Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1362 del 19/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1362 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 19144-2013 proposto da:
DEL VECCHIO GIOVANNI, in proprio e nella qualità di
genitore legale rappresentate della figlia DEL VECCHIO
VINCENZA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE
GIULIO CESARE 223, presso lo studio dell’avvocato VITO
CASTRONUOVO, rappresentato e difeso dall’avvocato
MICHELE ALDINIO;
– ricorrente contro

GRISOLIA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA G.B. DE ROSSI 36, presso lo studio dell’avvocato
CRISTIANO BIANCHINI, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 19/01/2018

dall’avvocato FILIPPO RAUTIIS;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 159/2012 della CORTE D’APPELLO
di POTENZA, depositata il 08/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/11/2017 dal Consigliere GUIDO FEDERICO;

Generale Dott. ALESSANDRO PEPE che ha concluso
preliminarmente integrazione del contraddittorio, nel
merito rigetto;
udito l’Avvocato Ivana COLICCHIO con delega depositata
in udienza dell’Avvocato RAUTIIS Filippo, difensore del
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Esposizione del fatto
Con ricorso ex art. 703 cpc depositato il 16 dicembre 2004 Giuseppe
Grisolia convenne in giudizio Del Vecchio Giovanni e Del Vecchio

Vincenzo, esponendo che :
per raggiungere la propria abitazione si era sempre servito di una
strada situata sulla proprietà di Bracale Vincenzo, Del Vecchio
Francesca, del Vecchio Vincenzo, in quanto il proprio fondo era
intercluso;

nel novembre 2004 i convenuti gli avevano impedito di attraversare
la strada con un camion ed in seguito avevano intrapreso lavori diretti
a rendere meno agevole il transito sulla strada, apponendo una rete
elettrosaldata, ancorata ad un cordolo di cemento.

Tanto premesso, chiedeva la condanna dei convenuti all’eliminazione
delle opere suddette e la cessazione di ogni impedimento all’esercizio
della servitù.
Successivamente veniva disposta integrazione del contraddittorio nei
confronti di tutti i proprietari della strada.
Il Tribunale di Lagonegro accolse la domanda.
La Corte d’Appello di Potenza confermò integralmente la sentenza di
primo grado, rilevando la ritualità della notifica dell’atto di integrazione
del contraddittorio nei confronti di Domenico Bracale, rimasto
contumace nel giudizio di primo grado, poichè l’atto risultava consegnato
a persona qualificatasi come addetta alla casa.
Il giudice di appello disattese altresí l’eccezione di ultra petizione,
ritenendo che la domanda, come correttamente interpretata dal giudice di
primo grado, doveva ritenersi estesa all’eliminazione del muretto in

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cemento oltre che della rete elettrosaldata e ritenne, nel merito, la
fondatezza della domanda.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso Del Vecchia
o
Giovanni, in proprio e quale genitore di Del Vecchio Vincenza, con
motivi, illustrati da memorie ex art. 378 cpc.
Grisolia Giuseppe ha resistito con controricorso.
Ritenuto in diritto
Deve anzitutto rilevarsi che il ricorso per cassazione è stato proposto da
Del Vecchio Giovanni, in proprio e quale genitore di Del Vecchio
Vincenza, la quale, al momento della proposizione del ricorso era già
maggiorenne.
Da ciò discende l’inammissibilità del ricorso limitatamente a Del
Vecchio Vincenza, per carenza del potere di rappresentanza della stessa
in capo al genitore (Cass. Ss.Uu. 21670/2013).
E’ vero che la pronuncia delle sezioni unite da ultimo citata afferma che
in tal caso si impone l’integrazione del contraddittorio nei confronti del
figlio divenuto maggiorenne, in quanto litisconsorte necessario, essendo
già stato parte del giudizio nei precedenti gradi di merito, in relazione ai
riflessi patrimoniali e non patrimoniali della domanda a lui riferibili, sia
pure per effetto della rappresentanza legale dei medesimi genitori.
Ed, in generale, è vero che / secondo il consolidato indirizzo di questa
Corte/ l’ “actio “negatoria servitutis” dà luogo a litisconsorzio necessario
passivo se, appartenendo il fondo servente “pro indiviso” a più
proprietari, l’azione sia diretta, come nel caso di specie, anche ad un
mutamento dello stato di fatto dei luoghi, mediante la demolizione di
manufatti o di costruzioni (Cass.8261/2002), e dunque ad una

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modificazione della cosa comune che altrimenti non potrebbe essere
disposta od attuata “pro quota”, in assenza di uno dei contitolari del
diritto dominicale (Cass. 6622/2016).

