Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13625 del 21/05/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 21/05/2019), n.13625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. ROMEO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22138-2016 proposto da:

COMUNE STORNARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 33, presso lo studio

dell’avvocato LUCIANA CANNAS, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SERGIO ALVARO TROVATO, giusta procura a

margine;

– ricorrente –

contro

L.A., L.D., L.M.G.,

L.V.A., L.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1510/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 14/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA ROMEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CANNAS che ha chiesto

l’accoglimento e si riporta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Comune di Stornara proponeva appello avverso la sentenza della CTP di Foggia che aveva accolto i ricorsi riuniti presentati da L.M., L.A., L.G., L.D. e per quest’ultimo deceduto L.M.G. e L.V.A., avverso gli avvisi di accertamento ICI per parziale versamento di imposta per gli anni 2006, 2007 e 2008 e relative sanzioni riguardanti alcuni terreni ereditati dai predetti e inseriti nel PRG come edificabile.

Con detti avvisi di accertamento – notificati nel 2011 – il Comune applicava con effetto retroattivo, le aliquote e i valori attribuiti per le aree edificabili con Delib. comunale 30 marzo 2010, n. 23.

Il primo giudice accoglieva le doglianze dei contribuenti rilevando l’assoluto difetto di motivazione degli atti opposti sulla constatazione che essi erano privi di ogni riferimento ai criteri in base ai quali l’Ente fondava la maggiore pretesa su aree edificabili poste in “zona C di espansione non lottizzata”.

Il Comune impugnava detta sentenza di fronte alla CTR della Puglia, sez. staccata di Foggia, contestando l’eccepito vizio motivazionale sul presupposto che negli atti erano stati indicati tutti gli elementi necessari per rendere edotti i contribuenti delle ragioni poste a fondamento della pretesa. Rilevava inoltre l’infondatezza dei ricorsi proposti da alcuni dei contribuenti ( L.D. e L.G.) che avevano aderito agli accertamenti per adesione per l’anno 2005, avendo l’Ente usato i medesimi parametri anche per gli anni successivi in contestazione. Gli appellati, ribadendo l’esattezza della pronuncia del primo giudice, evidenziavano che il difetto di motivazione sugli atti impositivi derivava, in particolare, dalla circostanza che gli atti impugnati non consentivano di comprendere le ragioni e i criteri utilizzati per la determinazione del maggior valore per mancanza degli elementi di confronto e specificavano che in concreto i terreni non erano edificabili per mancanza di lotto minimo e per essere allocati in zona C di espansione, in realtà caratterizzata dal mancato sviluppo della popolazione indigena.

La CTR, dopo aver disposto consulenza tecnica volta ad accertare l’esatta collocazione dei terreni in questione rispetto alle zone urbanistiche individuate nella Delib. 30 marzo 2010, n. 23, e il relativo valore, rigettava l’appello. In particolare riteneva provata la circostanza che i terreni, negli anni ai quali si riferivano gli accertamenti, non erano collocabili in nessuna delle zone di cui alla Delib. n. 23 del 2010, che prevedeva la zona Centrale, la zona B di completamento, la zona C parzialmente lottizzata (con due diversi indici di edificabilità), zona PIP e zona PEEP, con la conseguenza che, non essendo stata indicata nella delibera una zona C di espansione non lottizzata, ai terreni in contestazione non potevano essere attribuiti i valori indicati negli atti impugnati, così confermando il vizio di motivazione rilevato dal primo giudice.

Ricorre per cassazione l’ente impositore con ricorso affidato a tre motivi.

La parte contribuente non ha esplicato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo il Comune di Stornara eccepisce violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2, 5 e 11, alla L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, sostenendo che la sentenza “è erronea sia con riferimento al ritenuto difetto di motivazione degli avvisi di accertamento”… “sia in ordine al valore delle aree edificabili determinato dall’Ente, sia alla ritenuta irretroattività della Delib. della Giunta Comunale n. 23 del 2010, che ha fissato i valori delle aree edificabili in contestazione, sia con riferimento alla C.T.U. le cui risultanze sono state illegittimamente disattese”.

La censura non può essere accolta.

Il motivo di ricorso, nella sua concreta esplicazione, sottende in realtà una diversa doglianza volta ad ottenere una differente valutazione del materiale probatorio: infatti il ricorso lamenta che la sentenza impugnata non ha considerato il contenuto degli avvisi di accertamento che si assume essere “motivati sia in ordine al presupposto per la tassabilità delle aree edificabili sia per quanto concerne i criteri di stima per la quantificazione del valore delle aree stesse” e continua rilevando che “l’obbligo di motivazione da parte del Comune di Stornara è stato puntualmente assolto con il preciso riferimento, contenuto negli avvisi di accertamento in liquidazione al regolamento Generale delle Entrate, approvato con Delib. del c.c. 30 novembre 2002, n. 29, come successivamente modificato ed integrato con Delib. del c.c. 27 gennaio 2010, n. 2…” ed ancora “nella pretesa tributaria risultano indicati (oltre allo strumento urbanistico che qualifica l’area come edificabile) gli elementi richiesti dalla legge atti a quantificarne il valore”.

