Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13618 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 02/07/2020), n.13618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6762-2014 proposto da:

T.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHILI 59, presso lo studio dell’avvocato MARIA SALAFIA,

rappresentata e difesa dagli avvocati VITALIANA VITALETTI BIANCHINI,

RENATO BIANCHINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende =e

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1008/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/12/2013 R.G.N. 414/2013.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 4 dicembre 2013 la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’appello del Ministero dell’Interno avverso la sentenza n. 92/2013 del locale Tribunale, riforma la sentenza appellata e, per l’effetto, rigetta la domanda proposta da T.T. nel ricorso introduttivo del giudizio volta ad ottenere la propria ricollocazione in posizione utile nella graduatoria del concorso interno all’Amministrazione di appartenenza bandito con D.M. 23 settembre 2010, nel quale le era stata assegnata la posizione 970 (mentre erano stati selezionati 878 dipendenti), essendosi consentita, in base all’art. 2, comma 2, del bando, la collocazione nella graduatoria di n. 92 dipendenti che avevano conseguito il requisito della permanenza biennale nella fascia retributiva inferiore soltanto entro la scadenza del termine stabilito per la presentazione della domanda, successivo all’1 gennaio dell’anno in corso, termine di decorrenza degli effetti del collocamento in fascia superiore, secondo il CCNL Comparto Ministeri applicabile ratione temporis;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, perviene alla suindicata conclusione in base ai seguenti argomenti:

a) l’art. 18, comma 5 del CCNL Comparto Ministeri 2006-2009 si limita a stabilire che, per partecipare alle selezioni per accedere ad una fascia superiore, è richiesto il requisito della permanenza nella fascia inferiore almeno biennale, senza però stabilire il momento in cui tale requisito deve essere posseduto;

b) d’altra parte per l’art. 8, comma 1 del Contratto integrativo: “I passaggi da una fascia retributiva a quella immediatamente successiva avvengono con decorrenza fissa dal 1 gennaio per tutti i dipendenti selezionati in base ai criteri stabiliti dall’art. 18 del c.c.n.l., previa valutazione dei titoli professionali e culturali posseduti”;

c) nella specie, il bando di concorso ha individuato come momento rilevante per la maturazione del requisito della permanenza almeno biennale nella fascia inferiore (rispetta a quella cui si riferiva il concorso) quello della alla data di scadenza del termine stabilito nel bando stesso per la presentazione della domanda di ammissione, in conformità con il criterio generale di cui al D.P.R. n. 486 del 1994, art. 2, comma 7;

c) ciò non implica alcuna rilevante contraddizione visto che non è ipotizzabile nessun implicito richiamo da parte del suddetto art. 18, comma 5, del CCNL dell’art. 8, comma 1, del Contratto integrativo, visto che l’art. 8 cit. detta i criteri per l’avanzamento economico del personale e certamente non individua anche il momento di computo della suddetta permanenza biennale quale requisito di ammissione alle selezioni;

che avverso tale sentenza T.T. propone ricorso illustrato da memoria, al quale oppone difese, con controricorso, il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è formalmente articolato in sei motivi, le cui rubriche sono “elencate” a p. 6 dell’atto, mentre poi l’esposizione delle censure è unitaria, sicchè in essa non sono evidenziate con chiarezza le statuizioni della sentenza impugnata nelle quali si riscontrerebbero i vizi denunciati;

che questo comporta che il ricorso piuttosto che risultare diretto a censurare specifici vizi rinvenuti in singoli passaggi decisionali della sentenza impugnata, presenta in intreccio inestricabile di pretese violazioni, compenetrate con il fatto nel quale si prospetta anche il vizio di omessa, errata o insufficiente valutazione della motivazione, che non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (fra le tante: Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 4 luglio 2018, n. 17470);

che, ne deriva che complessivamente (cioè anche con riguardo alle “enunciate” violazioni di legge) non risulta chiaro ove, specificamente, il ricorrente rinvenga nella decisione impugnata i vizi corrispondenti alle rubriche dei motivi come espressamente elencate, per i quali si chiede la cassazione della sentenza stessa (fra le tante: Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 29 agosto 2011, n. 17739);

che, pertanto, il ricorso risulta formulato senza il dovuto rispetto del fondamentale principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati – nelle relative argomentazioni – a deduzioni generali con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa e con specifico riguardo ad uno dei vizi indicati dall’art. 360 c.p.c.;

che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, nel quale il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202);

che il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il “devolutum” della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia costituito da una unica generale argomentazione con la quale si critica la sentenza impugnata -ancorchè preceduta da un elencazione di rubriche di ipotetici motivi – perchè una tale modalità di formulazione dei motivi rendendo impossibile l’individuazione delle diverse critiche mosse a parti ben identificabili del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione (vedi, tra le tante: Cass. 22 gennaio 2018, n. 1479; Cass. 18 maggio 2005, n. 10420);

che, infatti, il ricorso per cassazione, da un lato, richiede, per ogni motivo di ricorso, la rubrica dei motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 17 luglio 2007, n. 15452);

che, in particolare, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 5 marzo 2007, n. 5076);

che il ricorso va dichiarato inammissibile per le suindicate ragioni, che risultano assorbenti rispetto ad ogni altro profilo di inammissibilità, quale ad esempio quello del mancato rispetto – con riguardo al bando della selezione de qua, al contratto integrativo e a tutti gli atti e i documenti richiamati – del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, per il profilo riguardante l’onere del ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, di trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo di fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, nonchè per valutarne la corretta allegazione agli atti (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ove il relativo versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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