Questa Corte ha tuttavia pure affermato che, in caso di ricorso per
cassazione “prima facie” infondato, appare superflua, pur potendo
sussisterne i presupposti (come nella specie, per mancata notificazione
del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del
termine ex art. 331 cod. proc. civ. per l’integrazione del contraddittorio,
atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio
di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di
cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia
dell’effettività dei diritti processuali delle parti(Cass.2723/2010).
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del
processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod.
proc. civ.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad
una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si
traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità
superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e,
in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da
effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo di
tutti i soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i
suoi effetti(Cass15106/2013).
Tale situazione sussiste nel caso di specie.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 102 cpc in relazione all’art. 7 1.890/1982, nonchè
dell’art 139 cpc e 2697 c.c., deducendo la nullità della sentenza

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impugnata per avere omesso di rilevare la nullità della notificazione
dell’atto di integrazione del contraddittorio effettuata nei confronti di
litisconsorte rimasto contumace nel giudizio di merito.

Il motivo è infondato.
La notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti
del minore Domenico Bracale, effettuato a mezzo posta, ai sensi della
1.890/1982, risulta infatti , secondo quanto accertato con adeguato
apprezzamento di fatto dalla Corte territoriale, ritualmente perfezionata.
Conviene premettere che, ai fini della determinazione del luogo di
residenza o dimora del destinatario della notificazione, rileva
esclusivamente il luogo ove questi dimora, di fatto, in modo abituale,
rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo
essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da
qualsiasi fonte di convincimento, affidata all’apprezzamento del giudice
di merito (Cass. 10170 del 2016).
In particolare, la prevalenza, sulle risultanze anagrafiche, della
dichiarazione e del comportamento del consegnatario della copia dell’atto
comporta, a carico del destinatario, l’onere della prova – non desumibile
dalla certificazione anagrafica della sua residenza in luogo diverso da
quello in cui è avvenuta la consegna – dell’inesistenza del suo rapporto di
convivenza (attestato dal pubblico ufficiale notificante) con il
consegnatario (Cass. 15938/2008).
A tali principi si è attenuta la Corte territoriale, la quale, con
apprezzamento adeguato, ha accertato, sulla base del contegno della
consegnataria, specificamente identificata e qualificatasi come addetta al
servizio, che la notifica era stata effettuata nel luogo di dimora effettiva

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del destinatario dell’atto, posto che la controparte non aveva assolto
all’onere di superare la conseguente presunzione di convivenza.
Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione degli

artt. 99 e 112 cpc, dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 nn.3 e 4)
cpc, nonché il vizio di motivazione, deducendo il vizio di ultra-petizione
della sentenza impugnata, per avere la Corte attribuito alla controparte un
bene maggiore di quello richiesto, ordinando la demolizione, oltre che
della rete/ anche del muretto in cemento che la sorreggeva.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99,
112 e 345 cpc, in relazione agli artt. 360 nn.3 e 4 cpc, deducendo la
nullità della sentenza impugnata per aver omesso di rilevare
l’inammissibilità ex art. 345 cpc della domanda di rimozione del muretto
in cemento che non era stato oggetto della domanda originaria.
I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, non
hanno pregio.
Conviene premettere cheoecondo il consolidato indirizzo di questa Corte /
l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, il quale,
nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle
domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al
tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per
converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta
valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e
rappresentate dalla parte istante (Cass. 21087/2015).
Anche al fine di valutare la corrispondenza tra il “chiesto” ed il
“pronunciato” occorre verificare il rispetto, da parte del giudice di
merito, di tale criterio di interpretazione della domanda, di carattere

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generale, quale desumibile dalla motivazione: in tal caso, la statuizione,
in quanto effettuata all’esito di una valutazione logica e coerente delle
vicende esposte dalla parte e della tutela concretamente richiesta, si

sottrae al sindacato di legittimità.
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, nell’esercizio del potere
di qualificazione della domanda, ha anzitutto rilevato che, anche con
riferimento al dato meramente letterale, l’attore aveva chiesto, sin
dall’atto introduttivo del giudizio, la rimozione non della sola rete, ma
della “rete su cordolo di cemento”, onde tale secondo elemento, nella
stestyk prospettazione dell’attore, doveva ritenersi intrinsecamente
connesso al primo.
Il giudice di appello ha inoltre evidenziato, con motivazione logica e
coerente, che la domanda dell’attore aveva ad oggetto la tutela della
servitù di passaggio di cui era titolare, mentre l’indicazione delle opere
da rimuovere aveva natura meramente descrittiva e strumentale alla
realizzazione della tutela richiesta, avente ad oggetto il ripristino
dell’originario godimento della servitù.
Non è dunque ravvisabile il vizio di ultra petizione, nè di carenza
motivazionale, atteso che la Corte territoriale ha specificamente valutato
il contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, quale desumibile dalla
natura della tutela concretamente richiesta dalla parte, dandone
adeguatamente conto in motivazione.
Il quarto motivo denuncia il vizio di omessa pronuncia, con violazione
dell’art. 112 cpc in relazione all’art. 360 n.4), per non essersi il giudice di
appello pronunciato sul sesto e settimo motivo di gravame, con i quali si
era lamentata la violazione, da parte del primo giudice degli artt.214 e

