Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13607 del 30/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 30/05/2017, (ud. 08/02/2017, dep.30/05/2017),  n. 13607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28294/2014 proposto da:

A.C., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati CARMELA TERESA AMATA,

MASSIMILIANO FABIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PIRROTTI PREFABBRICATI S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato SALVATORE CINNERA MARTINO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 729/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 08/05/2014 R.G.N. 165/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per accoglimento del ricorso

principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GIOVANNI FOTI per delega Avvocato CARMELA TERESA

AMATA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 8 maggio 2014, la Corte d’appello di Messina dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 7 ottobre 2010 a A.C. da Pirrotti Prefabbricati s.r.l., che condannava a corrispondergli un’indennità, a titolo risarcitorio, commisurata a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato il licenziamento nullo in quanto ritorsivo, ordinando l’immediata reintegrazione del lavoratore e condannando la società datrice al risarcimento del danno pari all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la prova della natura ritorsiva del licenziamento, in dipendenza della rottura tout court della relazione sentimentale tra il lavoratore e l’amministratrice unica della società datrice, senza alcuna prova, a carico del lavoratore, della sua ragione esclusiva nell’intento vendicativo.

Essa riteneva invece illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in difetto di dimostrazione del suo collegamento ad effettive ragioni di carattere, produttivo, non risultanti dal generico riferimento datoriale alla condizione di crisi del settore edilizio.

A tale illegittimità conseguiva, per l’incontestata dimensione dell’impresa occupante meno di quindici dipendenti, la tutela obbligatoria, individuata nell’indennità liquidata nella misura suindicata, in ragione della durata del rapporto.

Con atto notificato il 7 novembre 2014, A.C. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste la società datrice con controricorso, contenente, secondo una corretta qualificazione delle doglianze semplicemente enumerate, ricorso incidentale in base a tre motivi e incidentale condizionato in base sostanzialmente ad altri tre.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5 e art. 183 c.p.c., comma 7 e nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per ingiusta mancata ammissione delle prove testimoniali dedotte ai fini di provare l’intento ritorsivo e il motivo illecito determinante il licenziamento.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., art. 420 c.p.c., comma 5 e art. 183 c.p.c., comma 7, nullità della sentenza ed omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per mancata ammissione delle prove testimoniali dedotte ai fini della dimostrazione delle circostanze suindicate, sull’erroneo assunto della rottura della relazione sentimentale nel mese di giugno, anzichè di settembre 2010.

3. Con il primo motivo la società controricorrente a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, artt. 3, 4, L. n. 604 del 1966, art. 3, anche in riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 30, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’insindacabilità delle ragioni di merito imprenditoriale del licenziamento per riduzione di personale, una volta accertata la condizione di crisi del settore edilizio.

4. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione del L. n. 108 del 1990, artt. 3, 4, L. n. 604 del 1966, art. 3, artt. 112, 115, 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per la comprovata ricorrenza, sulla base dei documenti prodotti e la deduzione probatoria offerta, della crisi del settore edile, alla base del licenziamento intimato, non meramente pretestuoso.

5. Con il terzo, essa deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per inosservanza del principio di causalità nell’erronea compensazione delle spese di giudizio, “stante l’esito della controversia”.

6. In via di ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 108 del 1990, art. 3 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per il mancato accertamento dell’allegazione dal lavoratore di un proprio comportamento legittimo rispetto al quale qualificabile come ritorsiva la propria reazione.

7. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., L. n. 108 del 1990, artt. 3 e 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per inammissibilità e irrilevanza delle prove orali dedotte dal lavoratore.

8. Con il terzo, essa deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, artt. 3 e 4, art. 2727 c.c. e art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per la mancata concludenza probatoria, neppure in via gravemente presuntiva, delle circostanze allegate dal lavoratore ai fini del licenziamento ritorsivo, tenuto conto della riconosciuta esistenza di una condizione di crisi del settore edilizio.

9. I due motivi di ricorso principale (violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5 e art. 183 c.p.c., comma 7 e nullità della sentenza, il primo; oltre alle dette disposizioni, dell’art. 132 c.p.c., ed omesso esame di fatto decisivo, il secondo; entrambi per ingiusta mancata ammissione delle prove testimoniali dedotte ai fini di provare l’intento ritorsivo e il motivo illecito determinante il licenziamento) possono essere congiuntamente esaminati per la loro evidente connessione.

Essi sono inammissibili.

9.1. In via di premessa, è essenziale condurre l’esame nel rigoroso rispetto del perimetro di devoluzione segnato dai due mezzi, tutto interno al ragionamento probatorio condotto dalla Corte territoriale (dal penultimo capoverso di pg. 2 al secondo di pg. 3 e ancora dall’ultimo di pg. 3 al primo di pg. 4 della sentenza), che pure si è data carico della difficoltà probatoria in materia di licenziamento ritorsivo, che per tale ragione si fonda sostanzialmente sulla utilizzazione di presunzioni, “tra le quali presenta pure un ruolo non secondario anche la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento” (così al primo capoverso di pg. 3 della sentenza, in trasparente consonanza con Cass. 8 agosto 2011, n. 17087). Ma essa, di tanto consapevole nella chiara prospettazione dei principi di diritto regolanti il regime probatorio nella materia, ha chiarito il proprio fermo dissenso dal “metodo” seguito dal Tribunale, negando la correttezza della sua “operazione ermeneutica” che “non può avere quei requisiti di matematicità e rigorosa conseguenzialità per cui non comprovato il motivo (oggettivo di licenziamento) automaticamente possa ritenersi comprovato, come unico e determinante, l’addotto motivo ritorsivo”(così ai primi due capoversi di pg. 3 della sentenza).

