Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13600 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. III, 19/05/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 19/05/2021), n.13600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33485/2018 proposto da:

ISNO 3 SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.P. DA

PALESTRINA, 63, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CONTALDI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO

CATALDO, VINCENZO ROPPO, PAOLO CANEPA;

– ricorrenti –

contro

GIE VISION BAIL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO PINGUE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

CREDIT AGRICOLE CORPORATE AND INVESTMENT BANK, GIE DREAM BAIL;

– intimati –

nonchè da:

CREDIT AGRICOLE CORPORATE AND INVESTMENT BANK, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO VENETO, 7, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO PINGUE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

GIE DREAM BAIL, GIE VISION BAIL, ISNO 3 SRL, COMPANIA NAVIERA

SINFONIA SA, COMPANIA NAVIERA ARMONIA SA, MSC CROCIERE SPA;

– intimati –

nonchè da:

GIE DREAM BAIL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

VENET0,7, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO PINGUE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

GIE VISION BAIL, CREDIT AGRICOLE CORPORATE AND INVESTMENT BANK, ISNO

3 SRL, MSC CROCIERE SPA, COMPANIA NAVIERA SINFONIA SA, COMPANIA

NAVIERA ARMONIA SA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 875/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/05/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il curatore del fallimento della (OMISSIS) s.p.a., dichiarato dal Tribunale di Genova il 27 maggio 2004, citava in giudizio dinanzi a detto Tribunale, unitamente ad altri convenuti, la società francese Chantiers de l’Atlantique.

L’attore riferiva che nel 1999 alcune società facenti parte del medesimo gruppo della (OMISSIS) avevano commissionato alla convenuta la costruzione di due navi facendosi finanziare, per la quasi totalità del prezzo, dalla banca Credit Agricole Indosuez s.a. (poi divenuta Calyon s.a.), la quale, però, tra il giugno 2001 ed il maggio 2002, aveva preteso che fosse stipulata una modifica dei precedenti accordi.

In virtù di siffatta modifica, sempre a quanto riferito dalla curatela attrice, nelle posizioni contrattuali delle società committenti (creditrici della Chantiers de l’Atlantique per difetti di costruzione delle navi) erano subentrati altri soggetti i Groupement d’Interet Economique (GIE) Vision Bail e GIE Dream Bail, nonchè la società (OMISSIS) s.a. – facenti capo alla banca finanziatrice o legati alla società appaltatrice, con modalità tali da consentire a detta banca il completo soddisfacimento del proprio credito, a scapito degli altri creditori della (OMISSIS), prima ancora che quest’ultima fosse dichiarata fallita.

Le navi erano state infatti sottoposte a sequestro, e poi vendute all’incanto, secondo una strategia in precedenza concordata con una concorrente della (OMISSIS), la MSC Crociere S.p.A., dalla quale le medesime navi erano state, infine, acquisite per il tramite di due società panamensi, la Compagnia Naviera Sinfonia s.a. e la Compagnia Naviera Armonia s.a La MSC Armonia era la ex European Vision e la MSC Sinfonia era la ex European Stars.

Il curatore perciò chiedeva: a) la declaratoria d’invalidità, inefficacia o inopponibilità alla massa dei creditori dei citati accordi del giugno 2001 e del maggio 2002, con conseguente condanna della Chantiers de l’Atlantique a versare al fallimento la somma di Euro 660.000, dovuta a titolo di garanzia per vizi di costruzione delle navi, ovvero con condanna del Credit Agricole e del Vision Bail a restituire quanto a questo titolo eventualmente già loro corrisposto dalla medesima Chantiers de l’Atlantique; b) la condanna del Credit Agricole, o del Vision Bail, del Dream Bail e della (OMISSIS) a restituire le somme ricevute a seguito della vendita delle predette navi, trattandosi di pagamenti revocabili; c) la condanna dei convenuti da ultimo menzionati, oltre alla MSP Crociere, alla Compagnia Naviera Sinfonia ed alla Compagnia Naviera Armonia, per quanto di rispettiva pertinenza, alla restituzione (a titolo di ripetizione d’indebito o di arricchimento ingiustificato) degli acconti sul prezzo di tali navi, a suo tempo versati dalla società poi fallita, ed al rimborso degli equipaggiamenti, delle provviste, degli arredi ed altri beni esistenti a bordo di proprietà della fallita; d) la condanna del Credit Agricole, del Vision Bail, del Dream Bail e della (OMISSIS) al risarcimento dei danni per avere favorito l’abnorme indebitamento della (OMISSIS); e) la condanna di detti convenuti, unitamente alla MSP Crociere, alla Compagnia Naviera Sinfonia ed alla Compagnia Naviera Armonia, al risarcimento dei danni per l’illecito concorrenziale consumato a scapito della (OMISSIS).

