Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13606 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4576-2019 proposto da:

A.G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEL FORO TRAIANO 1/A, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PALMA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO LATTUCA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1560/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 3/7/2018, la Corte d’appello di Catania ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania al risarcimento dei danni subiti da A.G.G. a seguito dell’inesatta esecuzione, da parte dei sanitari dell’azienda convenuta, di un intervento chirurgico sulla sua persona;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse correttamente determinato, sulla base delle indagini tecniche eseguite nel corso del giudizio, l’entità delle conseguenze lesive subite dalla A. in pregiudizio della propria salute, senza incorrere in alcun errore od omissione anche nella liquidazione dei danni non patrimoniali riconducibili all’ambito delle sofferenze morali conseguite all’illecito dedotto in giudizio;

avverso la sentenza d’appello, A.G.G. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania non ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 32 Cost. e dell’art. 2056 c.c., in relazione agli artt. 1223,1226,1227 e 2059 c.c. (con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale illegittimamente disatteso il motivo di censura proposto in sede di appello con riguardo all’erronea liquidazione del danno biologico subito, nella specie non adeguatamente qualificato dal consulente tecnico d’ufficio, sulle cui conclusione entrambi i giudici del merito si sono incongruamente e acriticamente riferiti;

il motivo è inammissibile;

al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso la censura indicata, la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione;

in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la A. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, così come considerati e interpretati dal consulente tecnico d’ufficio;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale inadeguatamente giustificato il rigetto della richiesta del risarcimento del danno morale soggettivo in misura superiore a quella effettivamente liquidata;

il motivo è inammissibile;

sul punto, varrà considerare come il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 possa ritenersi denunciabile per cassazione unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c, n. 5, cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio concernente il tema del danno morale soggettivo subito dall’originaria attrice, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

varrà inoltre osservare come l’odierna ricorrente abbia del tutto trascurato di articolare in modo specifico, tanto le occorrenze concrete dell’omissione denunciata, quanto i profili di decisività dei fatti dedotti, non emergendo, in modo incontroverso e inequivocabile, il disegno del differente esito della risoluzione della controversia che sarebbe emerso con certezza là dove la corte territoriale avesse tenuto conto in modo specifico e analitico dei fatti richiamati;

da tale prospettiva, si tratta, dunque, della mera invocazione, da parte della ricorrente (non già dell’omesso esame, ad opera del giudice d’appello, di fatti decisivi già controversi tra le parti, bensì) di una rilettura nel merito degli elementi istruttori e dei fatti emersi nel corso del processo, riproposti in una diversa lettura interpretativa, essendosi la A. unicamente limitata a criticare (inammissibilmente) le valutazioni di fatto espresse dalla corte territoriale in ordine ai profili di danno obiettivamente rilevabili sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti agli atti del giudizio;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese dell’odierno giudizio di legittimità, non avendo l’azienda sanitaria convenuta intimata svolto difese in questa sede;

dev’essere, viceversa, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli artt. 1-bis e 13.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli artt. 1-bis e 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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