Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13612 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. III, 19/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/05/2021), n.13612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36241/2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIGLIENA, 10,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MALARA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ILARIA DI NUNZIO, come da procura speciale in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), patrocinato ex lege e domiciliato

presso l’Avvocatura dello Stato;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REPUBBLICA TRIBUNALE ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5836/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.A., proveniente dal Senegal, ha proposto ricorso per cassazione notificato il 10 dicembre 2019 per la cassazione della sentenza n. 5836/2019 emessa dalla Corte d’appello di Roma e pubblicata in data 27 settembre 2019.

Il Ministero dell’interno ha depositato controricorso in data 11 dicembre 2019.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, secondo la ricostruzione compiuta dalla sentenza d’appello, fuggiva in Italia perchè in Senegal aveva, durante una lite, accidentalmente cagionato la morte di un suo socio per averlo spintonato, e temeva perciò una vendetta dei familiari dell’ucciso.

La Corte d’appello di Roma ha confermato il diniego della protezione internazionale deciso dal Tribunale, ed ha motivato nei termini che seguono: la vicenda narrata dal richiedente è meramente personale e non è riconducibile ai requisiti richiesti ai fini della protezione sussidiaria, potendo l’istante far ricorso alla polizia e al sistema giudiziario senegalese, considerata la situazione di stabilità del Paese. Quanto alla protezione umanitaria, la Corte d’appello non rinviene ragioni per ritenere che il richiedente sia un soggetto vulnerabile, stante che dalla documentazione fornita risulta avere una famiglia in Senegal, un lavoro avviato e – dunque – secondo la Corte – il denaro necessario a pagarsi eventualmente un avvocato per risolvere la sua vicenda.

Diritto

RITENUTO

che:

Il ricorrente ha articolato tre censure.

Con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni svolte in giudizio ai fini della valutazione della condizione personale del ricorrente.

Il motivo è inammissibile in quanto del tutto generico. Non chiarisce a quale ipotesi di protezione fa riferimento, non riporta le dichiarazioni delle quali lamenta l’omesso esame, l’intera censura è del tutto generica e volta ad evidenziare che la sua condizione sia stata mal considerata e la sua vulnerabilità sottovalutata, quindi volta eventualmente a provocare una inammissibile rinnovazione del giudizio in fatto in questa sede.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione – ex art. 360, comma 1, n. 3 – del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14. Segnatamente si censura la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente avrebbe diritto in ragione delle condizioni socio politiche attuali (ricorda che non importa la data di arrivo in Italia bensì la situazione odierna) del suo paese di origine. A sostegno di tale tesi richiama la fonte “(OMISSIS)” del 2016.

Il motivo è anch’esso inammissibile perchè generico ed altresì estremamente confuso. Non chiarisce bene a quale delle diverse ipotesi di protezione sussidiaria, che si fondano su diversi presupposti e tutelano situazioni differenti, faccia riferimento, se alla possibilità di essere sottoposto, qualora imprigionato al suo ritorno in patria, a trattamenti inumani o degradanti, o ad una situazione di pericolosità diffusa esistente nel paese. Sembra adombrare che la corte d’appello non abbia considerato adeguatamente che, se l’accusa nei suoi confronti fosse andata avanti, avrebbe potuto essere imprigionato. La censura da un lato è troppo vaga, e non supportata da adeguate e pertinenti argomentazioni in diritto. Per contro la corte d’appello motiva sul fatto che, da un lato, per la sua provenienza familiare e solidità patrimoniale, sarebbe ben stato in grado di difendersi e affrontare un processo e dall’altro non ritiene che la possibile accusa di un delitto colposo fosse così grave da sottoporlo ad effettivi rischi.

Qualora la censura fosse in ipotesi – ma già questa incertezza è tale da produrre l’inammissibilità del motivo – volta a censurare la valutazione che ha portato al mancato riconoscimento della totale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), essa non sarebbe comunque adeguatamente formulata, perchè tende a confutare la valutazione contenuta nel provvedimento impugnato attraverso la diretta composizione di altre informazioni, rispetto a quelle sulle quali la sentenza si è fondata per la descrizione della situazione in Senegal, che a loro volta mancano non solo di attendibilità quanto alla fonte, ma non sono neppure aggiornate al momento della decisione, risalendo al 2016.

Con il terzo motivo di ricorso si censurano ex art. 360, comma 1, n. 3, le seguenti violazioni di legge: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU; nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

Nello specifico si lamenta che, pur essendo accertata la possibilità che il ricorrente, facendo ritorno al suo paese di origine possa essere ingiustamente processato, condannato e incarcerato, rischiando di subire un trattamento carcerario inumano e degradante non sia stata riconosciuta al ricorrente la protezione umanitaria.

Anche il terzo motivo è inammissibile perchè non si confronta con il provvedimento impugnato e con il suo effettivo contenuto.

Approfondisce per quasi tutta l’esposizione la ricostruzione teorica della normativa e dei principi in tema di protezione umanitaria, solo al termine della trattazione inserisce un riferimento alla situazione del ricorrente non svolgendo considerazioni pertinenti alle regole sottese alla valutazione di vulnerabilità, mas riallacciandosi alla tesi già svolta nei motivi precedente, secondo la quale la corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato che potrebbe essere incarcerato al suo ritorno in patria, e quindi torturato.

Inoltre introduce alcuni elementi in fatto, dai quali risulterebbe la sua integrazione lavorativa in Italia (lo svolgimento attuale di prestazione lavorativa per una cooperativa) che non trovato alcun riscontro nella sentenza, senza precisare quando, nel corso del giudizio di merito, abbia prodotto la documentazione relativa.

Il Ministero resiste con controricorso, nel quale chiede si dichiari l’inammissibilità del ricorso avversario e si sostiene che il ricorrente non avrebbe provato il concreto pericolo al quale sarebbe esposto in caso di rimpatrio. Occorre però rilevare, al di là delle conclusioni – e tanto incide ai fini della liquidazione delle spese del presente giudizio, che non possono essere poste a vantaggio della Amministrazione per le ragioni che seguono – che il controricorso non svolge argomentazioni pertinenti al ricorso nè alla sentenza impugnata, facendo riferimento ad una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, anzichè di Roma, alla situazione di sicurezza in Pakistan, anzichè in Senegal, e a vicende private del tutto diverse rispetto a quelle vissute da questo ricorrente ed oggetto di questo ricorso.

Il ricorso è dichiarato inammissibile, ma le spese di giudizio sono compensate non avendo l’amministrazione svolto una difesa in giudizio pertinente al ricorso.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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