Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13602 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.30/05/2017),  n. 13602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17017/2014 proposto da:

COMUNE DI MASSA, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO IARIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCA PANESI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.E., C.F. (OMISSIS), Z.M.C. C.F.

(OMISSIS), R.B. C.F. (OMISSIS), T.M.G. C.F.

(OMISSIS), F.P. C.F. (OMISSIS), D.L. C.F.

(OMISSIS), SA.BA. C.F. (OMISSIS), RO.MO. C.F.

(OMISSIS), P.T. C.F. (OMISSIS), M.P. C.F.

(OMISSIS), B.P. C.F. (OMISSIS), tutte elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio

dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che le rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 673/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 07/01/2014 R.G.N. 668/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’estinzione per rinuncia

per S., accoglimento per quanto di ragione per gli altri;

udito l’Avvocato FRANCESCA PANESI;

udito l’Avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 673/14, in riforma della sentenza del Tribunale di Massa, dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le attuali controricorrenti e il Comune di Massa, contratti che prevedevano la qualifica di educatrici di asili nido e come causale dell’apposizione del termine l'”esigenza di consentire un’adeguata organizzazione del servizio di asilo nido rispettando la proporzione numerica tra bambini ed educatori” (tutti tranne quello della Ro., che non recava alcuna causale).

2. Il Tribunale di Massa, pur avendo riconosciuto fondata la tesi delle lavoratrici secondo cui la causale, anche quando esistente, era troppo generica per legittimare l’apposizione del termine in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, aveva respinto le domande risarcitorie per intervenuta prescrizione quinquennale, ravvisando una responsabilità di natura extracontrattuale in capo alla Pubblica Amministrazione, esclusa comunque la possibilità di convertire i contratti in rapporti a tempo indeterminato.

3. La Corte di appello, respinte le eccezioni preliminari sollevate dal Comune, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo operante il termine di prescrizione decennale: nel caso in esame non rilevava il fatto che venissero in considerazione difetti relativi al momento genetico del rapporto, ossia vizi relativi ad una fase precedente al perfezionamento del contratto; veniva in rilievo una responsabilità del tutto peculiare, con spiccato carattere sanzionatorio, come affermato da Cass. n. 392/2012.

3.1. Esclusa la conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato, i Giudici di appello riconoscevano a ciascuna lavoratrice il risarcimento del danno in misura pari a venti mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla cessazione del rapporto al saldo.

4. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di Massa con undici motivi. Resistono le lavoratrici con controricorso. In prossimità dell’udienza parte ricorrente ha depositato verbale di conciliazione riguardante la lavoratrice S.E., dichiarando di volere rinunciare al ricorso per cassazione nei confronti di tale parte del giudizio, fermo restando l’interesse a coltivare il giudizio nei confronti delle altre. Il verbale di conciliazione è stato notificato al difensore della S..

5. Sia il Comune che le controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia error in procedendo per nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 434 c.p.c.. La Corte di appello non si era pronunciata in ordine all’eccezione di inammissibilità del gravame, formulata dalla difesa dell’Ente sul rilievo che gli atti di appello non contenevano l’indicazione dei motivi di impugnazione: le controparti, anzichè sollevare puntuali censure avverso la pronuncia di primo grado, avevano ritenuto di riproporre in larga parte le difese di primo grado.

2. Il secondo motivo denuncia error in procedendo per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’azione ribadita dalla difesa dell’Ente nelle cause di appello promosse dalle lavoratrici Ro. e R. per il mancato rispetto del termine di 270 giorni, decorrenti dalla formulazione dell’impugnativa del contratto a termine, stabilito per il deposito di ricorso dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1. I contratti a termine erano già conclusi alla data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, ed erano scaduti in data 31 luglio 2009, mentre l’impugnativa venne proposta in data 20 gennaio 2011 e il deposito dei ricorsi avvenne in data 18 ottobre 2011, oltre il suddetto termine di 270 giorni, che andava a scadere il 17 ottobre 2011.

