Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13622 del 21/05/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 21/05/2019), n.13622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11557-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EREDI C.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TERENZIO

21, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SPATOLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA DE NICOLA

giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 1803/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 13/03/2012; udita la relazione della causa

svolta nella pubblica udienza del 13/03/2019 dal Consigliere Dott.

ANDREA VENEGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo

di ricorso, assorbito il 2 motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato SQUARCIA per delega

dell’Avvocato DE NICOLA che si riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il contribuente C.G. presentava istanza, in data 6.2.1990, per il rimborso delle ritenute di lire 107.407.830 eseguite dall’Enpam in sede di liquidazione dell’indennità di fine rapporto quale medico generico, contestando l’applicazione della ritenuta al 20% alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 178 del 1986.

A seguito del silenzio rifiuto dell’ufficio, lo impugnava davanti alla CTP di Viterbo che accoglieva il ricorso.

Su appello dell’ufficio, la CT di secondo grado dichiarava inammissibile il ricorso già in primo grado, perchè non preceduto da alcuna domanda di rimborso all’Intendenza di Finanza di Viterbo.

Ricorreva il contribuente alla CTC di Roma che accoglieva il ricorso, rilevando che la richiesta di rimborso era stata presentata all’Intendenza di Finanza di (OMISSIS), che avrebbe potuto trasmetterla a quella competente di (OMISSIS).

Per l’annullamento di tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di due motivi.

Resistono gli eredi del contribuente con controricorso.

Questi ultimi hanno presentato memoria del 2.3.2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 22, comma 1, e art. 38, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza e del procedimento.

A seguito della notifica della decisione n. 58 del 7.3.1994 della CT di appello, avvenuta il 7.6.1994, il contribuente avrebbe dovuto impugnarla davanti alla CTC entro sessanta giorni, con copia per l’ufficio ai sensi del suddetto art. 22, mentre tale copia veniva depositata presso l’Intendenza di Finanza solo il 3.5.1995. Il ricorso davanti alla CTC era, pertanto, tardivo.

La tardività era stata tempestivamente eccepita e la CTC non si è pronunciata su di essa, accogliendo invece il ricorso.

In controricorso il contribuente eccepisce che in realtà nel giudizio di appello egli non era costituito per non avere ricevuto l’avviso di trattazione dell’udienza, cosicchè quel giudizio era nullo. Inoltre il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16,invocato dall’ufficio per rilevare la tardività del ricorso, è applicabile esclusivamente ai giudizi di primo grado.

In memoria eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso per violazione dei criteri di specificità, nonchè per illogicità.

Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Preliminarmente, non appare inammissibile perchè, al di là di alcune imprecisioni contenute nello stesso, come il fatto che il gravame di cui l’ufficio eccepisce la tardività e che denomina “appello”, è, in realtà, il ricorso alla CTC, perchè è quello proposto dal contribuente, o sulle norme citate – perchè il ricorso alla CTC era disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25, e non dall’art. 16, invocato dall’ufficio – il suo contenuto è chiaro: l’ufficio lamenta che la CTC non ha preso in considerazione l’eccezione di tardività del ricorso del contribuente davanti alla medesima, indicando di avere specificamente dedotto tale eccezione negli atti del giudizio relativo al grado precedente al presente.

Va rilevato, al riguardo, che anche il suddetto D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25, prevede come termine per il ricorso alla CTC quello di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione o comunicazione del dispositivo della sentenza che si intende impugnare.

L’ufficio lamenta, quindi, che il ricorso davanti alla CTC è stato proposto oltre il termine di sessanta giorni, e che la CTC non ha preso in considerazione tale eccezione, pur dedotta davanti ad essa. Pertanto, come detto, il suo contenuto è chiaro e specifico, e, in questi termini, non può ritenersi inammissibile.

Lo stesso, poi, come detto, è fondato.

Nella specie, l’ufficio ha dedotto la tardività del ricorso davanti alla CTC, e dalla sola lettura della sentenza impugnata, la cui motivazione è estremamente sintetica, emerge che non è stata adottata alcuna decisione al riguardo.

Si è quindi configurato il vizio di omessa pronuncia dedotto dall’ufficio, non potendo ritenersi, dalla sinteticità della motivazione, neppure un rigetto implicito dell’eccezione di tardività del ricorso davanti alla CTC, atteso che, a fronte della specificità della questione, la CTC nulla afferma, occupandosi, invece, di un diverso problema che aveva riguardato l’oggetto della causa, e cioè la procedibilità ò del ricorso basata sulla competenza o meno dell’ufficio al quale era stata presentata l’istanza di rimborso.

