andava valorizzato il rapporto pertinenziale tra l’unità immobiliare della D. ed il giardino circostante, pacifico che D.A., comune dante causa, originario proprietario dell’intero complesso immobiliare costituito dagli appartamenti di rispettiva proprietà delle parti, aveva usucapito il giardino già nel 1992, trascorsi venti anni dall’acquisto risalente al 1972 per averlo posseduto uti singuli provvedendo a recintarlo e ad apporvi i cancelli in corrispondenza degli ingressi. In particolare, dall’atto di divisione del 20 gennaio 2005 intervenuto tra D.V. (dante causa di D.E.) e D.C. e P. (danti causa degli appellati), in forza del quale il primo acquistava la proprietà esclusiva dell’appartamento sottostante, mentre i secondi quella dell’appartamento al piano primo, nonchè dall’atto di vendita del 19 maggio 2005 con il quale D.P. e C. trasferivano all’appellante l’appartamento posto al piano primo con tutti gli annessi connessi accessori e pertinenze, da porsi in relazione a quanto emergeva dalla prova testimoniale e dallo stato dei luoghi, per cui l’accesso al giardino era consentito solo al proprietario dell’appartamento posto al piano terra ai sensi dell’art. 818 c.c.;

– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Cagliari ricorrono gli I., sulla base di due motivi, illustrati anche memoria;

– resiste con controricorso la D., contenente anche ricorso incidentale affidato a tre motivi, rimasta intimata la società Techninvest.

Atteso che:

– con i due motivi del ricorso principale – da trattare unitariamente per la evidente contiguità argomentativa – gli I. lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 817 e 818 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c. e dell’onere della prova che dovrebbe governare la valutazione delle prove in regime di pertinenze. Ad avviso dei ricorrenti, gli elementi posti a fondamento della decisione, quale l’accesso al giardino da parte del solo proprietario dell’appartamento posto al piano terra – piano rialzato, il collegamento dell’illuminazione e della irrigazione del giardino al solo predetto appartamento, non dimostrerebbero la natura pertinenziale di detto bene, dal momento che l’originario unico proprietario dell’intero stabile utilizzava il giardino per entrambe le unità. Del resto la recinzione dell’area sarebbe stata apposta dallo stesso unico proprietario, con la conseguenza che non ne poteva essere tratta la conclusione cui era giunta la Corte di merito. Aggiungono che sarebbero stati valorizzati, per ritenere il vincolo di pertinenzialità, gli stessi elementi di giudizio relativi alla

maturazione dell’usucapione.

Le censure nel loro complesso sono infondate e pertanto devono essere rigettate.

I ricorrenti assumono che la Corte distrettuale sarebbe incorsa nella dedotta violazione di legge nella parte in cui, rilevato il collegamento dell’accesso al giardino da parte del solo proprietario dell’appartamento posto al piano terra/piano rialzato, al pari dei servizi di illuminazione ed irrigazione, aveva ritenuto che gli originari unici proprietari dell’intero stabile, D.V., da una parte, e D.C. e P., dall’altra, avessero deciso di destinare l’area oggetto di controversia a “pertinenza” dell’appartamento assegnato a D.V. e, sulla scorta di tale ricostruzione, aveva considerato che fosse da escluderne la proprietà comune e, quindi, la natura condominiale. Diversamente dalla rappresentata ricostruzione dei ricorrenti, occorre evidenziare che, con motivazione congrua e logica, la Corte di secondo grado, ripercorrendo i vari passaggi di trasferimento delle proprietà, ha rilevato come l’originario unico proprietario dell’intero stabile, D.A., aveva sempre tenuto distinte le due unità abitative, collegando il giardino al solo appartamento al piano terra, tanto da tenere distinte anche le utenze, a cui aveva poi fatto seguito la divisione dello stabile, con atto del 20 gennaio 2005 intervenuto tra D.V., dante causa di D.E., e D.C. e P., danti causa degli I., nel quale risultava univocamente significativa la comune volontà di siffatti proprietari dell’intero edificio di confermare lo stato dei luoghi, circostanza che trovava riscontro in tutti i contratti di provenienza l’area controversa, nei quali era stata definita come pertinenza esclusiva dell’appartamento posto al piano terra, come confermato dalla produzione documentale.

