Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13626 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 02/07/2020), n.13626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10812-2014 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. MIRABELLO

17, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ZARDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE MISCIONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA NAZIONALE PER LE NUOVE TECNOLOGIE, L’ENERGIA E LO SVILUPPO

ECONOMICO SOSTENIBILE, già ENEA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 214/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/03/2014 R.G.N. 742/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 214, resa in data 6 marzo 2014, la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta nei confronti dell’ENEA da V.A., fisico nucleare, per far valere il suo diritto alla progressione orizzontale dalla posizione 1 a quella 2 del nono livello del c.c.n.l. ENEA personale non dirigente ed al pagamento delle relative differenze retributive;

la tesi del ricorrente era di aver conseguito, a seguito della valutazione della Commissione preposta, un punteggio totale di 84,5 punti (di cui 40 per anzianità e 44,5 per titoli) e di essere stato illegittimamente escluso dalla graduatoria dei 100 posti previsti per il passaggio di posizione laddove i nominativi inseriti avevano punteggi che andavano da un minimo di 47,5 punti ad un massimo di 82;

rilevava la Corte territoriale che la procedura selettiva per la progressione di livello in questione, in conformità con le previsioni dell’autonomia collettiva, fosse stata affidata ad apposita commissione finalizzata all’accertamento del merito scientifico o tecnologico nell’ambito del contingente massimo individuato in relazione alle risorse disponibili, nella specie pari a 100 unità;

evidenziava che non fosse prevista una graduatoria finale con relativi punteggi ma semplicemente una proposta di detta commissione che tenesse conto: a) dello spessore e tipologia delle attività svolte e dei risultati raggiunti nel periodo 2004/2005; b) dei titoli posseduti (valutati, nel caso del V., pari a 44,50 punti);

riteneva che la valutazione sub a) ben potesse in concreto essere tale da annullare il vantaggio derivante dai titoli sub b) (titoli e anzianità);

riteneva, per il resto, che le doglianze difettassero di specificità e che, in ogni caso, anche il riconoscimento di un maggior punteggio per i titoli sub b) non avrebbe giammai potuto essere tale da determinare l’inclusione del V. tra le 100 posizioni beneficiare dell’avanzamento de quo;

2. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.A. con tre motivi;

3. l’ENEA ha resistito con controricorso;

4. il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 13 c.c.n.l. Enea biennio economico 2004-2005;

sostiene che la decisione impugnata sarebbe basata su un falso presupposto, fondato su ipotizzati principi mai dedotti dalla convenuta e che la Corte territoriale avrebbe del tutto inventato l’esistenza di una valutazione sullo spessore e tipologia delle attività svolte e dei risultati raggiunti nel periodo 2004-2005, che la commissione giudicatrice non aveva esaminato nè era stata posta a fondamento delle difese della convenuta;

richiama la circolare n. 808/2008 DG e in particolare i criteri di valutazione esplicitati al punto B3 e sostiene che, quanto al criterio sub 1 di detto punto B3, relativo a spessore e tipologia attività svolte e risultati raggiunti nel periodo 2004-2005 così come desumibili dalla scheda redattà, la commissione non aveva espresso (nè doveva esprimere) alcuna valutazione perchè il sub 1 è un grado di analisi o un criterio orientativo generale;

assume che, oltre ad aver totalizzato un voto più alto su punteggio anzianità e punteggio titoli, aveva anche ricevuto un commento dal suo diretto superiore, come riportato nella sezione E1 della scheda descrizione attività;

evidenzia che la Commissione, dato atto che “non tutti i responsabili di macrostruttura hanno ritenuto di esprimere propri commenti nella sezione G della scheda descrizione attività”, aveva orientato la propria valutazione “sulla base di quanto riportato nelle sezioni E1 ed E2 da parte del diretto superiore del candidato” (e così in particolare sulla base delle note aggiuntive redatte dal diretto superiore del V., presenti, come detto, nella sezione E1);

rileva che quanto sopra evidenziato avrebbe escluso ogni collegamento tra la valutazione sub 1, a cui si riferisce la motivazione della sentenza, e le suddette note, poichè queste sono espressione di un giudizio reso dal diretto superiore e non dalla Commissione;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe motivato la propria decisione contro le regole del contratto collettivo (che riguardo alla progressione economica fa esplicito riferimento ai criteri di imparzialità, trasparenza, tempestività, economicità di espletamento e specifica che le procedure relative ai ricercatori e tecnologi sono affidate a Commissioni finalizzate all’accertamento del merito scientifico);

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 1337 e 1375 c.c.;

sostiene che l’Ente non avrebbe mai fornito le motivazioni della sua esclusione;

3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia nullità sentenza e procedimento e vizio di ultrapetizione;

assume che la Corte d’appello avrebbe posto a fondamento della decisione fatti ed eccezioni mai dedotte ed avrebbe inventato che c’era stata una valutazione dei titoli mai dedotta;

4. il ricorso, nei vari profili in cui è articolato, è inammissibile;