La CTR, al fine di stabilire il valore terreni, ha disposto consulenza tecnica per accertare l’esatta collocazione degli stessi rispetto alle zone urbanistiche indicate nella Delib. del Comune 30 marzo 2010, n. 23. In esito alla consulenza il giudice di appello ha ritenuto infondate le doglianze dell’Ente impositore con ampia logica e congruente motivazione su tutti gli elementi dedotti dall’appellante (cfr. pag. 7 e 8 sentenza) dando conto, con argomentazioni ragionate e coerenti, anche del perchè ha disatteso le conclusioni del c.t.u..

A fronte di ciò l’odierno ricorrente ha contrapposto doglianze che ripercorrono gli stessi motivi di appello chiedendo in sostanza una nuova valutazione del medesimo materiale probatorio, senza contrastare, nel motivo in esame, la ragionevolezza delle argomentazioni utilizzate dalla sentenza.

Il motivo si palesa dunque inammissibile, pretendendo da questa Corte, sotto l’apparente deduzione di una falsa applicazione di legge, di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio.

Del pari inammissibile è la doglianza – peraltro declinata in termini assai generici e ancora una volta senza contrastare le articolate motivazioni sul punto della sentenza impugnata – sul mancato accoglimento delle risultanze della c.t.u. in tema di attribuzione del maggior valore ai terreni oggetto di imposta, avendo il giudice di merito, sulla base di un giudizio di fatto insindacabile in questa sede ed immune da censure logiche, dato ampiamente conto nella motivazione del perchè le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente non erano condivisibili (cfr. p. 7 e 8 sentenza).

2. Nel secondo motivo denuncia violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 2909 c.c., sotto il profilo della erronea pronuncia di preclusione conseguente alla sentenza n. 186/26/12 della medesima CTR che ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza 277/5/11 relativamente ad altro avviso di accertamento ICI relativo all’anno di imposta 2005.

Il motivo è per un verso inammissibile per difetto di autosufficienza e per altro verso infondato.

Nella sentenza impugnata il riferimento alla espansione del giudicato è utilizzato come elemento ulteriore per condividere e avallare la statuizione del primo giudice che aveva annullato gli avvisi di accertamento per difetto di motivazione (cfr. pag.9) sostenendo in linea principale che non risulta che il Comune abbia indicato negli atti di accertamento i criteri in base ai quali fondava la maggior pretesa, in particolare la comparazione tra i valori indicati nella Delib. n. 23 del 2010, e l’effettivo valore delle aree in esame.

Per rafforzare il ragionamento il Giudice di appello ha poi fatto riferimento all’espansione del giudicato di cui alla sentenza n. 184/26/12 intervenuta tra le stesse parti per accertamento ICI per l’anno 2005 relativo agli stessi immobili, indicando che anche in detta sentenza il giudice aveva statuito il difetto di motivazione dell’atto impugnato.

Consolidato orientamento di legittimità, sull’argomento dell’applicabilità dell’art. 2909 c.c., al processo tributario, ha stabilito che il giudicato esterno prodottosi con riguardo ad una determinata annualità d’imposta esplica effetto vincolante su diverse annualità, allorquando “vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata” (Cass. 4832/15; così, tra le altre: Cass. 6953/15; 20257/15). Si tratta di orientamento che trova origine in Cass. Sez. Un. 13916/06, secondo cui l’estensione dell’efficacia del giudicato a diverse annualità “non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente”. Sicchè “in riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”.

Ora, pur potendo, in ipotesi, rilevarsi fondata la censura del ricorrente sulla erronea applicabilità dell’art. 2909 c.c., in quanto l’annullamento dell’atto è stato pronunciato per vizio di motivazione, il ricorso non rispetta comunque il principio di autosufficienza. Il ricorrente, invero, avrebbe dovuto riportare per esteso il contenuto della motivazione della sentenza n. 184/26/12 al fine di dimostrare che l’annullamento dell’atto impositivo è intervenuto esclusivamente per vizio di motivazione non essendo sufficiente a tal fine richiamare unicamente la ragione dell’annullamento.

In ogni caso la sentenza della CTR ha utilizzato ad abundantiam l’argomento dell’espansione del giudicato, fondando il rigetto dell’appello sulla ragione principale della insufficienza di motivazione degli atti impositivi e sotto tale profilo il motivo è infondato.