In tal senso risulta logicamente giustificata la consequenziale affermazione della Corte di merito in virtù della quale l’univoco e concorde comportamento di D.V. e di D.C. e P., prima ancora di D.A., era compatibile con le risultanze dei numerosi contratti stipulati e per come emergente dalla destinazione in concreto impressa all’area in discorso, stava a dimostrare che questa ultima, già dal 1972, aveva assunto, per “facta concludentia” (non essendo necessaria, in proposito, l’adozione di un forma solenne: cfr., ad es., Cass. n. 3574 del 1999 e Cass. n. 6230 del 2000), la natura giuridica di parte pertinenziale dell’appartamento posseduto uti singuli dal dante causa di D.E..

Del resto la destinazione a pertinenza di una cosa considerata accessoria rispetto ad altra considerata principale può derivare o dalla destinazione oggettiva e funzionale dell’una al servizio dell’altra o dalla destinazione operata dal proprietario di quest’ultima. Ai sensi del plesso normativo costituito dagli artt. 817 e 819 c.c., la volontà di destinare in modo durevole una cosa al servizio o ad ornamento di un’altra, così come quella di far cessare il rapporto pertinenziale già costituito, non necessita di forme particolari o solenni, ma può essere desunta da qualsiasi elemento ritenuto idoneo a tal fine dal giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in sede di legittimità, se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici (cfr., al riguardo, Cass., sentt. n. 11437 del 2010, n. 26946 del 2006).

Argomentando nei termini sopra espressi, tenuto conto anche delle oggettive risultanze documentali verificate negli atti di alienazione degli immobili, il giudice di appello si è conformato al condivisibile principio già espresso dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 16914 del 2011). Del resto la volontà dell’originario proprietario del complesso edilizio manifestata asservendo il giardino al solo appartamento posto al piano terreno dell’edificio, non risultava essere stata modificata nel corso del possesso delle singole porzioni da D.V., da una parte, e D.C. e P., dall’altra, per cui rispetto a siffatta decisione, rimangono del tutto irrilevanti i rilievi dei ricorrenti, sovrapponendosi alla volontà manifestata dagli originari proprietari;

– passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 101 c.p.c., comma 2, per avere la sentenza impugnata del tutto omesso la pronuncia sulla seconda particella in ordine alla quale il primo giudice – in accoglimento della domanda attorea – aveva comunque dichiarato l’acquisto per usucapione, seppure in comproprietà, oltre ad avere dichiarato la inefficacia della transazione, rilevando la questione d’ufficio, senza provocare il contraddittorio tra le parti.

Entrambi i profili di censura sono privi di pregio.

Quanto alla prima questione va rilevato che la sentenza di appello è di parziale riforma della pronuncia del giudice di prime cure relativamente alla accertata comproprietà che, pertanto, rimane confermata per la particella n. (OMISSIS), verificata la proprietà esclusiva solo per quella che individua il giardino, ossia la particella n. (OMISSIS). Per ciò che attiene alla denuncia di pronuncia ultrapetita quanto alla inefficacia della transazione, viene immediatamente in rilievo il disposto dell’art. 112 c.p.c., secondo il quale il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, dovendosi riconoscere che il tenore letterale della norma è tale da configurare come “normale” la pronuncia d’ufficio, sicchè il richiamo alle eccezioni non rilevabili dal giudice si traduce in un avvertimento dell’esistenza di casi particolari nei quali l’iniziativa della parte è indispensabile.

