Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13599 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5436/2015 proposto da:

Comune di Argelato, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Caio Mario n. 7, presso lo studio

dell’avvocato Barbantini Maria Teresa, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Bonetti Paolo, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

e contro

M. Impianti di F.M. & C. s.n.c., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Cola di Rienzo n. 28, presso lo studio dell’avvocato Monni

Federico, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Martini Giampiero, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Toro Assicurazioni S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2096/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2020 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 21450/2011 il Tribunale di Bologna dichiarava risolto ai sensi dell’art. 1454 c.c. il contratto d’appalto per inadempimento del Comune di Argelato, condannava detta parte alla restituzione della polizza fideiussoria di Toro Assicurazioni spa, liberando quest’ultima dall’adempimento, e condannava il Comune di Argelato al pagamento a favore di M. Impianti di F.M. & C. s.n.c. della somma di Euro 418.862,67 oltre rivalutazione monetaria e interessi come precisato nella motivazione della stessa sentenza. Il Tribunale rigettava infine la domanda di manleva formulata dal Comune di Argelato nei confronti di Apogeo s.r.l., condannando il Comune al pagamento delle spese di lite e di CTU.

2. Con sentenza n. 2096/2014, depositata in data 10 ottobre 2015 e notificata il 29-12-2014, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato il Comune di Argelato al pagamento a favore di M. Impianti di F.M. & C. s.n.c. (di seguito per brevità M.) della minor somma di Euro287.373,36, oltre rivalutazione monetaria ed interessi come regolati dalla sentenza appellata. La Corte territoriale ha confermato la sentenza appellata circa l’imputabilità della risoluzione all’inadempimento del Comune, nonchè circa l’applicabilità al rapporto d’appalto della disciplina privatistica, ma, in parziale accoglimento dell’appello principale del Comune, ha ridotto il quantum del risarcimento del danno spettante alla M., riconosciuto in relazione alle poste così specificate: “spese riproduzione elaborati Lire 505.754; acquisto installazioni di cantiere Lire 32.950.928; assicurative Lire 10.288.000; per contratto Lire 7.106.396; per ammortamenti e leasing Lire 154.070.522 (3/4 di Lire 205.427363); per il tecnico di cantiere Lire 26.982.792; per fideiussioni Lire 4.230.900; per trasferte Lire 9.246.391; per acconti Lire 29.000.000; per mancato utile Lire 282.050.750” (pag. n. 23 sentenza impugnata). Per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello ha affermato che: A) era onere del Comune dimostrare l’aliunde perceptum, ossia che uomini e mezzi fossero stati impiegati altrove nel periodo, e non della M., non potendo porsi a carico di quest’ultima una prova negativa; B) pur essendo pacifico che il cantiere di (OMISSIS) non fu mai effettivamente operativo, era dovuto alla M. il risarcimento sia per i costi e le spese vive documentate e riferibili all’appalto stesso, sia per l’onere relativo alla messa e tenuta a disposizione a disposizione di uomini e mezzi in vista e a causa dell’appalto; C) era corretto il criterio equitativo di determinazione del lucro cessante nella misura del 10%, adottato dal Tribunale prendendo come riferimento quanto previsto dalla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F e di seguito dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 122 che riflette la norma generale dell’art. 1671 c.c.; D) circa le spese per dipendenti ed oneri previdenziali era dovuta solo la voce relativa alle mensilità di retribuzione da aprile a dicembre 2000 dovute al tecnico di cantiere L., che non risultava impiegato altrove, era rimasto a disposizione per la possibile ripresa del cantiere e si era occupato della progettazione esecutiva; E) dovevano essere riconosciuti i costi per macchinari, attrezzature ed ammortamenti, anche se non vi fu cantiere attivo, non risultando detti macchinari e attrezzature impiegati altrove e non facendo l’oggetto sociale della M. presumere alcunchè al riguardo, nonchè dovendo considerarsi meramente integrativa la documentazione prodotta dal consulente di parte M. nel corso della C.T.U. rispetto ai giustificativi già prodotti, come risultava dall’elaborato peritale; F) gli importi per ammortamenti e leasing pari a Lire 154.070.522 dovevano essere riconosciuti nella misura di 3/4 di Lire 205.427363, perchè relativi al periodo da aprile a dicembre 2000, mentre erano inconferenti gli artt. 24 e 26 del capitolato speciale d’appalto, come osservato dal C.T.U., poichè riferiti a sospensioni di durata inferiore e a macchinari, evidentemente presenti e utilizzati in cantiere, “restituiti” in caso di risoluzione; G) era dovuto il ristoro relativo alle spese per materiali e servizi, di acconto e di trasferta, che risultavano documentate non tardivamente, e correttamente esposte a p. 4, 6, 7, 11 C.T.U., essendo irrilevante che macchinari, materiali, attrezzature fossero rimasti all’impresa, poichè il relativo costo era stato sostenuto da quest’ultima in vista e a causa dell’appalto stesso; H) quanto all’appello incidentale della M., non poteva riconoscersi la voce di danno relativa alla perdita di requisiti per la partecipazione a successive gare di appalto di una certa categoria, trattandosi di tipico danno da “perdita di chance” e mancando la prova del nesso di causalità, indipendentemente da ogni rilievo sulla tempestività della produzione dei bilanci documentanti la perdita di fatturato e dei documenti prodotti solo in sede di CTU; I) neppure era dovuto alla M. il riconoscimento di oneri finanziari distinti dagli ammortamenti, come rilevato dal CTU nel primo supplemento (p. 10), in quanto gli estratti conto non consentivano l’imputazione delle singole operazioni e ogni documento successivamente prodotto era tardivo e comunque non consentiva una distinta imputazione; peraltro gli stessi ammortamenti (deprezzamento del bene rispetto al costo di acquisto comprendente qualsivoglia onere anche finanziario) assorbivano eventuali interessi passivi riferiti al costo di acquisto stesso.

