Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13607 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6437-2019 proposto da:

A.I., P.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati GIUSEPPE IUCCI, GIUSEPPE MARINO;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA nella qualità di mandataria

della MONTE DEI PASCHI DI SIENA LEASING & FACTORING – BANCA PER

I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE SPA, in persona del Procuratore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LUCONI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7835/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 10/12/2018, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da A.I., e rigettato l’appello proposto P.F., avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring s.p.a., ha dichiarato inefficace, nei confronti di quest’ultima, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto con il quale il P. (debitore della società attrice) aveva ceduto un proprio bene immobile in favore di A.I.;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, rilevata la tardività dell’appello proposto da A.I., ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti tutti i presupposti soggettivi e oggettivi per l’accoglimento dell’azione revocatoria spiegata dall’attrice;

avverso la sentenza d’appello, P.F. e A.I. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

il Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring s.p.a. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, di dover disattendere l’eccezione sollevata dalla società controricorrente in ordine alla pretesa tardività dell’odierno ricorso per cassazione, risultando, dagli atti depositati, che gli odierni ricorrenti hanno richiesto la notificazione del ricorso in data 11/2/2019, e dunque entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla notificazione (in data 13/12/2018) della sentenza impugnata;

con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost., nonchè dell’art. 153 c.p.c., comma 2, degli artt. 327 e 333c.p.c. e dell’art. 343 c.p.c., comma 1 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente rilevato la tardività dell’appello proposto dalla A., trascurando di qualificarne la natura di impugnazione incidentale, come tale ammissibile benchè tardiva;

il motivo è manifestamente infondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema d’impugnazioni, l’appello autonomo tardivo, anche dopo la riunione dei procedimenti, non può essere considerato come un appello incidentale tardivo, operando la preclusione della decadenza stabilita dall’art. 333 c.p.c., finalizzata a salvaguardare la tempestività dell’impugnazione incidentale, altrimenti proponibile, fuori dal primo procedimento, senza termine, e l’unitarietà del processo, pregiudicata da un’impugnazione autonoma, che, in mancanza di riunione, può generare contraddittorietà di giudicati (Sez. 5, Sentenza n. 20497 del 12/10/2016, Rv. 641288 – 01);

nella specie, legittimamente il giudice d’appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione autonomamente proposta dalla A. (escludendone la conversione in appello incidentale tardivo), avendo sottolineato come quest’ultima avesse proposto tardivamente un proprio appello autonomo addirittura in epoca anteriore all’autonoma proposizione, da parte del P., del proprio appello avverso la medesima sentenza;

ciò posto, non avendo la ricorrente osservato il termine d’impugnazione decorrente dalla notificazione della sentenza, quest’ultima doveva ritenersi già passata in cosa giudicata nei relativi confronti, sì da precluderle la possibilità di impugnare;

varrà al riguardo precisare come, avendo la A. già esercitato la facoltà di impugnare in modo tardivo la sentenza di primo grado, la relativa situazione processuale – lungi dal potersi assimilare a quella di chi, non avendo impugnato, recupera detta facoltà a seguito dell’impugnazione altrui a noma dell’art. 334 c.p.c. (con la possibilità di impugnare oltre i termini) – doveva ritenersi quella di chi, avendo già impugnato con appello principale inammissibile, avrebbe potuto proporre impugnazione ai sensi dell’art. 334 c.p.c. solo attraverso un nuovo appello nelle forme dell’impugnazione incidentale tardiva (circostanza non verificatasi nel caso di specie), non potendo attribuirsi tale qualificazione al pregresso autonomo atto di appello, sulla base di una sorta di conversione da ritenersi del tutto impropria, tanto sotto il profilo cronologico, quanto sotto quello funzionale;

con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato gli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, non tenendo conto di tutte le circostanze di fatto allegate, e incorrendo in evidenti contraddizioni, con particolare riguardo alle circostanze relative alla conoscenza, da parte della A., del pregiudizio che l’atto di disposizione impugnato comportasse per le ragioni della società attrice;

con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c., nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato gli elementi di prova complessivamente acquisiti, con particolare riguardo al ricorso dei presupposti di carattere oggettivo e soggettivo indispensabili ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria ex adverso proposta;

il secondo il terzo motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

infatti, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza dei ricorrenti devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere disposto il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli artt. 1-bis e art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli artt. 1-bis e art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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