Chantiers de l’Atlantique, costituitasi in giudizio per resistere alle domande contro di essa proposte, eccepiva, tra l’altro, il difetto di giurisdizione del Tribunale italiano, investendo questa Corte del regolamento di giurisdizione.

Con ordinanza del 14 aprile 2008, n. 9745 la Corte di Cassazione dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano in ordine alle domande proposte nei confronti della società francese.

L’assuntore del concordato fallimentare di (OMISSIS) S.p.A., ISNO3, riassumeva il giudizio con atto di citazione del 12 novembre 2008 che proseguiva nei confronti delle altre parti e del fallimento di (OMISSIS), intervenuto nelle more.

Con sentenza del 6 dicembre 2012 Tribunale di Genova, in accoglimento della domanda proposta da ISNO3, di revocatoria fallimentare dei pagamenti eseguiti nei confronti di GIE Vision Bail, condannava quest’ultima a versare la somma di Euro 6.849.243,18 oltre interessi legali rigettando le altre domande.

Avverso tale decisione proponeva appello ISNO3 ribadendo la nullità degli atti funzionali alla nuova impostazione del finanziamento, per violazione del divieto di patto commissorio e di altre norme imperative; in particolare per illiceità di accordi usurari e divieto di abuso di dipendenza economica, oltre che per mancanza di causa. Domandava la revocatoria ordinaria degli atti in questioni, deduceva l’ingiustificato arricchimento e la responsabilità extracontrattuale conseguente alle condizioni oppressive con le quali era stato impostato il finanziamento accordato a (OMISSIS), per l’acquisto delle navi, oltre che per il ruolo assunto dal concorrente MSC rispetto alla vendita forzata delle navi, con conseguente distruzione del valore aziendale di (OMISSIS).

Si costituivano le parti appellate, ad eccezione del fallimento di (OMISSIS) e GIE Vision Bail spiegava appello incidentale avverso la parte della decisione che aveva accolto la domanda di revocatoria fallimentare.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 28 maggio 2018 rigettava l’impugnazione principale e quella incidentale, compensando le spese di lite nei rapporti tra ISNO3 e GIE Vision Bail, condannando, invece la prima, al pagamento delle spese in favore di Caylon SA, GIE Dream Bail, Compania Naviera Sinfonia e Compania Naviera Armonio.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la S.r.l. ISNO3, nella qualità di assuntore del concordato del fallimento (OMISSIS) S.p.A. affidandosi a sei motivi che illustra con memoria.

Resistono con separati controricorsi Groupement d’Interet Economique (GIE) Dream Bail e Credit Agricole Corporate and Investiment Bank, che spiegano ricorso incidentale sulla base di un motivo illustrato, per entrambe le parti, da memorie. GIE Vision Bail resiste con controricorso e deposita memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione l’art. 2744 c.c., in tema di divieto del patto commissorio, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e, in subordine, la nullità della sentenza per omissione di pronunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c..

In particolare, la clausola 19.5 del Credit Bail concluso tra Groupement d’Interet Economique Vision e (OMISSIS) prevede che “nel caso di vendita della nave da parte del proprietario, successiva alla risoluzione del contratto, avvenuta dopo la consegna, i proventi netti di tale vendita saranno imputati, in primo luogo al pagamento di qualsiasi importo dovuto al proprietario, ai sensi della clausola 19.2, in relazione a detta risoluzione; in secondo luogo, al pagamento di qualsiasi importo dovuto al proprietario ai sensi del presente contratto e, in terzo luogo, in caso di qualsiasi eccedenza del ricavato della vendita, in pagamento del noleggiatore – (OMISSIS) S.p.A.”. Rispetto al significato di tale clausola la Corte territoriale avrebbe ignorato la posizione sostenuta in appello dall’odierna ricorrente, avrebbe dovuto operare una valutazione unitaria, sintetica e funzionale della fattispecie negoziale e prendere atto che una clausola marciana concretamente inidonea a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra credito e garanzia non consentirebbe di salvare l’operazione negoziale. In sostanza, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare compiutamente, attraverso una considerazione complessiva, la vicenda negoziale, senza scomporla, per accertare la reale funzione dei singoli contratti e verificare la sussistenza di un’adeguata proporzionalità delle prestazioni corrispettive. Invece, rispetto a tale problematica la Corte territoriale avrebbe adottato un criterio formale.

