Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13616 del 30/05/2013


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 13616 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PETITTI STEFANO

sanzioni amministrative

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:

ATLANTIS WORLD GROUP OF COMPANIES N.V. (P .1. 08241851008), in
persona del procuratore per l’Italia sig. Bernardo Joyeusaz,
rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Carmelo Barreca, presso lo studio del quale in
Roma, via Stoppani n. 1, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro-tempore,

e AMMINISTRAZIONE AUTONOMA DEI MONOPOLI DI

STATO (0093000500588), in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
sono domiciliati per legge;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 30/05/2013

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2689 del
2010, depositata in data 4 ottobre 2010.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano
Petitti, alla presenza del P.M., in persona del Sostituto Pro-

vato.

Ritenuto che la Atlantis World Group Of Companies N.V., esponendo di essere concessionaria dei Monopoli di Stato del
servizio pubblico di raccolta del c.d. gioco lecito e destinataria dell’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), ufficio regionale della
Lombardia, con la quale le era stato ordinato il pagamento della sanzione amministrativa per la violazione dell’art. 110,
comma nono, lett.

c), del T.U.L.P.S., agiva innanzi al Tribuna-

le di Milano chiedendo l’annullamento della predetta ordinanzaingiunzione;
che la richiesta veniva disattesa dal primo giudice con
sentenza n. 8229 del 2007;
che la società proponeva appello avverso tale decisione e
la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2689 del 2010,
resa pubblica in data 4 ottobre 2010, respingeva il gravame;
che la Corte d’appello rilevava che la società, da ritenersi sicuramente titolare di un obbligo di garanzia in quanto
concessionaria, era tenuta a disporre l’immediata attivazione
della procedura di blocco degli apparecchi prevista, in confor-

– 2 –

curatore Generale Dott. Pierfelice Pratis, che nulla ha osser-

mità con il d.m. 12 marzo 2004, n. 86, dalla Convenzione di
concessione e dal relativo Capitolato tecnico;
che il giudice del gravame escludeva poi la denunciata violazione del principio di legalità, non risultando attuata alcuna estensione delle condotte vietate dall’art. 110, coma nono,

che per la cassazione di questa sentenza la Società Atlantis World Group Of Companies N.V. propone ricorso articolato in
due motivi, cui resistono, con controricorso, l’Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato e il Ministero dell’Economia e
delle Finanze;
che è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis
cod. proc. civ., comunicata alle parti e al Pubblico ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
«[…] Con il primo motivo parte ricorrente lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981 nonché insussistenza della violazione amministrativa prevista
dall’art. 110, comma nove, T.U.L.P.S.,

ex art. 360 n. 3 cod.

proc. civ.
Sotto il primo profilo la società ricorrente ritiene errata la
sentenza della Corte d’appello di Milano nella parte in cui ha
ritenuto sussistente la violazione contestata, per non essersi
essa ricorrente attenuta alle disposizioni prescriventi obblighi specifici a suo carico. Invero, secondo parte ricorrente,
il citato art. 110, comma nove, dovrebbe riferirsi a chi si oc-

del T.U.L.P.S.;

cupa della distribuzione ed installazione degli apparecchi da
gioco e a chi ne consente l’uso nei propri locali,

id est ge-

stori ed esercenti, non anche ai concessionari, i quali, pertanto, non rientrano tra i soggetti attivi che la norma individua come autori della violazione. Da qui deriverebbe anche la

essere sanzionato se non nei precisi termini previsti dalla
fattispecie sanzionatoria.
Il motivo è infondato.
La Suprema Corte ha di recente affermato che, in materia di adempimenti connessi al funzionamento di apparecchi e congegni
di intrattenimento da gioco, la mancata attivazione della procedura di blocco e di collocazione in magazzino delle apparecchiature non collegate alla rete telematica giustifica la legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa
dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato

(AAMS), per

violazione dell’art. 110, comma nove, lett. c), del r.d. 18
giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.), anche a carico del concessionario del servizio telematico per la raccolta e la gestione del
gioco lecito, in quanto, al di là degli adempimenti che ricadono su gestori ed esercenti, la norma prevede altresì la punizione di coloro che consentono l’uso delle macchine non rispondenti alle prescrizioni di legge ed amministrative, con obbligo
di impedire l’utilizzo irregolare in ogni caso di difformità di
funzionamento alle prescrizioni (Cass. ord. n. 175 del 2012).
La doglianza è pertanto priva di fondamento.
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violazione del principio di legalità secondo cui nessuno può

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 23, comma dodicesimo, della legge n. 689 del 1981,
per non avere l’amministrazione convenuta in giudizio fornito
la prova dei presupposti di fatto per l’irrogazione della sanzione.

La norma che si assume violata, secondo cui l’opposizione deve
essere accolta quando non vi siano prove sufficienti della responsabilità dell’opponente, opererebbe, a dire di parte ricorrente, un’inversione dell’onere della prova, comportando che
l’opponente si trasformi in parte convenuta e la P.A. opposta
in parte attrice, con tutti i connessi oneri probatori in ordine alla mancata attivazione della procedura di blocco in relazione agli apparecchi per cui è stata accertata la violazione.
L’assunto è infondato.
La pronuncia prima citata, nell’affermare che la mancata attivazione della procedura di blocco e di collocazione in magazzino delle apparecchiature non collegate alla rete telematica,
giustifica la legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa
dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato anche a carico del concessionario del servizio telematico per la raccolta
e la gestione del gioco lecito, e che la norma prevede altresì
la punizione di coloro che consentono l’uso delle macchine non
rispondenti alle prescrizioni di legge ed amministrative, con
obbligo di impedire l’utilizzo irregolare in ogni caso di difformità di funzionamento alle prescrizioni, ha precisato che la
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Il motivo è infondato.

prova dell’assolvimento di tale obbligo, che compete al predetto concessionario, non può dirsi integrata dalla mera comunicazione dal medesimo inviata ai terzi per la collocazione degli
apparecchi in magazzino, misura in concreto inidonea ad impedirne l’utilizzo (Cass. ord. n. 175 del 2012). Né ad inficiare

probatorio tra procedimento di opposizione alla sanzione e opposizione a decreto ingiuntivo previsto dal codice di rito, invocata da parte ricorrente. Recentemente le S.U. hanno infatti
avuto modo di affermare che, sebbene l’art. 23 della legge n.
689 del 1981 dia vita ad un ordinario giudizio di cognizione,
nel quale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa
sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è
pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita, come sostenuto da parte ricorrente, tuttavia tale prova può essere offerta anche mediante presunzioni semplici, che, nel caso
di illecito omissivo (come nel caso che ci occupa), pongono a
carico dell’intimato l’onere di fornire la prova di aver tenuto
la condotta attiva richiesta, ovvero della sussistenza di elementi tali da rendere inesigibile tale condotta (Cass., S.U.,
n. 20930 del 2009). Circostanza questa non soddisfatta però da
parte ricorrente, la quale ha invece ritenuto sufficiente per
escludere l’illecito la mera intimazione inviata al gestore
proprietario dell’apparecchio adibito al gioco di collocare lo
stesso in magazzino.

quanto detto basta l’analogia di meccanismo in tema di onere

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora il
collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio
ai sensi dell’art. 375 n. 5 cod. proc. civ. ed essere rigettato»;

quale del resto non sono state formulate critiche di sorta;
che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio
della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pa-

gamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
euro 1.000,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 21 marzo 2013.

che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla

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