3. Avverso questa sentenza il Comune di Argelato propone ricorso, affidato a due motivi, resistito con controricorso da M. Impianti di F.M. & C. s.n.c., che propone ricorso incidentale affidato a tre motivi. E’ rimasta intimata Alleanza Toro s.p.a..

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Il ricorrente principale e la ricorrente incidentale hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta “Violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova, dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 1671 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione di legge per violazione ed errato riferimento ed applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 122 anche per insufficiente motivazione sui fatti decisi, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito con i presupposti e le conclusioni della sentenza”. Deduce il Comune che era onere dell’appaltatore provare il preciso ammontare del mancato utile, come da giurisprudenza di legittimità citata anche nella sentenza impugnata, e detto onere non era stato adempiuto nel caso di specie. Adduce, pertanto, che la Corte territoriale aveva invertito le regole dell’onere della prova, in violazione dell’art. 2697 c.c., e che non era giustificato il ricorso al criterio di liquidazione equitativa. Inoltre rileva che secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza del Consiglio di Stato il risarcimento del danno poteva quantificarsi nella percentuale del 10% dell’offerta dell’impresa solo nel caso in cui quest’ultima potesse documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze e i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi. Ad avviso del Comune, l’appaltatore non aveva documentato di non aver potuto utilizzare le maestranze e i mezzi in altri servizi, avendo, anzi, il Comune dimostrato che durante la sospensione per cui è causa la M. aveva realizzato altri lavori e partecipato ad altre gare, come da doc. 39 prodotto e da fatture depositate dalla stessa appaltatrice. Errato e contraddittorio è stato anche il richiamo, da parte della Corte territoriale, alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F e di seguito dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 122 trattandosi di disciplina applicabile solo per il settore dei lavori pubblici.

2. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

2.1. Occorre premettere che la Corte territoriale, nel ritenere applicabile alla fattispecie le norme di diritto privato, e non quelle di cui alla normativa pubblicistica (D.P.R. n. 1063 del 1962 e norme successive), ha confermato la statuizione del Tribunale nella parte in cui è stata dichiarata la risoluzione dell’appalto per inadempimento grave e colposo del Comune, il quale non svolge alcuna censura al riguardo.

2.2. Ciò posto, il ricorrente principale lamenta, sub specie del vizio di violazione di legge e motivazionale, che il danno per la perdita di utile subita dall’appaltatore sia stato quantificato dal Tribunale, con statuizione confermata dalla Corte d’appello, nella misura del 10% della sua offerta (Lire 282.050.750), nonostante l’assenza di prova sul suo preciso ammontare, e che sia stato posto a carico della Stazione appaltante l’onere di provare l’aliunde perceptum.