Sotto altro profilo (pagina 40 del ricorso) la Corte non avrebbe considerato che la banca Calyon dopo avere erogato oltre 500 milioni, dando esecuzione alle clausole contrattuali, era riuscita a limitare il debito a circa 358 milioni di Euro, prima di procedere alla vendita forzata delle navi. All’esito di ciò, avendo ottenuto l’importo complessivo di Euro 423 milioni circa, avrebbe dovuto soddisfare interamente il proprio credito e corrispondere a (OMISSIS) il residuo. Circostanza non verificatasi, perchè la Termination Indemnity rappresentava un meccanismo negoziale anomalo, che dilatava il credito garantito dalla proprietà delle navi. Tale indennità di risoluzione anticipata era disciplinata nell’art. 19.2, che prevede ne determina la misura sulla base di una tabella graduata in considerazione del momento in cui contratto si risolve. Tale clausola determinerebbe effetti aberranti, utilizzando un parametro di riferimento che muove da un valore della nave che nel tempo aumenta progressivamente rispetto a quello di acquisto.

In via subordinata la sentenza sarebbe nulla perchè la Corte territoriale avrebbe male applicato il divieto dell’art. 2744 c.c., omettendo di considerare le censure sopra esposte.

Il motivo è inammissibile. Occorre prendere le mosse dal principio secondo cui il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c., non opera quando nell’operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo rispetto al credito). Si tratta, infatti, di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c., ed è ispirata alla medesima “ratio” di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purchè le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 844 del 17/01/2020 (Rv. 656813 – 01).

Orbene, la censura attiene all’interpretazione di singole clausole contrattuali (da qualificare come clausola marciana idonea o come patto commissorio) e avrebbe dovuto essere, a pena di inammissibilità, formulato sulla base dei criteri di ermeneutica negoziale.

A riguardo trova applicazione il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui:

– l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì:

– solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31/03/2006, n. 7597; Cass. 01/04/2011, n. 7557; Cass. 14/02/2012, n. 2109; Cass. 29/07/2016, n. 15763);

– pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715);

– di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).

In secondo luogo la censura non coglie nel segno, perchè il nucleo centrale della valutazione della Corte territoriale risiede nell’esame unitario del complesso schema negoziale adottato in concreto che, secondo il giudice di appello, sulla base di una valutazione in fatto, consente di affermare che la clausola dell’art. 19.5 in oggetto (Addendum del 21 marzo 2002 al contratto di Credit Bail) “esclude l’acquisizione in capo al creditore dell’eccedenza di valore del bene”. Come rileva la Corte territoriale, l’accordo prevede che, al termine del contratto, si proceda alla stima del bene ed il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore dell’importo eccedente l’entità del credito.

Il patto marciano costituisce l’accordo con cui si conviene che, in caso di inadempimento, il creditore acquisti sì la proprietà di un bene del debitore, ma con l’obbligo di restituire l’eventuale eccedenza del valore del bene ottenuto rispetto al valore del credito garantito, secondo la stima di un soggetto terzo e imparziale, successivamente all’inadempimento. La caratteristica specifica della stipulazione marciana non è, pertanto, quella di essere basata su di un’equivalenza di valore tra la res oggetto del trasferimento e il credito garantito, bensì quella di prevedere un meccanismo che non consenta, al creditore, di appropriarsi dell’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto al credito residuo. Il valore del bene in discorso viene verificato, come si è detto, da un soggetto imparziale e, aspetto fondamentale, al momento dell’inadempimento. Dunque, il tratto differenziale tra il patto marciano lecito e il patto commissorio illecito è dato proprio dalla operazione di “aestimatio” che deve essere esperita da un soggetto terzo (che svolga delle funzioni simili a quelle svolte da un soggetto arbitratore ex art. 1349 c.c.); detta operazione garantisce un’equivalenza tra il credito garantito e la garanzia prestata, non ab origine, bensì nel momento in cui si realizza il fatto dell’inadempimento, con riferimento all’entità del credito residuo e con riguardo al valore attuale del bene posto a garanzia dell’adempimento. Tale profilo non è contrastato adeguatamente con il ricorso.