Come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito (cfr., oltre Cass., Sez. un., n. 1099 del 1998; Cass. n. 11108 del 2007; Cass. n. 421 del 2006; Cass. n. 15661 del 2005; Cass. n. 16501 del 2004), l’art. 112 c.p.c., è una norma di rinvio alle disposizioni che prevedono caso per caso l’indispensabile iniziativa della parte, senza che sia necessaria o possibile per l’interprete la ricerca di un criterio generale di individuazione che resta inespresso nelle norme sopra indicate e che non è dato desumere da altra norma o dall’intero sistema: non, in particolare, il criterio che individua l’eccezione in senso stretto nella contrapposizione di un fatto idoneo ad impedire gli effetti tipici del fatto costitutivo (secondo una configurazione simile all’exceptio di formazione pretoria) e l’eccezione in senso lato, o mera difesa, nella negazione del diritto azionato (da far valere nei modi più svariati: negando il fatto costitutivo della domanda ovvero l’esistenza della norma o la sua applicabilità al caso concreto, e in genere negando l’esistenza delle condizioni del provvedimento richiesto), che l’ordinamento rivela ipotesi di rilevabilità d’ufficio di meri fatti impeditivi o estintivi e, al contrario, ipotesi in cui la inesistenza del titolo dipendente da situazioni giuridiche (quale la prescrizione del diritto) deve essere fatta valere dalla parte interessata.

Ne risulta, in definitiva, che nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte (artt. 1242,2938,2969 c.c.); ma come la richiamata giurisprudenza non ha mancato di osservare ricorrono ipotesi in cui l’iniziativa necessaria della parte, a prescindere dalla espressa previsione normativa, è richiesta “strutturalmente”, perchè il fatto integratore della eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio, come si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive, prevedendosi la facoltà del convenuto di proporre la relativa eccezione, le quali ipotesi di eccezione in senso proprio sono accomunate a quelle così previste espressamente dalla legge (compensazione, prescrizione, decadenza) dalla circostanza che la scelta del debitore di eccepire o no il fatto o la situazione giuridica impeditiva o estintiva discende dalla tutela di un interesse di merito dello stesso debitore di adempiere comunque alla pretesa attorea. Sta di fatto che in tale novero non rientra la statuizione di efficacia o inefficacia di un preteso accordo transattivo parziale concluso fra le parti, allorchè la circostanza sia stata introdotta nel giudizio da una delle parti (nella specie la stessa ricorrente incidentale), la cui valutazione non è rimessa al previo rilievo di una eccezione in senso proprio nè corrisponde, per sua struttura, alla titolarità di un’azione costitutiva, sicchè per il suo apprezzamento non è configuratile alcuna decadenza.

Sotto ogni profilo, dunque, deve ritenersi che la questione è stata ritualmente esaminata dal Giudice d’appello, mentre la relativa valutazione di merito è stata censurata solo con riferimento al cattivo esercizio di poteri officiosi: poteri che però, nella specie, il Giudice di merito non aveva ragione di non esercitare, operando nel sistema processualcivilistico vigente il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (v. di recente, Cass. n. 5409 del 2019);

con il secondo e con il terzo motivo la ricorrente incidentale lamenta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 100 c.p.c., oltre a violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 1966 c.c. per non avere la corte di merito tenuto conto della transazione stipulata con scrittura privata autenticata del 15.04.2009 fra la D. e la società convenuta quanto alla porzione di terreno della superficie di mq 87.

Le due doglianze – evidentemente connesse prospettando entrambe, seppure sotto diversi profili, la medesima questione sono inammissibili prima che infondate, in quanto non colgono la ratio decidendi, in virtù della quale il giudice del gravame ha escluso la efficacia dell’accordo di cessione intervenuto fra la D. e la Techninvest il 15 aprile 2009, per non essere la cedente al momento della stipula più proprietaria del bene a far tempo dal gennaio 2009. L’inidoneità delle argomentazioni espresse con la critica a scalfire l’ordito motivazionale rivela la inconsistenza della denuncia.

Conclusivamente, vanno respinti entrambi i ricorsi.

Le spese processuali, considerata la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate fra le parti.

Poichè i ricorsi, principale ed incidentale, sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta entrambi i ricorsi;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio in

cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali sia della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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