3. Il terzo motivo denuncia error in procedendo per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’eccezione di inammissibilità dell’azione riproposta dalla difesa dell’Ente in sede di appello nella causa promossa da B.P. quanto al secondo contratto stipulato. L’eccezione era stata formulata per mancanza di tempestiva impugnativa del contratto ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. L. n. 183 del 2010, art. 32, con riferimento alla posizione delle lavoratrici M.P. e T.M.G.. Quanto alla prima, l’impugnativa del contratto a tempo determinato, scaduto il 31 luglio 2009, era avvenuta in data 11 febbraio 2012, ossia successivamente al termine di 60 giorni da computarsi dalla data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010 (24.1.2011), previsto dell’art. 32, comma 1 della stessa Legge, termine applicabile anche all’impugnativa dei contratti a tempo determinato in virtù di quanto disposto dal comma quattro dello stesso articolo. Per quanto riguarda T.M.G. si sostiene che l’impugnativa proposta il 5 aprile 2011 si collocava nel corso del rapporto di lavoro durato fino al 4 maggio 2011; pertanto, l’impugnativa stragiudiziale era stata proposta quando la lavoratrice non aveva la relativa facoltà, poichè questa sorgeva esclusivamente alla scadenza del rapporto.

5. Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio comprovanti la sufficienza della causale apposta: a) ai contratti stipulati con D.L. e B.P. (primo contratto) per ragioni organizzative, quali risultanti dai contratti stessi, che facevano riferimento alla determinazione n. 4288 del 2009 del Dirigente del Settore Sviluppo delle Risorse Umane e Organizzazione con cui l’assunzione di due educatrici era stata giustificata dal “fine di adeguare l’azione educativa alle effettive esigenze dell’utenza garantire un adeguato servizio per l’anno scolastico 2009/2010”;

b) ai contratti stipulati con B.P. (secondo contratto) e T.M.G. per ragioni di natura sostitutiva, causali apposte ai relativi contratti, dovendo le lavoratrici sostituire altre dipendenti a tempo indeterminato assenti per aspettativa.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6, comma 5 e art. 70, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte di appello omesso di considerare la particolare disciplina dettata dal legislatore con riferimento alle scuole per salvaguardare la continuità del servizio, con conseguente esclusione di tale settore dall’applicazione della disciplina generale D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1. In particolare, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 8, fa salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni e integrazioni. Parte ricorrente dà comunque atto di non avere sollevato la questione dinanzi al giudice di merito, rilevando che si tratterrebbe di una questione rilevabile d’ufficio e prospettabile per la prima volta in sede di legittimità purchè, come nel caso di specie, fondata su elementi di fatto già dedotti.

7. Il settimo motivo denuncia violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5. Si assume che la sentenza di appello sarebbe censurabile anche nel caso in cui si ritenesse applicabile al caso di specie la normativa in materia di contratto a termine. Si contesta la motivazione della sentenza impugnata laddove si afferma che la causale apposta contratti era o del tutto mancante o troppo generica. Il legislatore, abbandonata la tecnica di precisa e tassativa indicazione delle ipotesi, ha inteso adottare una formulazione in cui la ragione giustificatrice del contratto è riconducibile alla categoria delle cosiddette clausole generali.

8. L’ottavo motivo, vertente sulla posizione della signora Ro.Mo., denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nel fatto che nel contratto stipulato in data 29 agosto 2003 erano state indicate le ragioni di carattere organizzativo sottese alla scelta dell’assunzione a termine mediante espresso richiamo di provvedimenti amministrativi prodromici costituenti i presupposti legittimati, sotto il profilo della spesa, dei contratti medesimi.

9. Il nono motivo denuncia error in iudicando per avere la sentenza riconosciuto il risarcimento del danno in difetto di allegazioni concrete circa l’effettiva sussistenza di un pregiudizio derivante dall’assunzione a termine, in violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

10. Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e dell’art. 97 Cost., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto che il danno da risarcire sia quello derivante dalla perdita di un’occupazione a tempo indeterminato benchè l’art. 36 citato, in conformità al canone costituzionale di cui all’art. 97, vieti espressamente l’assunzione ed escluda dunque in radice la possibilità identificare il danno subito dalle lavoratrici con la perdita del posto di lavoro, dovendosi altresì escludere – come pure ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità – che possa configurarsi un danno in re ipsa (peraltro in fattispecie non coperte dall’applicazione della direttiva europea in materia, venendo in rilievo singoli contratti a termine) e potendosi, semmai, considerare come danno astrattamente risarcibile solo quello derivante dalla perdita di altre più favorevoli occasioni, risultando inapplicabile, per la diversità della fattispecie contemplata, il parametro di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

11. L’undicesimo motivo verte sugli accessori riconosciuti sull’indennità risarcitoria commisurata a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in applicazione parametrale dell’art. 18, commi 4 e 5 Stat. Lav..

12. Preliminarmente, ricorrono i presupposti per la declaratoria di estinzione del giudizio tra il Comune di Massa e la controricorrente S.E., stante l’intervenuta, rituale rinuncia ex art. 390 c.p.c., con compensazione tra le stesse parti delle spese del giudizio di legittimità.

13. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto non rispetta le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c.. Non risulta trascritto, nelle sue parti salienti, il ricorso in appello di cui si lamenta la genericità. Ancorchè tale atto sia di regola inserito nel fascicolo d’ufficio, la cui trasmissione è stata richiesta da parte ricorrente ex art. 369 c.p.c., comma 3, il suddetto adempimento di trascrizione è del tutto autonomo e prescritto a pena di inammissibilità (v., tra le più recenti, Cass. n. 195 del 2016, n. 14784 del 2015, v. pure S.U. 22726 del 2011).

14. Il secondo motivo è infondato.

14.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando in fattispecie del tutto analoghe a quella in esame, relative ad altri contratti a termine stipulati dal Comune di Massa, hanno respinto (sentenza n. 4913 del 2016) i motivi di ricorso proposti dall’Ente locale avverso la statuizione del giudice di appello che aveva ritenuto tempestivi i ricorsi proposti dalle lavoratrici per effetto della proroga disposta dal comma 1 bis, aggiunto alla L. n. 10 del 2011, art. 32 di conversione del D.L. n. 225 del 2010, riferibile a tutti i casi per i quali il citato art. 32, ha introdotto la nuova disciplina decadenziale, con efficacia retroattiva, come desumibile chiaramente dall’inciso “in sede di prima applicazione” oltre che dalla ratio legis.

14.2. Le S.U. hanno osservato che correttamente la Corte d’appello aveva ritenuto inoperante nella specie il termine di decadenza per l’azione diretta a far valere l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro quale introdotto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, stante quanto disposto dal comma 1 bis aggiunto a tale disposizione dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010 n. 225, che ha previsto che le disposizioni di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere 31 dicembre 2011. Tale differimento dell’efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall’art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce.

14.3. Considerato che la ratio del differimento dell’applicabilità del nuovo regime decadenziale risiede nell’esigenza di evitare che l’immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell’art. 32 cit., si trovasse ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell’impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro. Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l’applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall’art. 32 cit. (cfr., negli stessi termini, tra le più recenti, oltre alle citate sentenze delle S.U., Cass. n. 1684, 1683, 1682, 1681 e 1680 del 2017, in fattispecie riguardanti ipotesi di contratti a temine stipulati da P.A.)

15. Per il terzo motivo valgono i medesimi rilievi di infondatezza di cui al secondo motivo.

16. In ordine al quarto, deve rilevarsene parimenti l’infondatezza quanto la posizione di M.P., occorrendo richiamare tutto quanto osservato con riferimento al secondo motivo. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della disciplina suddetta, così come attualmente interpretata da questa Corte. Quanto alla posizione della lavoratrice T., il ricorso è inammissibile, in quanto l’eccezione di inefficacia dell’impugnativa proposta prima della cessazione del rapporto a termine costituisce questione nuova di cui la Corte territoriale non parla nella sentenza impugnata e che pertanto, in difetto di ulteriori allegazioni, che era onere dell’attuale ricorrente prospettare nella presente sede, deve ritenersi inammissibile, in quanto sollevata per la prima volta dinanzi a questa Corte.

17. Il quinto motivo è infondato. La Corte territoriale ha ritenuto generiche le ragioni

giustificative dell’apposizione del termine, in quanto non rispondenti al disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (nel regime precedente la modifica introdotta dalla L. n. 92 del 2012). In particolare, ha ritenuto non idoneo il riferimento all’esigenza di garantire un’adeguata organizzazione del servizio e di rispettare la proporzione numerica tra bambini ed educatori, atteso che tale giustificazione non era altro che l’espressione del normale espletamento delle funzioni demandate al servizio della pubblica istruzione, al quale le attrici vennero assegnate. In proposito questa Corte (Cass. 18 ottobre 2013 n. 23702) ha affermato che costituisce regola generale l’obbligo di apporre nel contratto individuale di lavoro a tempo determinato la ragione giustificativa del termine, la cui enunciazione deve essere specifica nel regime previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368.

17.1. Quanto ai contratti stipulati per prospettate ragioni sostitutive, il ricorso è carente della descrizione della vicenda processuale da cui poter desumere, in relazione all’art. 366 c.p.c., n. 3, in quali termini fosse stata introdotta in giudizio la questione dell’esistenza di causali di natura sostitutiva anzichè di sole causali di natura organizzativa, di cui ha argomentato la Corte di appello. Difatti la sentenza impugnata, nel trattare solo la questione della genericità delle causali di natura organizzativa, non dà conto dell’esistenza i questioni giuridiche diverse da quel pecificamente esaminate. Il vizio prospettato in termini omesso esame di questione di fatto attiene alla qualificazione della causale e quindi afferisce all’interpretazione della domanda giudiziale e delle originarie difese di parte convenuta.