La questione della nullità della clausola marciana, secondo la Corte territoriale (pagina 23) non è stata dedotta dall’appellante che, in quella sede, non ha sollevato alcun profilo di nullità o inefficacia della clausola. Ciò rende infondata la richiesta subordinata, dedotta in termini di omessa pronunzia sensi dell’art. 112 c.p.c., poichè rispetto a siffatta questione non è stata allegata la formulazione di alcuna domanda, ed anzi tale profilo è espressamente escluso dalla Corte territoriale (a diversa soluzione non è possibile pervenire sulla base del generico riferimento contenuto al p. 50 del ricorso, al contenuto finale dell’art. 19.5, nella parte in cui prevede che l’eccedenza residua possa essere versata in favore del debitore (OMISSIS)).

Dal contenuto del motivo emerge, infatti, che davanti al giudice di merito l’odierna ricorrente aveva dedotto la sostanziale inoperatività della clausola, sulla base di complessi meccanismi negoziali che sarebbero intervenuti prima della vendita forzosa delle navi. Si tratta, pertanto di ambiti differenti, rispetto a quelli della validità della clausola.

Quanto, infine, al meccanismo della indennità per la risoluzione anticipata la censura non si confronta con l’affermazione della Corte territoriale secondo cui, sulla questione della risoluzione dei contratti, si era formato un giudicato da parte del competente giudice francese (sentenza del Tribunale del Commercio 14 dicembre 2004) confermata dalla Corte d’Appello di Parigi in data 8 gennaio 2008 e i cui effetti sono stati riconosciuti sulla base del regolamento CE n. 44/2001.

Con il secondo motivo (pagina 46) si lamenta la violazione di artt. 1343 e 1418 c.c., in relazione all’art. 644 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; la nullità della sentenza di appello per omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c., anche rispetto al principio secondo cui il giudice può rilevare d’ufficio l’avvenuta commissione di reati, ai fine di trarne le conseguenze civilistiche del caso o, comunque, per difetto di motivazione sul motivo dedotto in appello. In quella sede sarebbe stata evidenziata la sproporzione assoluta tra l’ammontare del capitale impiegato (circa 484 milioni di Euro) e il credito vantato dalla banca Calyon (già Credit Agricole Indosuez) per oltre 708 milioni di Euro, per effetto dell’anticipata risoluzione dei contratti, deducendo che ciò avrebbe determinato la nullità del contratto per violazione delle norme di ordine pubblico che riguardano l’usura. Si tratterebbe di vantaggi economici sproporzionati rispetto a quelli dei contratti di leasing o di mutuo. Con la comparsa conclusionale in appello tali profili sarebbero stati approfonditi, deducendo che l’usura non riguarderebbe solo i contratti di finanziamento, ma il “risultato concreto di un complesso rapporto negoziale”. In sostanza, in considerazione delle concrete modalità del fatto e del tasso medio praticato per operazioni similari, risulterebbero usurari anche gli interessi inferiori a tale limite, ma sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o perchè relativi a operatori che si trovavano in difficoltà economica o finanziaria.

Il motivo è inammissibile. La questione non è dedotta nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè la trascrizione della parte del motivo di appello rilevante (pagine 47 e 48 del ricorso) riguarda argomentazioni generiche (si parla di una sproporzione gigantesca tra ammontare del capitale impiegato e credito vantato, di violazione di norme di ordine pubblico, dell’usura, tanto da pervenire ad un meccanismo che avrebbe determinato “l’accaparramento dell’intero corrispettivo pattuito nei rapporti con l’utilizzatore a dispetto della mancata esecuzione del contratto per tutta la durata stabilita”), mentre le censure più specifiche sono contenute nella comparsa conclusionale di appello (paragrafi 138-148, trascritti alle pagine 48-51 del ricorso), ma riguardano profili nuovi perchè, oltre ai vantaggi economici sproporzionati, spostano la questione, non sulla usura come superamento del tasso soglia, ma sull’usura in concreto, relativa dell’art. 644 c.p., comma 1, cioè per somme erogate in favore di chi si trovi in difficoltà economica e finanziaria, tenendo conto delle concrete modalità del fatto. La censura si fonda sui presunti profili fattuali della difficoltà economica finanziaria di (OMISSIS), delle concrete modalità del fatto, della limitazione alla libertà contrattuale del soggetto, della induzione a concludere a condizioni sfavorevoli.