2.3. La censura con cui il Comune denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata è inammissibile perchè formulata secondo il paradigma previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. S.U. n. 8053/2014), trovando applicazione nella specie la modifica disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (la sentenza impugnata è stata depositata il 10-10-2014).

2.4. In ordine al criterio di quantificazione equitativa del danno di cui trattasi adottato dai Giudici di merito, non ricorre la lamentata violazione dell’art. 1226 c.c., atteso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, il giudice di merito ha la facoltà di liquidare il danno in via equitativa, anche d’ufficio, quando sia mancata la prova del dedotto ammontare dello stesso, per l’impossibilità per la parte di fornire sufficienti elementi, ovvero quando gli elementi di prova forniti non siano riconosciuti di sicura efficacia, stante la difficoltà di una precisa quantificazione (da ultimo Cass. n. 9339/2019).

L’aliunde perceptum, secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 1636/2020), rappresenta un fatto impeditivo della pretesa attorea e deve essere provato da colui che lo eccepisce, non da chi invoca il risarcimento, in applicazione del generale precetto di cui all’art. 2697 c.c., potendo, peraltro, essere rilevato d’ufficio se le relative circostanze di fatto comunque risultano ritualmente acquisite al processo (Cass. n. 30330/2019).

Nella specie, secondo quanto allegato dal Comune, l’aliunde perceptum sarebbe consistito nella realizzazione di guadagni sostitutivi o comunque di vantaggi diversi da parte dell’appaltatrice, mediante contemporaneo impiego dei mezzi e del personale della stessa in altri cantieri, e quindi in vantaggi non derivanti dallo stesso illecito contrattuale fonte del credito risarcitorio ma da comportamento attivo del creditore.

Occorre precisare che oggetto della censura, e quindi del sindacato rimesso a questa Corte, non è la questione giuridica della detraibilità o meno dell’aliunde perceptum dal credito risarcitorio, secondo il criterio generale della compensatio lucri cum damno, ma solo quella dell’individuazione del soggetto su cui grava l’onere della relativa prova, soggetto che, per quanto si è detto, non è il danneggiato, ed a cui non può addossarsi la dimostrazione, negativa, della mancanza di diverse opportunità di guadagno.

La Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze di causa, ha ritenuto non dimostrato dal Comune, nè, implicitamente, acquisito al processo il suddetto fatto impeditivo, precisando che i bonifici e documenti indicati dal Comune come comprovanti l’impiego extra appalto di personale e mezzi dell’impresa appaltatrice non erano riferibili al periodo in questione, in base a quanto spiegato dall’impresa stessa (pag. 20 della sentenza impugnata).

Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione della regola ordinaria dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c..

2.5. Infondata è anche la doglianza inerente al richiamo della L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F e di seguito del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 122 che è stato effettuato dalla Corte territoriale ai fini della liquidazione del lucro cessante in base al presunto guadagno che l’impresa avrebbe ottenuto con l’esecuzione dell’appalto, determinandolo in una percentuale della sua offerta, presuntivamente corrispondente ai guadagni medi degli appalti analoghi (cfr. Cass. n. 22370/2007, in ipotesi di lucro cessante da responsabilità aquiliana della P.A. per illegittima aggiudicazione di una gara d’appalto).