5. il primo motivo non può accogliersi per il dirimente rilievo che esso è formulato, nella forma, come deduzione di violazione o falsa applicazione di norme di diritto o di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro ma, nella sostanza, come vizio di motivazione (e ciò a prescindere dall’indicazione numerica di uno dei canali di accesso di cui all’art. 360 cit.: cfr. Cass., Sez. Un., n. 17931/13);

ed infatti le doglianze, pur prospettate come error in iudicando (peraltro senza alcuna deduzione in ordine all’interpretazione ed applicazione alla fattispecie della disciplina legale e contrattuale di riferimento), risultano sostanzialmente incentrate su una diversa ricostruzione degli elementi di fatto ritenuti decisivi;

5.1. al riguardo, va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ora nei limiti di cui al nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394);

5.2. è dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di diritto su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa;

5.3. in ogni caso, anche sotto il profilo del vizio motivazionale i motivi sono del pari da disattendere;

5.4. è pur vero che al presente ricorso non si applica, contrariamente a quanto sostenuto dal controricorrente, l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, – introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – che vieta la proposizione del ricorso per cassazione in relazione all’art. 360, n. 5 cit. codice, in caso di doppia pronuncia conforme di merito (come avvenuto nel caso di specie), trattandosi di norma applicabile (ai sensi cit. art. 54, comma 2) solo ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012 (e cioè dopo l’11 settembre 2012), mentre nel caso di specie il giudizio d’appello era già pendente sin dal 28 giugno 2012 (v. Cass. 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass. 11 maggio 2018, n. 11439), nondimeno le censure incontrano i ristretti limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 così come rigorosamente interpretato da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, secondo cui non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (ciò si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, di motivazione del tutto apparente, di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie);

5.5. si aggiunga che, quanto alla ritenuta attribuzione di un punteggio inferiore a quello di spettanza, i rilievi, che sono per lo più incentrati sul contenuto della circolare n. 808/DG del 23 dicembre 2008 (riprodotta alle pagg. da 7 e 11 del ricorso per cassazione) senza che emerga quando ed in che termini tale circolare (di cui non vi è specifica menzione nella sentenza impugnata) sia stata sottoposta ai giudici di merito, neppure scalfiscono il passaggio motivazionale secondo il quale i motivi di appello, sul punto, erano carenti sotto il profilo della specificità “non essendo consentito un mero rinvio alle allegazioni di primo grado” (v. pag. 4 della sentenza) e quello, ulteriore, secondo cui “difetta il necessario nesso di causalità” atteso che “anche ove fosse stato attribuito un punteggio più elevato in ordine ai titoli, di per sè solo non vi sarebbero elementi, anche solo presuntivi, idonei a fare ritenere che parte appellante sarebbe stata includibile nelle 100 posizioni beneficiarie degli avanzamenti de quo” (v. sempre pag. 4 della sentenza);

6. del tutto nuova, e come tale inammissibile, è, poi, la questione posta con il secondo motivo di ricorso, relativa alla circostanza che l’Ente delle non avrebbe mai fornito le motivazioni della sua esclusione;

va, infatti, ribadito il principio, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804 e la giurisprudenza ivi richiamata), oneri, nella specie, non adempiuti dal ricorrente;

7. anche il terzo motivo è inammissibile;

7.1. le modalità di redazione del ricorso (per lo più costituito dalla riproduzione di documenti: circolare, tabelle, estratti punteggi dei candidati) non consentono di apprezzare il vizio di ultrapetizione denunciato, mancando ogni testuale riferimento agli atti processuali (con la debita trascrizione degli stessi nella loro completezza, con riferimento alle parti oggetto di doglianza) che avrebbero potuto dare conto della posizione effettivamente assunta dall’ENEA;

7.2. peraltro, come da questa Corte già affermato, il giudice di merito incorre nel vizio di extrapetizione quando attribuisce alla parte un bene non richiesto perchè non compreso neppure implicitamente o virtualmente nelle deduzioni o allegazioni, e non quando ponga a fondamento della decisione esiti documentali che, relativi agli atti del giudizio di primo grado, naturalmente si offrono alla valutazione del giudice d’appello in quanto legittimamente acquisiti al preventivo e potenziale contraddittorio (v. tra le più recenti Cass. 7 maggio 2019, n. 12014; Cass. 21 marzo 2019, n. 12014; Cass. 11 aprile 2018, n. 9002);

7.3. anche qualora il giudice del merito abbia ritenuto che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda – o eccezione – non siano utili a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso – o dell’eccezione – (come avvenuto nella fattispecie in esame in cui la Corte felsinea ha escluso la fondatezza della dedotta illegittimità delle minor valutazione del requisito dello “spessore e tipologia delle attività svolte e dei risultati raggiunti nel periodo 2004/2005″), non può ritenersi sussistente nè la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, nè la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia (rilevando eventualmente le censure, previo il rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., o ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata, situazioni entrambe insussistenti nel caso di specie);

8. per tali motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

9. l’onere delle spese del giudizio di legittimità resta a carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della soccombenza;

10. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), se dovuto”.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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