3. Il terzo motivo di ricorso si articola in diverse censure:

a) contesta la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;

b) lamenta omesso esame di un fatto decisivo della controversia in ordine alla produzione documentale dell’appellante;

c) lamenta violazione di legge e omesso esame di un fatto decisivo della controversia per “erronea valutazione delle risultanze della consulenza tecnica”. Nella censura sub c) lamenta che la CTR avrebbe disatteso le conclusioni del c.t.u. senza idonea motivazione.

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

a)- Secondo quanto stabilito da Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013 n. 17931):

“Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”.

Tale censura, benchè dedotta sotto il profilo della violazione prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 4, non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione derivante dalla omessa pronuncia, limitandosi il ricorrente ad evidenziare che la CTR “non ha in alcun modo esaminato e valutato i documenti prodotti dal Comune appellante (allegati al ricorso in appello)” costituiti da richieste, al Comune di Stornara, di definizione agevolata presentate dal alcuni dei contribuenti interessati e argomentando dunque sulla violazione di legge. Sotto tale profilo il gravame è inammissibile.

b)- Lamenta il ricorrente che l’omesso esame dei documenti prodotti nel processo di appello ha condizionato il negativamente il giudizio “in quanto il corretto esame e la valutazione di detti documenti avrebbero permesso di accertare ulteriormente la consapevolezza da parte dei contribuenti del valore dell’area”.

Il motivo è inammissibile in primo luogo per difetto di autosufficienza.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione impone al ricorrente di indicare tutte le circostanze e tutti gli elementi con incidenza causale sulla controversia, il cui controllo deve avvenire sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

In proposito va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo il quale “Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione” (Cass. Sez. III n. 18506 del 25.08.2006).

Nel caso di specie il ricorrente si è limitato a indicare i documenti non considerati dal giudice del merito, senza alcuna specifica trascrizione del contenuto di essi; in tal modo la censura si risolve in un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, in violazione del principio di autosufficienza, che mira ad assicurare che il ricorso per Cassazione consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere.

Inoltre va ribadito che l’art. 360 c.p.c., n. 5, (riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Sul punto va ricordato l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte 7 aprile 2014 n. 8053: “Poichè la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze. L’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il “tassello mancante” alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis, il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’interferenza probatoria non sia da essa “necessitata”, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione” (Cass. n. 14953 del 2000)”….. “La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. S.U. 8053/2014).

Orbene, non è stato chiarito in che senso l’esame dei documenti indicati avrebbe carattere di “decisività” posto che dalla sentenza impugnata emerge con chiarezza che l’oggetto della controversia è rappresentato in primo luogo dal valore dei terreni sottoposti a imposizione ICI con gli avvisi di accertamento emessi negli anni 2011, 2012 e 2013, per la determinazione del quale il giudice del merito aveva ritenuto necessario individuarne l’esatta collocazione rispetto alle zone urbanistiche indicate nella Delib. di Giunta 30 marzo 2010, n. 23, attraverso apposita consulenza tecnica, e non già dalla consapevolezza o meno, prima della delibera in questione, dell’attribuzione del valore da parte del Comune.

La sentenza sul punto precisa che i terreni, negli anni ai quali si riferivano gli accertamenti, non erano collocabili in nessuna delle zone di cui alla Delib. n. 23 del 2010, che prevedeva la zona Centrale, la zona B di completamento, zona C parzialmente lottizzata (con due diversi indici di edificabilità), zona PIP e zona PEEP, con la conseguenza che, non essendo stata indicata nella delibera una zona C di espansione non lottizzata, ai terreni in contestazione non potevano essere attribuiti i valori indicati negli atti impugnati, così confermando il vizio di motivazione rilevato dal primo giudice. Ha inoltre specificato che il Comune ha applicato “ai cespiti in questione, ricadenti in zona C di espansione non lottizzata i valori relativi ad aree parzialmente lottizzate che lo stesso Comune deliberava di applicarsi dal 1 gennaio 2010 senza fornire alcuna prova della fondatezza degli stessi in quanto privi di elementi di confronto o dell’indicazione dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, quali: la zona territoriale di ubicazione, l’indice di fabbricabilità, la destinazione d’uso consentita, gli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione e soprattutto ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche” e continua rilevando che il vizio di motivazione “non può ritenersi sanato da quanto dedotto in corso di giudizio essendo l’atto viziato ab origine” (cfr. pagg. 9 e 10 sent.).

c)- Infine anche la censura relativa all’erronea valutazione delle risultanze della c.t.u. è inammissibile in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018), laddove l’impugnata sentenza ha disatteso le conclusioni alle quali è pervenuto il c.t.u. attraverso un percorso argomentativo logicamente motivato anche comparando le diverse prospettazioni.

Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla va disposto sulle spese del giudizio di legittimità perchè la parte contribuente non si è costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019

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