Per gli appalti ad evidenza pubblica, la percentuale si determina, di regola, in base a norme di legge, quali quelle sopra citate che, per l’appunto, detta percentuale indicano, e i Giudici di merito hanno ritenuto congrua ed adeguata, quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa di cui trattasi, la percentuale, prevista per gli appalti ad evidenza pubblica, del 10% dell’offerta, con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi, non ritualmente denunciate nella specie per quanto si è detto (p.2.3.), di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta “Difetto di motivazione per omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulta dal testo della sentenza di appello e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5). Violazione di legge per violazione ed errata interpretazione dell’art. 1226 c.c. e art. 2967 c.c. in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3). Violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art. 26 del Capitolato speciale di appalto in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3). Violazione di legge per violazione dell’art. 184 c.p.c. (tardività deposito di documenti), anche per insufficiente motivazione su un fatto decisivo, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito con i presupposti e le conclusioni della sentenza. Insussistenza dei presupposti”. Deduce che, poichè il cantiere era sempre stato inattivo, non era dovuto il pagamento delle spese del tecnico di cantiere L.; era onere della ditta M. dimostrare di non aver impiegato quel dipendente in altri cantieri e detto onere non era stato adempiuto. Così come era stato riconosciuto dalla Corte d’appello per altri quattro lavoratori, ritenuti impegnati in altri cantieri, anche per il tecnico L. avrebbe dovuto seguirsi lo stesso ragionamento, in mancanza di dimostrazione, da parte della M., di aver impiegato il suddetto dipendente solo nel cantiere di cui trattasi. Adduce, pertanto, il Comune che la Corte territoriale aveva invertito le regole dell’onere della prova, in violazione dell’art. 2697 c.c.. Con riguardo al rimborso delle spese per acquisto di attrezzature, per ammortamenti attrezzature e contratti di leasing, nonchè per assicurazione di cantiere, si duole della statuizione con cui la Corte d’appello ha escluso l’applicazione dell’art. 26 del capitolato speciale d’appalto, ritenendolo non pertinente al caso di specie con interpretazione errata. L’art. 26 del capitolato speciale di appalto prevedeva espressamente che, in caso di risoluzione di appalto, l’appaltatore non poteva pretendere alcun indennizzo per i macchinari, così testualmente disponendo: ” Nel caso di risoluzione il Comune potrà affidare ad altra impresa il completamento dei lavori oggetto del presente Capitolato – (cfr. doc. 1a) – nel modo che riterrà più opportuno, avvalendosi in tutto o in parte, se lo riterrà, delle opere definitive e provvisionali, dei materiali approvvigionati e dei cantieri con gli impianti, le macchine, le attrezzature e gli utensili in essi esistenti. A maggior chiarimento si indicano le seguenti precisazioni: – i ricavi di una eventuale utilizzazione dei materiali e mezzi d’opera predetti nell’affidamento della prosecuzione dei lavori ad altre imprese saranno portati a credito dell’Appaltatore; – i materiali e mezzi d’opera che non verranno utilizzati nella prosecuzione dell’appalto saranno restituiti all’Appaltatore nello stato in cui si trovano, senza che esso possa pretendere alcun indennizzo o compenso”. Non era, pertanto, dovuta alla M. la liquidazione del rimborso delle quote di ammortamento dei macchinari, pari all’importo complessivo di Lire 205.427.636. Deduce, in subordine, che, in ogni caso, la somma suddetta non era corretta, ma avrebbe dovuto essere liquidata una somma inferiore, non potendosi tenere conto delle fatture di acquisto (doc. R3 e R4) in quanto prodotte tardivamente e non aventi affatto natura meramente integrativa, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, costituendo, invece, detti documenti la prova della posta di danno di cui trattasi. Adduce, inoltre, che erroneamente era stato computato anche il costo di ammortamento di altre macchine, indicate in dettaglio nel ricorso (pag. n. 44 e 45), già completamente ammortizzate. Rileva che non era stato neppure tempestivamente provato il pagamento del premio di fideiussione, poichè la relativa fattura era stata depositata durante l’espletamento della CTU (allegato R2). Allega di aver dimostrato che l’oggetto sociale della ditta appaltatrice comprendeva anche il noleggio di attrezzature e quindi si doveva presumere, salvo prova contraria a carico della M., che le attrezzature fossero state proficuamente utilizzate dall’appaltatrice per il noleggio a terzi. Neppure era dovuto il rimborso degli acconti pagati dall’impresa per l’acquisto di materiali ed attrezzature, sia sulla scorta delle previsioni di cui all’art. 26 del capitolato d’appalto già citato, sia in quanto l’appaltatrice aveva così ottenuto un ingiustificato doppio vantaggio, utilizzando materiale ed attrezzature in altri cantieri ed avendo ottenuto il rimborso dei relativi costi dal Comune, senza, peraltro, che la Corte d’appello avesse tenuto conto dei benefici fiscali derivanti per l’impresa dalla detrazione di quelle spese dal bilancio.

4. Il motivo, che si articola in più censure, sia sub specie del vizio di violazione di legge, sia sub specie vizio motivazionale, è fondato solo nei limiti di cui si dirà.

4.1. E’ inammissibile la doglianza riferita alla voce di danno per rimborso delle mensilità di retribuzione da aprile a dicembre 2000 corrisposte dall’impresa al suo dipendente e tecnico di cantiere L.. Il ricorrente principale, nel dedurre, apparentemente, la violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/2017).