Sono tutti profili fattuali che, oltre che risultare sostanzialmente nuovi, non possono essere valutati in questa sede, in quanto questa Corte non può prendere in esame le condizioni economiche finanziarie del debitore (OMISSIS), riferite all’evoluzione del contratto, come pure le concrete modalità del fatto, al fine di verificare se le condizioni erano davvero gravemente o lievemente sfavorevoli. Si tratta di valutazioni in fatto che, a prescindere dalla novità delle stesse, sono inibite in sede di legittimità. Parte ricorrente, infatti, non deduce di avere allegato in sede di merito la prova indiziaria dei presupposti della fattispecie dell’usura in concreto ed, in particolare, l’esosità delle controprestazioni e le condizioni di difficoltà economica o finanziaria di (OMISSIS).

La censura è, altresì, infondata, perchè non tiene conto del giudicato derivante dalla citate decisioni del giudice francese riguardo alla congruità dell’importo attribuito a Groupement d’Interet Economique. Come affermato dal Tribunale (e correttamente trascritto a pagina 51 dai controricorrenti) e dalla Corte di Parigi, è stata ritenuta congrua la clausola penale, ritenendo di non dover procedere a riduzione ad equità, evidenziando il dato fattuale riferibile anche al primo motivo del ricorso per cassazione, secondo cui la penale è legata al protrarsi della durata del rapporto, ma prevede importi decrescenti. Le valutazioni sono state espresse con riferimento al contratto di Credit Bail sulla base della legge francese e sono vincolanti perchè si occupano della questione della eventuale nullità per usurarietà in concreto dei nuovi accordi (Cass. SSUU n. 15386-2009).

Con il terzo motivo (pagina 61) si deduce la mancata applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica di cui alla L. n. 192 del 1998, art. 8, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e la nullità della sentenza per mancanza di motivazione sul punto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e artt. 112 e 132 c.p.c.. In sede di appello la ricorrente avrebbe richiesto la riforma della decisione di primo grado perchè il complesso degli accordi intervenuti tra (OMISSIS) e Calyon avrebbe determinato un assetto negoziale squilibrato in danno della prima e abusivo, provocando l’accaparramento dell’intero corrispettivo pattuito a dispetto della mancata esecuzione del contratto. La censura sarebbe stata illustrata in comparsa conclusionale, rilevando che la disciplina dell’abuso da dipendenza economica sarebbe applicabile alla fattispecie in esame, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nell’ipotesi di ricorrenza dei due presupposti della situazione di dipendenza economica tra imprese e dell’abuso della posizione di forza, integrato da una delle forme esemplificativamente elencate della L. n. 192 del 1998, art. 9, comma 2. In particolare, per (OMISSIS) ricorrerebbe la dipendenza economica riferita alla reale (im)possibilità per la parte che abbia subito l’abuso, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. In concreto, (OMISSIS) non aveva alcuna soluzione negoziale alternativa, perchè la scelta di rinunziare all’ampliamento delle navi e quindi all’incremento del finanziamento avrebbe determinato la rinunzia di (OMISSIS) ad una fetta importante del mercato delle crociere di lusso. La Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso, sulla base di una valutazione in fatto, la sussistenza dei presupposti dell’abuso di dipendenza economica e di posizione di monopolio in capo alla banca Credit Agricole. La Corte d’Appello non avrebbe considerato come determinante la prova della posizione dominante della banca e, con riferimento al profilo della nullità della sentenza, tale statuizione sarebbe stata adottata in sostanziale assenza di motivazione riguardo tale questione.

Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha precisato che l’abuso di dipendenza economica costituisce una fattispecie negoziale rilevante in ambito contrattuale, di carattere generale, attesa la portata generale della norma. Ma sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia è richiesta la prova di una “posizione dominante avendo lo scopo di impedire l’approfittamento di una posizione di forza”. Analogamente a quanto previsto per la fattispecie di abuso di posizione dominante, è necessaria la prova di una situazione di monopolio o quasi monopolio. Nel caso concreto, sulla base di una valutazione in fatto, ha precisato che tali presupposti (posizione dominante, monopolio o quasi monopolio) non sono stati, nè dedotti, nè provati.