Questo è sufficiente per l’accoglimento del motivo, correttamente rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e la sentenza impugnata deve essere cassata.

Riguardando, poi, la causa una questione meramente processuale, che non richiede l’esame di ulteriori circostanze di fatto tali da determinare il rinvio al giudice di merito, la stessa può essere definita in questa sede.

In questo senso, deve rilevarsi la tardività del ricorso davanti alla CTC e l’improcedibilità del giudizio a tale stadio.

A ben vedere, infatti, è il contribuente stesso ad ammettere che il ricorso è stato presentato oltre i sessanta giorni, sebbene entro il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., (pag. 19 del controricorso), e a riconoscere di avere avuto conoscenza del deposito della sentenza di appello, in virtù di una comunicazione.

Certo, il contribuente giustifica l’utilizzo del termine lungo adducendo vizi processuali del grado di appello, nel quale egli non si sarebbe costituito per mancata notifica dell’udienza di trattazione del gravame, ma gli stessi appaiono in realtà irrilevanti ai fini della valutazione della tempestività del ricorso alla CTC, nel momento in cui la sentenza del giudizio di appello gli è stata notificata o comunicata.

In altri termini, una volta avvenuta la notifica o comunicazione della sentenza indipendentemente dal fatto che il contraddittorio nel grado precedente fosse integro o meno – decorre il termine di sessanta giorni per l’impugnazione, attraverso la quale l’eventuale vizio processuale può essere fatto valere.

E’ anche vero che in memoria, a pag. 8, il contribuente, tra le righe, prospetta un vizio nella notifica della sentenza di appello, perchè effettuata non alla parte personalmente, in quanto contumace, ma al difensore, che la parte denomina come “delegato di primo grado”.

Ora, a parte il rilievo che la prospettazione di tale vizio, accennata tra le righe della memoria – tra l’altro mai dedotta in precedenza nel corso del giudizio (perchè in controricorso l’asserito vizio della comunicazione/notifica della sentenza di appello viene fatto discendere dalla mancata instaurazione del contraddittorio in tale giudizio, e non da un vizio proprio dell’atto specifico), per quanto il tema del ricorso contro tale sentenza ne sia stato l’oggetto principale -, difetta di autosufficienza perchè questa Corte non è stata messa in condizione di verificare la fondatezza di quanto affermato, la stessa è, comunque, infondata: in base a quanto la parte stessa deduce, e cioè il fatto che la sentenza di appello è stata notificata al difensore “delegato di primo grado”, la notifica è conforme al disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, secondo il quale, in tema di notifiche, “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”, che la Sezioni Unite di questa Corte (n. 14916 del 2016) hanno ritenuto prevalente sulla disciplina generale del codice di procedura civile in quanto norma speciale.

Dunque, laddove la notifica o la comunicazione della sentenza è avvenuta ed il contribuente ne ha avuto conoscenza, la tesi secondo cui per l’impugnazione contro tale sentenza sarebbe stato applicabile solo il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., per i vizi del contraddittorio nel grado di appello – perchè in questo, in sostanza, si concretizza la tesi del contribuente – non appare avere fondamento, specificando la norma sul ricorso alla CTC applicabile ratione temporis (D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25), il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, residuando l’applicazione del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., ai soli casi in cui non si era verificata comunicazione o notificazione (si veda, sebbene non nella specifica materia tributaria, sez. III, n. 20852 del 2018).

Poichè nel caso di specie, invece, emerge che la comunicazione della sentenza di appello è avvenuta e che il contribuente ne ha avuto notizia, il termine per il ricorso alla CTC era quello di sessanta giorni. (In termini analoghi, sebbene non in materia tributaria, sez. VI-3, n. 1893 del 2019).

Deve, pertanto, ritenersi che il ricorso davanti alla CTC sia stato tardivo e che il giudizio davanti ad essa non dovesse proseguire.

Con il secondo motivo deduce omessa e/ contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTC si è occupata solo dell’aspetto formale del luogo di presentazione dell’istanza di rimborso, accogliendo il ricorso senza avere esaminato il merito della questione, che per le indennità di buonuscita dei medici consisteva nella distinzione tra contributi versati dal lavoratore e quelli versati dal datore di lavoro.

Il motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del primo, che afferma l’improcedibilità del giudizio fin dal grado di merito.

La definizione per meri motivi processuali giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara che il giudizio non doveva proseguire davanti alla Commissione Tributaria Centrale in quanto il ricorso era tardivo.

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019

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