Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13623 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. I, 04/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 04/06/2010), n.13623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANARO 14, presso l’avvocato DE SISTO LUIGI,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2850/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/05/2010 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato LUIGI DE SISTO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14.03 – 5.04.2001, il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il (OMISSIS), dal ricorrente (ricorso del 15.04.1998) N.M. con S.M.G., alla quale affidava la figlia G., nata nel (OMISSIS), assegnandole la casa familiare, imponeva, inoltre, al N., con decorrenza dal marzo 2001, il contributo mensile di L. 1.400.000 oltre al rimborso del 50% delle spese straordinarie per il mantenimento delle due figlie della coppia, G. ed A., maggiorenne e convivente con la madre.

Con sentenza dell’11.05 – 23.06.2005, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale del N. e dell’appello incidentale della S., escludeva, a decorrere dal giugno 2000, il contributo paterno di mantenimento della figlia maggiorenne A., divenuta nelle more del giudizio economicamente autonoma, ed elevava, sempre dal giugno 2000, ad Euro 500,00 mensili quello per l’altra figlia G., fermo per lei il concorso pro quota alle spese straordinarie; confermava nel resto l’impugnata sentenza e compensava anche le spese del secondo grado di giudizio.

La Corte riteneva per quanto ancora rileva:

che l’appello principale del N., il quale nel ricorso introduttivo si era offerto di contribuire al mantenimento di entrambe le figlie, ineriva soltanto alla conseguita autonomia economica da parte della figlia maggiorenne A. che il N. aveva prodotto la documentazione attestante l’emancipazione economica della figlia solo dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, svoltasi il 27.04.2000, anche allegando alla comparsa conclusionale la copia del primo contratto di lavoro stipulato il (OMISSIS) dalla figlia, seguito poi da altro del (OMISSIS);

che la domanda dell’appellante principale di esclusione dell’assegno in questione era ammissibile in appello, stante anche l’assenza di un giudicato ostativo – che la documentazione prodotta dal N. dimostrava che in effetti la figlia era divenuta economicamente auto sufficiente, come d’altra parte non contestato dalla S..

Avverso questa sentenza la S. ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 15 – 20.06.2006, fondato su un unico motivo ed illustrato da memoria. L’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la S. denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge, nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 155 c.c. alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, ed alla L. 11 marzo 1987, n. 74, art. 11)” e, pur non essendone ratione temporis onerata, formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti:

1. “Dica la Corte di Cassazione se le somme versate dal genitore obbligato N.M. all’ex moglie S.M.G. per il mantenimento della figlia N.A. fino al deposito della sentenza de qua della Corte di appello, la quale ha sancito la cessazione dell’obbligo di mantenimento della detta figlia maggiorenne N.A. per essere diventata essa economicamente autosufficiente, siano o meno ripetibili dallo stesso N.”.

2. “Dica la Corte di Cassazione se la revoca dell’assegno di mantenimento, percepito iure proprio dal genitore affidatario e convivente con il figlio maggiorenne divenuto economicamente autosufficiente, in favore dell’altro coniuge abbia effetto dalla data della sentenza passata in giudicato, che sancisce tale revoca, e se siano ripetibili le somme gia’ percepite dall’avente diritto in forza dei precedenti provvedimenti giurisdizionali”.

Sostiene l’erroneita’ della sentenza nel punto in cui ha fatto decorrere la cessazione dell’obbligo per l’ex coniuge di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne, dalla data della conseguita indipendenza economica da parte della ragazza invece che dal deposito della sentenza d’appello, cosi’ facendo a suo parere illegittimamente retroagire gli effetti della pronuncia ed esponendola ad eventuali richieste di restituzione da parte dell’ex marito relativamente alle somme da questo versate dopo la cessazione del suo obbligo e sino al deposito della sentenza d’appello. Aggiunge che la cessazione dell’obbligo di contribuzione e’ subordinata alla domanda dell’obbligato ed all’accertamento definitivo della ricorrenza delle condizioni per disporla, e, dunque alla decisione definitiva di revoca o riduzione della somministrazione, prima della quale il debitore effettua un pagamento dovuto e conseguentemente non e’ legittimato a ripeterlo; che il N. nel giudizio di appello non ha svolto nei suoi confronti alcuna azione di ripetizione d’indebito o d’ingiustificato arricchimento e che anzi ha sempre affermato l’irripetibilita’ dei versamenti effettuati.