Orbene, le censure non si confrontano con tale motivazione che, peraltro, non potrebbe essere riesaminata in questa sede perchè fondata su una valutazione del materiale probatorio, in termini di insufficienza della prova e riguarda profili fattuali.

Con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 1343 e 1418 c.c. e art. 1383, oltre che la nullità della decisione per omessa pronunzia, con riferimento ai due contratti di prestito subordinato dell’ammontare ciascuno di Euro 26.9 milioni, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 c.p.c. e art. 112 c.p.c.. In sede di appello la ricorrente avrebbe evidenziato la nullità dei predetti contratti per difetto di causa, censurando il rigetto della domanda di restituzione delle somme versate da (OMISSIS). Il contratto sarebbe nullo perchè le risorse necessarie per pagare il cedente, gruppo (OMISSIS), non sarebbero state erogate dal cessionario, Calyon, ma sarebbero state versate a GIE dallo stesso creditore, (OMISSIS), sulla base del contratto del 20 giugno 2011 che prevedeva la restituzione delle somme, ma solo dopo 13 anni e senza interessi. Secondo la Corte territoriale tale profilo non inficierebbe l’accordo, ricorrendo l’ipotesi di collegamento negoziale tra contratti funzionalmente connessi, in conseguenza dei quali (OMISSIS) S.p.A. avrebbe beneficio del collegamento per realizzare l’ulteriore fine di disporre di due nuove e più grandi imbarcazioni da crociera, a condizioni equivalenti. In realtà la Corte non si sarebbe avveduta del fatto che quei finanziamenti producevano degli effetti corrispondenti a quelli della penale, ai sensi dell’art. 1384 c.p.c..

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Parte ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale. Le critiche mosse al provvedimento sono generiche, in quanto non supportate da una idonea e contraria analisi della complessiva operazione valutata dal giudice di appello, limitandosi a rilevare di avere dedotto la nullità per mancanza di causa dei predetti contratti e prospettando, in sede di legittimità, una ricostruzione di quei negozi in termini di indebita clausola penale, affetta da nullità in quanto ingiustificata. Non si confronta con l’argomentazione della Corte relativa al collegamento negoziale e all’individuazione di una utilità da parte di (OMISSIS), rapportata alla complessiva operazione finanziaria e non al singolo negozio. Non è consentito, infatti in questa sede, censurare la decisione di merito per avere aperte “omesso di verificare la validità dei predetti negozi nel contesto della complessiva architettura negoziale”.

In definitiva, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi, con i quali è esplicato, si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata. Tali ragioni debbono concretamente considerare le argomentazioni che la sorreggono e non possono prescindere da esse (principio costante: si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, ed in motivazione, Cass. S.U. n. 7074 del 2017 e da ultimo, n. 22478 del 24/09/2018).

Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 2901 c.c. e, in subordine, la nullità della sentenza per omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 c.p.c. e art. 112 c.p.c.. In primo grado (OMISSIS) aveva proposto un’azione revocatoria ordinaria e un’azione di nullità. L’azione revocatoria era riferita a tutti i nuovi accordi intervenuti nell’imminenza della consegna delle navi, tra la società fallita e il cantiere francese, oltre che gli altri soggetti contrattuali. Il Tribunale di Genova aveva rigettato la richiesta e la decisione era stata impugnata per avere il Tribunale limitato l’esame dell’azione revocatoria ai soli Assignement Delegation Agreement mentre, tra i nuovi contratti indicati, rientravano anche gli atti di disposizione del patrimonio di (OMISSIS) che avevano depauperato quel patrimonio.

La Corte territoriale confermava la decisione ribadendo che gli atti dispositivi non erano stati posti in essere da (OMISSIS), ma dai committenti, Macintosh Shipping Inc. e Oldroyd Maritime Inc., per le rispettive navi, nei confronti delle società GIE sulla base del contratto del 26 febbraio 1999 per cui i nuovi accordi non avevano incidenza sulla garanzia patrimoniale generica di (OMISSIS), che era estranea a quegli atti.

Al contrario quegli atti sarebbero rilevanti, perchè preordinati a diminuire in futuro la misura della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore.

E’ opportuno precisare che la Corte d’Appello ha correttamente premesso che l’azione revocatoria è ammessa solo nei confronti dei negozi che determinano uno spostamento patrimoniale, che abbiano natura dispositiva, escludendo che i nuovi accordi potessero integrare l’ipotesi di “atti dispositivi” incidenti sulla garanzia patrimoniale generica prevista dall’art. 2740 c.c. di (OMISSIS). Infatti, i nuovi accordi determinavano il trasferimento della disponibilità, rispettivamente a titolo di leasing e di noleggio, delle due navi in favore di (OMISSIS). Sotto tale profilo la decisione non è ritualmente cesurata.