Il Comune svolge, infatti, una serie di doglianze sulla valutazione delle risultanze probatorie, rimarcando che nella sentenza impugnata si dà atto che i lavori non erano mai iniziati e il cantiere era sempre stato inattivo e che il costo di altri lavoratori e i relativi contributi previdenziali non erano stati, invece, riconosciuti, nonchè prospettando una ricostruzione dei fatti difforme da quella effettuata dai Giudici di merito.

La Corte d’appello, con motivazione idonea (Cass. S.U.n. 8053/2014), in base alle risultanze istruttorie, e prendendo in esame il fatto che il cantiere era sempre rimasto inattivo, ha ritenuto dimostrato che il dipendente L., il quale si era anche occupato della progettazione esecutiva del cantiere, non era stato impiegato altrove e doveva essere tenuto a disposizione per la possibile ripresa del cantiere. Le doglianze si sostanziano, per contro, in generiche deduzioni circa il regime giuridico dell’onere della prova, nonchè nell’allegazione di circostanze fattuali e di valutazioni di merito, non censurabili in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi, non ricorrenti nella specie, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A tale riguardo va aggiunto che nella rubrica del motivo si denuncia l’omesso esame di fatto decisivo e tuttavia non è chiaramente esplicitato quale sia detto fatto. Il Comune richiama reiteratamente, pur senza rimarcarne l’omesso esame, la circostanza dell’inattività del cantiere, che è stata in ogni caso esaminata dai Giudici di merito, come dà atto lo stesso ricorrente principale.

4.2. E’ inammissibile anche la doglianza riferita alla denunciata tardività della prova del pagamento della fideiussione. Detta doglianza non è stata esaminata dalla Corte d’appello e non è riportata tra quelle di cui al tredicesimo motivo d’appello (pag. n. 8 e 9 sentenza). Il Comune non deduce di averne fatto motivo d’appello (pag. n. 45 ricorso), nè tantomeno riporta in ricorso il tenore del motivo d’appello in cui avrebbe svolto la relativa deduzione, difettando così la censura di autosufficienza.

4.3. E’ fondata nei termini di seguito illustrati la censura riferita all’interpretazione dell’art. 26 del capitolato speciale d’appalto.

4.3.1. Occorre premettere che i capitolati speciali, avendo la peculiare funzione di contenere le condizioni che si riferiscono più in dettaglio all’oggetto del singolo appalto, hanno natura ed efficacia contrattuale (Cons. Stato n. 3105/2015 e n. 6286/2005) e, nel caso di specie, la vincolatività inter partes del capitolato speciale, quale fonte di disciplina contrattuale del rapporto, nonchè la sua validità non sono in contestazione e sono date per presupposte dalla Corte territoriale.

Inoltre le pattuizioni dirette a disciplinare gli effetti dell’inadempimento, anche qualora idoneo a determinare la risoluzione, e a predeterminare o limitare il risarcimento da esso conseguente, non sono destinate ad essere travolte in forza dell’operatività retroattiva della risoluzione stessa, stabilita dall’art. 1458 c.c., proprio per il loro specifico contenuto, così come si verifica per l’ambito applicativo della clausola penale di cui all’art. 1382 c.c. e in ogni altra ipotesi, validamente concordata tra le parti, di preventiva esclusione di talune voci di danno dalle poste risarcibili.

4.3.2. Ciò posto, il Comune, riportando in ricorso il testo del citato art. 26, lamenta l’errata interpretazione di quanto ivi previsto per l’ipotesi di risoluzione, con riferimento all’esclusione della debenza di indennizzo o compenso all’appaltatore che abbia ottenuto in restituzione dalla stazione appaltante macchinari e materiali non utilizzati nella prosecuzione dell’appalto (i materiali e mezzi d’opera che non verranno utilizzati nella prosecuzione dell’appalto saranno restituiti all’Appaltatore nello stato in cui si trovano, senza che esso possa pretendere alcun indennizzo o compenso).

