Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13610 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. III, 19/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/05/2021), n.13610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35876/2019 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LUIGI

PIRANDELLO 67 PAL. A, presso lo studio dell’avvocato SABRINA

BELMONTE, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO FEDELI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE DI PROTEZIONE

INTERNAZIONALE MILANO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4337/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

E.G., proveniente dalla Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, notificato il 26 novembre 2019, per la cassazione della sentenza n. 4337/2019 emessa dalla Corte d’appello di Milano e pubblicata in data 28 ottobre 2019.

Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, secondo la ricostruzione della sua vicenda personale contenuta nel ricorso, lasciava la Nigeria nel 2013 e nel 2015 giungeva in Italia. La fuga era legata al timore di essere ucciso dai membri di una setta di cui aveva fatto parte suo padre ed alla quale avrebbe dovuto aderire in qualità di successore del genitore defunto; riferisce di essere stato minacciato di morte se avesse fatto altrimenti.

La Commissione territoriale negava il riconoscimento della protezione internazionale, diniego che veniva confermato dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano.

La sentenza d’appello, segnatamente, conferma il giudizio di inattendibilità del racconto del ricorrente, e nega che risultino accertate circostanze obiettive sulle quali fondare ragionevolmente il timore che il ricorrente possa essere esposto a persecuzioni. Quanto alla protezione sussidiaria, afferma l’assenza di una situazione di violenza indiscriminata nella zona della Nigeria di provenienza del richiedente. Quanto infine alla protezione umanitaria, la corte d’appello rileva la mancanza di prova di una integrazione socio lavorativa dell’appellante in Italia, ed alla luce della situazione di non manifesta violazione dei diritti umani fondamentali esistente in Nigeria, nella zona di provenienza del ricorrente, e della inattendibilità del narrato giustificano il diniego della protezione umanitaria richiesta.

Il ricorrente ha articolato due censure.

Con il primo motivo di ricorso deduce l’erronea interpretazione dei fatti e delle circostanze poste a fondamento della domanda e la violazione di legge con riferimento del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 3 e 14, relativo alla concessione della protezione sussidiaria, anche in relazione al combinato disposto dell’art. 4, paragrafo 3 d) della direttiva 2004/83/CE e dell’art. 13, lett. a) della direttiva 2005/85/CE.

Segnatamente il ricorrente afferma che la Corte d’appello ha errato nell’interpretare il significato da attribuirsi all’espressione “violenza indiscriminata e generalizzata”, situazione alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio.

Invero, secondo il ricorrente, le COI più accreditate rivelano l’esistenza di una situazione di conflitto armato in Nigeria, che erroneamente la Corte d’appello non ha ritenuto esistente nella zona di provenienza dell’istante. Il motivo è inammissibile, perchè la sentenza impugnata valuta la situazione di fatto esistente nel paese, sulla base di COI attendibili ed aggiornate, che la portano a concludere che la regione di provenienza del ricorrente, benchè tormentata anch’essa da disordini, non presenti una situazione grave come quella tutelata dall’art. 14, lett. C), il ricorrente si limita a contrapporre alla valutazione del giudice di merito la propria personale valutazione delle stesse fonti di informazione, atta a farne emergere un quadro più critico, sollecitando questa Corte ad una diversa valutazione dei fatti, inammissibile in questa sede.

Con il secondo motivo lamenta l’erronea interpretazione dei fatti e delle circostanze poste a fondamento della domanda e la violazione di legge con riferimento al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, oltre al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

Assume che la Corte d’appello abbia aprioristicamente escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità partendo dal presupposto che il ricorrente è inattendibile ed assume che la valutazione non gli avrebbe reso giustizia, avendo egli prospettato in sede di appello diversi indici di vulnerabilità. Il motivo è inammissibile in quanto generico, strutturato attraverso una mera ricostruzione astratta dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, che non vengono tradotti e adattati alla situazione personale del ricorrente: non precisa affatto quale sia la sua personale vulnerabilità, sotto quale profilo i suoi diritti umani sarebbero violati se rimandato indietro. Per come è strutturata, la censura non è tale da aggredire utilmente la valutazione del giudice di appello, che rigetta la domanda sulla protezione umanitaria non perchè il ricorrente fosse inattendibile ma perchè ha ritenuto che lo stesso non avesse fornito elementi atti a supportare un proprio percorso di integrazione e quindi a consentire il compimento di un giudizio comparativo in concreto tra la situazione attuale e quella in cui sarebbe costretto a reinserirsi ove rimpatriato.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

 

 

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