A rigore, infatti, il motivo riguarda un profilo ulteriore, di cui la Corte d’Appello non si occupa, cioè quello dell’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria nei confronti di atti preordinati alla riduzione del futuro valore del patrimonio del debitore. Tale censura è inammissibile perchè nuova, non avendo parte ricorrente dedotto, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, di avere sottoposto la questione al giudice di appello, individuando gli atti concreti suscettibili di revocatoria e precisando il momento ed il luogo nel quale tali documenti sarebbero stati tempestivamente sottoposti ai giudici di merito.

Con il sesto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione di artt. 343346 c.p.c. e art. 1362 c.c., artt. 329 e 325 c.p.c. e art. 2909 c.c., in tema di giudicato interno o implicito, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte avrebbe errato nell’esaminare, pur rigettandole, le eccezioni di improcedibilità formulate in appello da GIE e Calyon, fondate su un presunto difetto di legittimazione passiva alla riassunzione da parte della odierna ricorrente. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, in sede di appello incidentale, l’appellate avevano limitato l’impugnazione alla sola riforma della sentenza del Tribunale, nella parte in cui era stata accolta la domanda di revocatoria fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 67. Conseguentemente quelle eccezioni non erano state riproposte e non avrebbero dovuto essere esaminate dalla Corte d’Appello.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse concreto poichè la questione riguarda il rigetto di eccezioni e avverso quella statuizione non è stato proposto ricorso incidentale per cassazione.

Con il ricorso incidentale di GIE Dream e di Credit Agricole Corporate and Investiment Bank, beneficiari della condanna alle spese, si lamenta la violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 5 e 6, in relazione all’art. 10,12 e 14 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale nel liquidare le spese ha fatto riferimento al valore della causa, posto tra Euro 520.000 ed Euro 8 milioni, mentre il valore della controversia avrebbe dovuto essere individuato, ai sensi dell’art. 5 del citato decreto ministeriale, sulla base delle norme del codice di civile. Nel caso di specie, le domande riproposte in appello riguardavano un valore complessivo superiore a 811 milioni di Euro. Applicando l’art. 6 del citato decreto ministeriale è previsto un incremento percentuale per le cause superiori a 8 milioni di Euro e per ogni successivo raddoppio del valore della controversia “fino al 30% in più”. Pertanto, in considerazione delle caratteristiche della controversia, della importanza, della difficoltà, del valore e dei risultati conseguiti e della complessità delle questioni giuridiche, il giudice di appello avrebbe potuto applicare un valore prossimo a quello medio, liquidando un importo superiore a quello di Euro 38.730 riconosciuto in sentenza, e prossimo ad Euro 121.513.

I ricorsi sono fondati. L’art. 6 del D.M., prevede un incremento “fino al 30% in più” dei parametri numerici previsti. Pertanto occorre fare riferimento al parametro numerico previsto per la controversia riferita ad un multiplo di 8 milioni di Euro, individuando lo scaglione che includa il valore della causa sulla base delle residue domande proposte dopo la pronuncia di questa Corte di difetto di giurisdizione. All’esito occorrerà valutare l’applicabilità o meno (e la eventuale misura) dell’aumento “fino al 30% in più” ai sensi dell’art. 6.

Alla luce delle considerazioni che precedono la liquidazione operata dal giudice viola i minimi tariffari. Ne consegue che i ricorsi incidentali devono essere accolti; la sentenza va cassata ed il giudice del rinvio dovrà prendere in considerare il valore della controversia e le norme di riferimento applicabili e considerare che, nel giudizio di appello GIE Dream Bail e la Banca Credit Agricole sono difese dal medesimo avv. Filippo Pingue e tenere conto del contenuto concreto degli atti e delle difese e analoga valutazione va riferita anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, nella quale i tre controricorrenti GIE Vision e Dream, nonchè Credit Agricole Corporate (gli ultimi due anche quali ricorrenti incidentali) sono rappresentati dal medesimo difensore e gli atti presentano rilevanti analogie nella strategia difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale;

accoglie i ricorsi incidentali;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

 

 

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