Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13623 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 02/07/2020), n.13623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20092-2014 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA N.

RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SINIBALDI,

rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELA RUSSO, STEFANO

D’ERCOLE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE (OMISSIS) LANCIANO VASTO CHIETI, (già

Azienda USL Lanciano Vasto), in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO BUA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1042/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 05/08/2013 R.G.N. 925/2012.

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1042/13, respingeva sia l’appello principale che quello incidentale proposti rispettivamente da P.A. e dalla ASL Lanciano-Chieti-Vasto, avverso la sentenza n. 7/2012, pronunciata tra le parti dal Tribunale di Lanciano.

2. Il Tribunale aveva accolto solo in parte la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances proposta dal Dott. P.A. nei confronti della ASL Lanciano-Vasto-Chieti, che gli aveva chiesto nel mese di gennaio 2007 la somma di Euro 52.544,53, che aveva decurtato nella misura del 20% dalla sua retribuzione mensile, per aver beneficiato di quote capitarie non dovute.

In realtà, si era accertato che tutto era dovuto ad un errore dell’Azienda poichè, quando il lavoratore era stato trasferito dal Comune di (OMISSIS) a quello di (OMISSIS) nel 1997, gli erano state revocate solo 184 scelte in luogo delle 309 effettive, sicchè per circa 10 anni egli aveva percepito compensi mensili per 125 pazienti non a carico.

Il danno era consistito nel fatto che, avendo ritenuto di avere un numero di assistiti superiore a quello effettivo, aveva rifiutato una serie di persone tra i propri iscritti per mantenere il numero dei pazienti al di sotto della soglia contrattuale.

3. Il Tribunale, rilevato che oggetto del giudizio era la perdita di chances, che doveva essere provata in modo rigoroso, affermava come il lavoratore avrebbe dovuto provare che a causa della mancata cancellazione dei 125 inesistenti assistiti, egli aveva dovuto rifiutare un corrispondente numero di pazienti per tutto l’arco dei 10 anni, e riteneva che tale prova era stata fornita solo con riferimento ad una media di 80 pazienti per 16 mesi (settembre 2005-dicembre 2006), sulla base delle busta paga prodotte in atti e di alcune deposizioni testimoniali, riconoscendo a tale titolo la somma di Euro 4.119,42, rappresentante il mancato guadagno dell’appellante in relazione a quel periodo e ad 80 pazienti al mese.

4. La Corte d’Appello rigettava l’appello del lavoratore, in quanto non aveva provato la perdita di chances nella misura da lui richiesta, atteso che avrebbe dovuto depositare le buste paga relative al decennio in questione, volte a dimostrare di essere stato vicino al massimale, sì da dover rinunciare a prendere nuovi assistiti.

Rigettava anche l’appello incidentale della ASL attesa la non riconoscibilità dell’errore da parte dell’appellante.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando due motivi di ricorso.

6. Resiste l’ASL (OMISSIS) Lanciano-Vasto-Chieti (già Azienda USL Lanciano Vasto) con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè all’art. 115 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, art. 437 c.p.c., comma 2.

Deduce l’appellante che il danno da pedita di chances, per sua stessa natura, non può richiedere una prova in termini di certezza, dovendo essere inteso come mera perdita della possibilità di conseguire un risultato probabile.

La Corte d’Appello aveva ritenuto non provato il danno, ritenendo che fosse necessaria la produzione delle buste paga del decennio.

Ma ciò era fuorviante, perchè il danno andava ravvisato nella errata attribuzione di 125 scelte, che aveva indotto il medico a non incrementare il numero di pazienti per motivi che solo parzialmente potevano essere ricollegati alla conservazione del diritto alla guardia medica.

A ciò, era sufficiente la prova documentale versata nel giudizio, in uno alla prova orale, con cui il lavoratore aveva dimostrato le proprie capacità di incrementare le scelte in carico in breve tempo, mentre comunque le buste paga potevano essere acquisite d’ufficio al giudizio.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, n. 4, per violazione delle norme processuali: art. 115 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, art. 437 c.p.c., comma 2.

Assume il ricorrente che non si era tenuto conto dei fatti non specificamente contestati dalla controparte, e che la mancata acquisizione d’ufficio delle buste paga, senza che peraltro vi fosse menzione delle relative ragioni nella sentenza, aveva indotto esso medesimo a ritenere raggiunta la prova.

3. I suddetti motivi devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.

4. Si osserva che in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass., n. 21187 del 2019).

5. Inoltre, nel rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (Cass., n. 25374 del 2017).

6. Tali principi devono essere applicati tenendo presente che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, come fa nella specie benchè nella rubrica faccia riferimento a vizi ex art. 360 c.p.c., n. 3, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass., n. 6519 del 2019).

7. Va, altresì, considerato che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto (nella specie con il secondo motivo) un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012).

La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010).

Non è, invece, sufficiente che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048).

8. Tanto premesso, si rileva che il ricorrente richiama nella trattazione dei motivi documentazione (tra l’altro lettera ASL (OMISSIS) luglio 2007), di cui prospetta una diversa valutazione, e deduce l’avvenuta sottoposizione in appello dell’istanza ex 421 c.p.c., senza tuttavia trascrivere il contenuto della documentazione, e dell’istanza. Inoltre, richiama la deposizione della teste D.G.M.D. senza trascriverla.

Il ricorrente fa, altresì, riferimento alla mancata contestazione da parte della ASL, senza tuttavia indicare in modo circostanziato rispetto a quali affermazioni esposte nei propri atti difensivi, vi sarebbe stata la mancata contestazione, in ragione del contenuto delle difese della ASL.

9. Pertanto, in ragione dei principi sopra richiamati, i motivi difettano di specificità, con conseguente inammissibilità del ricorso.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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