Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13615 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 02/07/2020), n.13615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14875-2014 proposto da:

MINISTERO AFFARI ESTERI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende

ope legis;

– ricorrente –

contro

B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTORINO

LAZZARINI 19, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SGUEGLIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato UGO SGUEGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1649/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/03/2014, R.G.N. 500/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza l’11 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma, in riforma dell’appellata sentenza n. 3168/2010 del locale Tribunale, dichiara il diritto di B.S. al riconoscimento dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’Ambasciata d’Italia ad Accra dal giorno 1 aprile 1982 all’8 dicembre 2003;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il primo Giudice ha negato il suddetto diritto della ricorrente sul presupposto della diversità soggettiva tra Ambasciata e Ministero degli Affari Esteri (MAE), della novazione del rapporto per effetto della successiva assunzione presso l’Amministrazione centrale del MAE nonchè per la diversa procedura prevista per l’assunzione e, in particolare, per la previsione del pubblico concorso solo presso il MAE;

b) in primo luogo, va precisato che l’Ambasciata non è altro che un ufficio periferico del MAE, privo di personalità giuridica e di autonomia gestionale, del resto anche l’Avvocatura dello Stato non ha mai sostenuto in giudizio la tesi della distinzione soggettiva;

c) benchè non vi sia piena coincidenza tra l’esame di natura concorsuale sostenuto dall’interessata per l’assunzione presso l’Ambasciata e il concorso pubblico previsto per l’assunzione presso il MAE non si tratta di differenze significative e d’altra parte le mansioni svolte sono rimaste uguali sicchè il primo rapporto di lavoro svoltosi all’estero è solo continuato con il MAE senza rilevanti differenze sul piano normativo e contrattuale;

d) d’altra parte, l’avvenuta percezione dell’indennità di fine rapporto al momento della partenza da Accra non è certamente sufficiente a dimostrare l’univoca volontà di estinguere il primo rapporto per costituirne un altro, nonostante la prosecuzione del rapporto stesso con il medesimo datore di lavoro;

che avverso tale sentenza il Ministero degli Affari Esteri (MAE), rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso affidato a tre motivi, al quale oppone difese B.S., con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in tre motivi;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione di numerose norme di diritto, nonchè del CCNL Ministeri sottoscritto il 16 febbraio 1999 e dell’Accordo successivo del 12 aprile 2002, sostenendosi che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, il rapporto di lavoro presso l’Ambasciata e quello presso il MAE sarebbero diversi e regolati da discipline non assimilabili, a partire dalle modalità di assunzione;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. e della L. n. 662 del 1996 (con particolare riferimento all’art. 1, comma 134) sostenendosi che la sussistenza della novazione e dell’animus novandi esclusa dalla Corte territoriale – emergerebbero in modo evidente dalla avvenuta partecipazione alla procedura concorsuale che ha dato modo alla ricorrente di lasciare (e chiudere) l’impiego a contratto all’estero per un nuovo impiego presso l’Amministrazione centrale;

che con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. e del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 152 e artt. 171 e ss. sostenendosi l’erroneità del mancato riconoscimento dell’intervenuta novazione oggettiva, dimostrata in modo palese delle molteplici diversità esistenti tra i rapporti di lavoro dei contrattisti e quelli dei funzionari di ruolo;

che il ricorso è da respingere dovendosi dare continuità all’indirizzo ermeneutico, affermato da questa Corte a partire da Cass. 15 dicembre 2017, n. 30239 secondo cui:

“in tema di personale dell’Amministrazione degli Affari esteri, per gli impiegati assunti dagli uffici all’estero con contratto a tempo determinato regolato dalla legge locale, che successivamente optino, ai sensi del D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 2, comma 5, per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato regolato dalla legge italiana, trova applicazione il principio della infrazionabilità dell’anzianità di servizio ai fini dell’indennità di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c., posto che il solo mutamento del regime giuridico non esclude la continuità tra rapporti di lavoro sorti da contratti sottoposti a discipline diverse”;

che il Collegio condivide tale orientamento e la motivazione dell’anzidetta decisione cui rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

che, pertanto, il ricorso deve essere respinto, visto che tutte le censure in esso formulate muovono dalla premessa – smentita dalla suindicata decisione – secondo cui il rapporto di lavoro presso l’Ambasciata e quello presso il MAE sarebbero diversi e regolati da discipline non assimilabili;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che nulla va disposto con riguardo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non potendo tale normativa trovare applicazione nei confronti dello Stato e delle Amministrazioni ad esso parificate, le quali, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo, come accade per l’Amministrazione ricorrente (vedi, per tutte, in tal senso: Cass. SU 8 maggio 2014, n. 9938; Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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