Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13616 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 02/07/2020), n.13616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28444-2014 proposto da:

N.A., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIORGIO GAROFALO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4578/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/07/2014, R.G.N. 8048/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 7 luglio 2014 la Corte d’appello di Roma, in riforma dell’appellata sentenza n. 10777/2011 del locale Tribunale, rigetta le domande avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio da N.A. e dai litisconsorti indicati in epigrafe;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il TAR per la Calabria con la sentenza n. 4 del 2007 ha soltanto stigmatizzato il silenzio dell’Amministrazione sulle istanze dei ricorrenti, senza affrontare il merito della vicenda processuale;

b) il primo Giudice ha, quindi, errato nel far discendere dal giudicato amministrativo l’accoglimento delle pretese dei ricorrenti, sia pure nella sola forma risarcitoria;

c) invece tutte le pretese non sono fondate;

d) non lo è quella ad essere immessi direttamente nei ruoli ATA di collaboratore scolastico, perchè il combinato disposto delle L. n. 56 del 1987 e L. n. 144 del 1999 non attribuisce un diritto soggettivo perfetto all’assunzione ma istituisce una riserva di posti, utilizzabile nell’ambito dell’avviamento a selezione che nella specie la P.A. non ha mai attivato, preferendo procedere a bandire un concorso per tutte le posizioni disponibili, e questa scelta non è stata censurata dinanzi al giudice amministrativo;

e) neppure è fondata la pretesa ad essere inseriti nelle graduatorie ATA, in quanto i lavoratori LSU non rientrano tra le categorie ammesse a partecipare al concorso indetto con O.M. n. 153 del 2000 per mancanza del requisito di cui all’art. 5 del bando;

f) l’infondatezza delle pretese azionate rende impossibile anche l’attribuzione del risarcimento del danno “per equivalente”, come liquidato nella sentenza appellata;

che avverso tale sentenza N.A. e i litisconsorti indicati in epigrafe propongono ricorso affidato a cinque motivi, al quale oppone difese con controricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in cinque motivi, con i quali (sia come violazioni di norme di diritto, sia come vizi motivazionali):

a) si contesta principalmente la mancata applicazione della riserva del 30% dei posti di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 12 recata dall’OM 30 maggio 2000, n. 153 di indizione per l’a.s. 1999-2000 dei concorsi per titoli per l’accesso ai ruoli provinciali, sulla denuncia di mancato, sulla base alla sentenza del TAR Calabria n. 4 del 2007 (primo, terzo e quarto motivo);

b) si censura (impropriamente come vizio motivazionale “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) che il Giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul dedotto mancato rispetto da parte del MIUR del termine di costituzione nel giudizio di primo grado (secondo motivo);

c) si sostiene che la Corte d’appello, avendo riformato totalmente la sentenza di primo grado in assenza di una specifica richiesta al riguardo, avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., sicchè la sentenza impugnata sarebbe viziata da ultrapetizione, ma questo vizio non costituirebbe un error in procedendo quanto piuttosto un vizio di motivazione (quinto motivo);

che il ricorso va dichiarato inammissibile, per le seguenti, plurime ragioni:

a) è inammissibile invocazione del vizio di omessa, errata o insufficiente motivazione, in quanto tale vizio non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (fra le tante: Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 4 luglio 2018, n. 17470);

b) in linea astratta, sia il vizio di omessa pronuncia sia quello di ultrapetizione sono da configurare come errores in procedendo, con la conseguente formulazione;

c) tutte le censure risultano formulate senza l’osservanza – prescritta a pena di inammissibilità – non risulta essere stato osservato del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali nonchè per valutarne la corretta allegazione(di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

d) nella specie tale principio non è stato osservato con riguardo ai diversi atti e documenti richiamati nel ricorso, con riguardo in particolare alla sentenza del TAR Calabria e all’OM 30 maggio 2000, n. 153 nonchè agli atti processuali su cui si fondano le denunce di asseriti errores in procedendo;

che, in sintesi, il ricorso è inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6000,00 (seimila/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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