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215 cpc, in relazione agli art. 2697, 2702 e 2712 c.c. (VI motivo), nonché
dell’art. 116 cpc, in relazione agli ara. 2702 e 2712 c.c.(VII motivo).
Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti escluso la configurabilità dell’omessa pronuncia
quando, nonostante la mancanza di una specifica, espressa statuizione su
una tesi difensiva o un’eccezione, la decisione adottata dal giudice risulti
in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte e ne abbia comportato il
suo rigetto o assorbimento, ovvero, come nel caso di specie, il rigetto di
una domanda sia implicito nella costruzione logico-giuridica con la quale
venga accolta una tesi incompatibile con la relativa eccezione (Cass.
15882/2007).
Il giudice non è infatti tenuto ad occuparsi singolarmente di ogni
allegazione e prospettazione delle parti, risultando necessario e
sufficiente, in base all’art. 132 n.4) cpc, che esponga, in base all’art. 132
n.4) cpc, in maniera succinta gli elementi in fatto ed in diritto posti a
fondamento della decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti
gli argomenti e le tesi che, seppure non espressamente esaminati, siano
incompatibili con la soluzione adottata e l’iter argomentativo seguito
(Cass. n.407/06).
Nel caso di specie ? il giudice di appello, disattendendo il quarto e quinto
motivo di gravame proposti dagli odierni ricorrenti, ha confermato la
statuizione del primo giudice ed ha escluso la decadenza dell’azione ai
sensi dell’art. 1168 c.c.
Orbene, seppure non risultano specificamente presi in esame il sesto e
settimo motivo di gravame, le doglianze ivi espresse sono riconducibili
alla medesima eccezione, sollevata anche nei motivi precedenti ( quarto e

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quinto), avente ad oggetto la decadenza dall’azione ex art. 1168 c.c., che,
come già evidenziato, è stata rigettata dalla Corte territoriale.
Tale statuizione di rigetto comporta l’assorbimento degli ulteriori profili,

seppure non specificamente esaminati, espressi nei motivi di appello
citati dai ricorrenti, il cui mancato esame, se astrattamente rileva sotto il
profilo della completezza motivazionale, peraltro qui non censurata, non
determina il vizio di omessa pronuncia.
Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 ,1168, 1171 2702 e 2712 c.c., nonché il vizio di insufficiente
motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di
rilevare l’intervenuta decadenza dall’azione ex art. 1168 c.c., nonostante
lo spoglio sia stato posto in essere diversi anni prima dell’instaurazione
del presente giudizio.
Il sesto motivo denuncia, sotto altro profilo, la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 , 1168 e 2712 c.c. deducendo la mancata
considerazione, da parte del giudice di merito, dell’esistenza di fatti
estintivi del diritto della controparte, costituiti da riproduzioni
fotografiche attestanti la presenza sin dal 1999 sui luoghi di causa di un
cordolo di cemento con sovrastante rete metallica che divideva la strada
in due corsie.
Il settimo motivo denuncia la violazione degli artt. 167 cpc, 2697 e 2712
c.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso di rilevare che
l’appellato non aveva preso posizione sui fatti posti a fondamento
dell’appello degli odierni ricorrenti, ed in particolare sulle riproduzioni
fotografiche da essi prodotte.

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L’ottavo motivo denuncia il vizio di carenza motivazionale, in relazione
all’omesso rilievo della decadenza dell’azione.
I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati e sono

infondati.
La sentenza impugnata, con adeguato apprezzamento di fatto, non
sindacabile nel presente giudizio, in quanto fondato su motivazione
logica, coerente ed esaustiva, nonchè sul completo esame delle risultanze
processuali, ha infatti accertato che la realizzazione del muro e della rete
era avvenuta nell’anno 2004 e dunque che nessuna decadenza era
maturata, ritenendo che i precedenti lavori di sbancamento del terreno,
fossero del tutto distinti ed autonomi e non integrassero la medesima
lesione possessoria oggetto del presente giudizio.
Non è dunque ravvisabile né la dedotta violazione di legge, posto che le
disposizioni invocate dal ricorrente risultano correttamente applicate, nè
il vizio di omessa o insufficiente motivazione, che non può consistere
nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal
giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte.
Ed invero, spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo
di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova
è assegnato un valore legale (Cass. n.606412008).
La doglianza relativa al mancato rilievo delle riproduzioni fotografiche,
anche in relazione alla mancata contestazione della controparte, difetta
inoltre di autosufficienza.

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Non risulta infine la decisività delle allegazioni e delle riproduzioni
fotografiche, genericamente indicate dai ricorrenti, su cui l’odierno
resistente avrebbe omesso di prendere posizione, né vengono riportati

nel corpo del ricorso i relativi atti difensivi del resistente, da cui
desumere la dedotta mancata contestazione.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio,
che liquida in 3.200,00 €, di cui 200,00 € per rimborso spese vive, oltre a
rimborso forfetario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2017
Presi

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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

19 GEN. 2018

Roma,

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