Ebbene, questa ratio decidendi che ha sorretto il ragionamento argomentativo della Corte territoriale nella valutazione probatoria ai fini dell’accertamento del fatto (negazione della natura ritorsiva del licenziamento), non è stata confutata.

9.2. Il ricorrente ha piuttosto censurato l’insufficienza degli elementi probatori allo scopo utilizzati e della loro valutazione, dolendosi sostanzialmente della mancata ammissione delle prove orali dedotte, senza contestare la qualità dell’operazione ermeneutica della Corte messinese, diversa da quella del Tribunale sul piano, si ribadisce, del metodo.

9.3. E allora, appare evidente l’insussistenza della violazione di norme di diritto, solo formalmente denunciata, in difetto dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruirne la portata precettiva, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

9.4. E così pure dei vizi di error in procedendo, non potendosi ricondurre la censurata mancata ammissione di prove (tra l’altro, siccome ingiusta) a vizio di attività, trattandosi in realtà di contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, con sollecitazione ad una rivisitazione del merito, insindacabile in sede di legittimità, laddove congruamente e correttamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694); tanto meno configurabile, per la limitazione del cono devolutivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo anzi la Corte tenuto conto del fatto indicato come decisivo di cui denunciato omesso l’esame, ossia la rottura della relazione sentimentale tra le parti nel mese di giugno, anzichè di settembre 2010.

9.5. Ebbene, nell’ambito del ragionamento probatorio censurato, la Corte territoriale ha congruamente e correttamente motivato (per le ragioni sopra richiamate) il proprio convincimento, in esito anche ad una valutazione di superfluità delle prove orali dedotte, in considerazione delle risultanze dell’interrogatorio formale dell’amministratrice della società datrice e soprattutto della necessità della dimostrazione di esclusività (al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza) dell’intento vendicativo nel licenziamento ritorsivo, quale motivo illecito unico determinante (Cass. 8 agosto 2011, n. 17087; Cass. 3 dicembre 2015, n. 24648).

10. L’inammissibilità, per le superiori ragioni, del ricorso principale comporta l’assorbimento di quello incidentale condizionato della società controricorrente.

11. Il primo motivo incidentale, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, artt. 3, 4, L. n. 604 del 1966, art. 3, anche in riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 30, per insindacabilità delle ragioni di merito del licenziamento per riduzione di personale una volta accertata la crisi del settore edilizio, è inammissibile.

11.1. Esso è generico, in violazione del requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

La sua genericità dipende dall’omessa confutazione della ratio decidendi (“Nel caso in esame il generico riferimento alla generale condizione di crisi attraversata dallo specifico settore edile non può certo costituire prova che quella crisi abbia colpito anche la società appellante tanto da giustificare il licenziamento…”: così al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza). Essa neppure è stata colta, come sintomaticamente denunciato anche dal richiamo non pertinente dell’insindacabilità giudiziale delle ragioni della scelta imprenditoriale: perchè essa vale soltanto una volta che sia stata accertata l’effettiva ricorrenza delle ragioni economiche, produttive e organizzative (conforme a insegnamento consolidato, recentemente ribadito da: Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201), nel caso di specie mancata.

12. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, artt. 3, 4, L. n. 604 del 1966, art. 3, artt. 112, 115, 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., per comprovata ricorrenza della crisi del settore edile alla base del licenziamento intimato, è parimenti inammissibile.

12.1. Esso consiste nella contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, con sollecitazione ad una rivisitazione del merito, insindacabile in sede di legittimità, laddove congruamente e correttamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie (“… nè risultano offerti validi elementi di prova idonei a supportare la necessità di riduzione del personale riferita all’epoca del licenziamento del dipendente”: così al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza).

13. Infine, anche il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., per inosservanza del principio di causalità nell’erronea compensazione delle spese di giudizio, “stante l’esito della controversia”, è inammissibile.

13.1. La statuizione censurata è insindacabile, se non nei limiti dell’accertamento della violazione del principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa: il che non è nel caso di specie, tenuto conto della soccombenza, quanto meno prevalente, della società datrice.

Sicchè esula dai limiti di un tale sindacato, piuttosto rientrando nell’esclusivo potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione di opportunità della compensazione totale o parziale delle spese di lite, nelle ipotesi sia di soccombenza reciproca, sia di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317; Cass. 5 aprile 2003, n. 5386).

13.2. D’altro canto, la Corte ha pure correttamente operato e giustificato l’applicazione del principio di causalità, in base alla reciproca parziale soccombenza, comportante la possibile compensazione totale o parziale degli oneri processuali (Cass. 22 febbraio 2016, n. 3438; Cass. 23 settembre 2013, n. 21684).

14. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso principale e dell’incidentale, con la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti.

PQM

 

LA CORTE

dichiara inammissibili i ricorsi principale e incidentale e interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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