Il motivo si articola in due profili, ed e’ per il primo non fondato e per il secondo inammissibile.

Prioritaria in ordine logico giuridico si pone la questione se la cessazione dell’obbligo paterno di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne potesse essere disposta dalla Corte d’appello con riferimento alla data dell’incontroverso conseguimento dell’indipendenza economica da parte della stessa, anteriore a quella della sua pronuncia definitiva, alla quale, invece, avrebbe dovuto datarsi, secondo la tesi della ricorrente.

In via generale, la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, cosi’ come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilita’ di adeguare le contribuzioni alle variazioni intervenute nel corso del giudizio, secondo le decorrenze che le riflettono, con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilita’ e di quello generale della domanda, e’ tenuto a considerare l’evoluzione delle situazioni e condizioni verificatasi nelle more del giudizio, stante anche la non definitivita’ delle precedenti determinazioni, come tali non assoggettabili ancora a procedimento di modifica o revisione, previa domanda della parte (in tema, cfr Cass. 200501824; 200716398). Con specifico riferimento al giudizio di divorzio ed al mantenimento dei figli questa Corte di legittimita’ ha gia’ ripetutamente affermato che qualora uno dei coniugi abbia richiesto un assegno di mantenimento per i figli o l’adeguamento di esso, la domanda, che si ricollega ad un obbligo preesistente dei genitori, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data non della sentenza ma della sua proposizione, ovvero dalla data dei fatti che impongono il riequilibrio dell’apporto, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all’affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o divorzio, rimanendo identico l’obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzione delle sue capacita’, all’assistenza ed al mantenimento dei figli e posto anche che si verte in tema di conservazione del contenuto reale del credito fatto valere con la domanda originaria (cfr. Cass. 198105407; 199001803; 199403050;

199800317; 200421087).

Ammessa la possibilita’ di chiedere ed ottenere un adeguamento dell’ammontare del contributo alle sopravvenute circostanze, verificatesi nelle more dei gradi di merito del giudizio di divorzio, in prevalenza correlate alle mutate condizioni economiche dei coniugi ovvero alle accresciute esigenze del figlio, non sussistono ragioni per escludere la possibilita’ di valutare nel corso del medesimo giudizio la cessazione del credito fatto valere con la domanda originaria, implicata dai sopravvenuti fatti estintivi dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, e di applicare anche a questa sopravvenienza il regime della retrodatazione degli effetti al suo avveramento (in tema, cfr Cass. 200608221). Pertanto, nell’ambito del suo potere – dovere decisorio sul tema del mantenimento dei figli, il giudice del divorzio, oltre ad accertare la spettanza del chiesto contributo, ossia la sussistenza del fatto costitutivo del diritto azionato, puo’ anche modularne l’entita’ in rapporto all’evoluzione delle condizioni economiche delle parti ed alle esigenze della prole nonche’ stabilirne i limiti temporali di persistenza in rapporto alle dedotte ed emerse circostanze estintive dell’obbligo di contribuzione, in ogni caso datando la decorrenza degli effetti delle eventuali variazioni all’epoca della loro insorgenza.

Conseguentemente, la pronuncia della Corte territoriale si rivela ineccepibile per il profilo di censura esaminato, che, pertanto, deve essere respinto.

Inammissibile, invece, si rivela il secondo profilo di doglianza inerente alla ripetibilita’ o meno delle somme eventualmente versate dal N. alla S. per la figlia maggiorenne, dopo la cessazione dell’obbligo dei genitori di mantenerla.

Trattasi, infatti, di censura estranea all’ambito del decisum, rispetto alla quale, tra l’altro, la stessa ricorrente, nel sottolineare che il N. non ha adottato iniziative restitutorie ed anzi affermato l’irripetibilita’ dei versamenti effettuati a tale titolo, sostanzialmente evidenzia anche l’attuale sua carenza d’interesse alla relativa delibazione. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di legittimita’, stante il relativo esito ed il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

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