18. Quanto al sesto motivo, a prescindere dai profili di inammissibilità laddove involge questioni precluse dalla mancata deduzione in sede di merito, è sufficiente richiamare la sentenza n. 4913 del 2016 delle Sezioni Unite che, in fattispecie analoga, ha respinto il ricorso del Comune di Massa anche in ordine a tale censura.

19. Il settimo motivo va respinto. Premesso che in tema di assunzioni a termine il datore di lavoro ha l’onere di specificare in apposito atto scritto, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive, ossia le esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano l’apposizione del termine finale, ne consegue che compete al giudice di merito accertare la sussistenza di dette ragioni, valutando ogni elemento idoneo a darne riscontro (Cass. 2680 del 2015); il relativo accertamento attiene a questione di fatto e non di diritto.

19.1. Non può utilmente invocarsi il controllo di legittimità sul giudizio di merito operato su c.d. norme elastiche. Questo attiene all’interpretazione di norme che abbiano un contenuto apparentemente non definito e consiste nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che, per la sua stessa struttura, si limita ad esprimere un parametro generale); in questo caso, il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, dando concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa, introdotta per consentire alla norma stessa di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale (cfr. ex plurimis, Cass. n. 5095 del 2011, 8017 del 2006, n. 7838 del 2005, n. 8254 del 2004).

19.2. Tenuto conto del tradizionale criterio distintivo tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità, l’applicazione delle norme elastiche non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 3, nei casi in cui gli “standards” valutativi sulla cui base è stata definita la controversia finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed infine anche nei casi in cui i suddetti “standards” valutativi si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (Cass. 16037 del 2004).

19.3. Nel caso in esame, il ricorso per cassazione non verte sulla violazione di “standard” valutativi, neppure indicati dall’attuale ricorrente, che il giudice di merito avrebbe compiuto nell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, ma – più semplicemente – esso investe la questione se sia definibile come specifica la causale appositiva del termine, e dunque verte esclusivamente su una questione di fatto relativa al nesso logico tra l’assunzione a termine e la ragione giustificativa posta a suo fondamento.

20. L’ottavo motivo è inammissibile. Come chiarito da Cass. 17155 del 2015, l’esigenza di specifica indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo imposta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, riguarda anche il caso in cui tali ragioni siano espresse indirettamente, ossia per relationem ad altri testi scritti, il cui richiamo deve quindi essere chiaramente e specificamente effettuato al fine di individuare, in termini di trasparenza, immodificabilità e verificabilità, la sussistenza di tali ragioni (salva poi la successiva necessaria indagine diretta a verificare, con onere probatorio a carico della parte datoriale, se dette ragioni trovino effettivo e concreto riscontro nel caso concreto). Ne discende che risulta giuridicamente errato ritenere che un qualsivoglia richiamo contenuto nel testo contrattuale ad altri testi scritti (conoscibili, o anche conosciuti, dalle parti) sia di per sè sufficiente ad assolvere il requisito di specificità delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, essendo invece indispensabile che tale richiamo sia attuato al precipuo e inequivoco scopo di individuare tali ragioni.

20.1. Non risulta che la formulazione del motivo abbia dato conto di tutti i presupposti richiesti dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte. Non è sufficiente difatti, per prospettare l’errore commesso dal giudice di merito nell’omettere di valutare la clausola motivata per relationem, dedurre che erano state richiamate le determinazioni dirigenziali “a monte” dei contratti a termine stipulati, ove da tale richiamo non emergano in modo esauriente le ragioni giustificative dell’apposizione del termine.

21. Il nono, il decimo motivo e l’undicesimo motivo che riguardano questioni tra loro connesse, vertendo sulla disciplina del risarcimento del danno, ivi comprese le questioni relative agli accessori, vanno trattati congiuntamente. Tali motivi vanno accolti, dovendosi richiamare oltre a S.U. n. 5072/2016 – specificamente il seguente principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Corte con le sentenze nn. 4911, 4912 e 4913 del 2016: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

22. In conclusione, la sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti, per tutte le posizioni processuali esclusa la S. e la causa va rinviata alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte dichiara estinto il giudizio tra il Comune di Massa e S.E. e compensa tra le parti le spese; accoglie, relativamente alle altre posizioni, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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