Premesso che l’interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, per costante giurisprudenza di questa Corte “Nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice di merito, allorchè le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune volontà delle medesime, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, se non (fuori dell’ipotesi dell’ambiguità della clausola) previa rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale” (Cass. n. 20791/2004). Il principale strumento è, quindi, rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, ma il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro (tra le tante Cass. n. 12400/2007). Inoltre il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro, ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti (tra le tante Cass. n. 20294/2014).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, richiamando le osservazioni svolte al riguardo dal C.T.U., ha ritenuto inconferenti gli artt. 24 e 26 del capitolato speciale d’appalto (per presumibile refuso indicato come “contratto” nella sentenza impugnata), limitandosi ad affermare che detti articoli fossero “riferiti a sospensioni di durata inferiore e a macchinari (evidentemente presenti e utilizzati in cantiere) “restituiti” in caso di risoluzione” (pag. n. 22).

Da detta sintetica argomentazione, ed in particolare dal riferimento all’utilizzo dei macchinari, che pare effettuato in via deduttiva e ritenuto preclusivo dell’applicazione, nella specie, del citato art. 26, è dato, in ogni caso, evincere che la Corte d’appello non si sia attenuta al criterio ermeneutico basato sulla formulazione letterale, stante l’esplicita previsione, contenuta nell’art. 26 citato, di esclusione della debenza di indennizzo o compenso all’appaltatore qualora allo stesso, all’esito della risoluzione, fossero restituiti macchinari e attrezzature non utilizzati dalla stazione appaltante nella prosecuzione dell’appalto.

La Corte territoriale neppure ha indicato quale fosse il rilievo da assegnare alla formulazione letterale verificandolo alla luce dell’intero contesto, ricercando la comune volontà delle parti anche, se del caso, con ausilio degli altri criteri ermeneutici, in particolare indagando sull’eventuale funzione rafforzativa del vincolo data dalle parti alla previsione di cui trattasi, pur se a preminente tutela dell’Ente pubblico contraente, nonchè sull’eventuale applicabilità della medesima pattuizione in ogni ipotesi di risoluzione con restituzione dei macchinari, delle attrezzature e dei materiali all’appaltatrice.

Ricorre, pertanto, la denunciata violazione dei criteri di legge, con specifico riferimento agli artt. 1362 e 1363 c.c., nell’interpretazione del citato art. 26, che i Giudici di merito dovranno nuovamente effettuare alla stregua dei suesposti principi.

4.4. Va ora esaminato, in quanto potrà anche non risultare assorbito all’esito del percorso ermeneutico che sarà rimesso al Giudice del rinvio nei termini precisati, il distinto e ulteriore profilo di censura, sub specie del vizio di violazione di legge, articolato, a sua volta, in due differenti rilievi, afferente all’esatta determinazione del danno risarcibile, sempre con riferimento ai costi di acquisto dei macchinari, delle attrezzature e dei materiali.

4.4.1. Il ricorrente principale lamenta, sotto un primo aspetto, che la posta di danno di cui trattasi sia stata quantificata, in violazione degli artt. 1226 e 2697 c.c., senza tener conto dei vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, il quale, ad avviso del Comune, ha ottenuto il rimborso dei suddetti costi, pur restando i medesimi nella proprietà e disponibilità dell’impresa, così conseguendo un’ ingiustificata locupletazione e un doppio vantaggio.

Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di compensatio lucri cum damno (cfr. sentenze nn. 1256412565-12566-12567/2018), dall’art. 1223 c.c. è desumibile il principio che se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento. Infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato, sicchè l’accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli deve tenere anche conto degli eventuali vantaggi collegati all’illecito in applicazione della regola della causalità giuridica. Pertanto la corretta applicazione del criterio generale della compensatio lucri cum damno, sancito dall’art. 1241 c.c. in relazione al successivo art. 1223, postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perchè il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato (Cass. n. 16088/2018 e n. 5841/2018).

La Corte territoriale, al riguardo, pur dando atto che il cantiere era rimasto sempre inattivo, si limita ad affermare: “che macchinari, materiali, attrezzature siano rimasti all’impresa non significa che il relativo costo non sia stato sostenuto dalla stessa in vista e a causa dell’appalto stesso” (pag. 22 della sentenza impugnata).

La Corte d’appello, nel ricondurre causalmente l’acquisto dei materiali e delle attrezzature al rapporto di appalto ed al correlato inadempimento del Comune, perciò riconoscendo il rimborso dei relativi costi all’appaltatrice, non si è attenuta ai suesposti principi, omettendo di prendere in considerazione, nella liquidazione, l’effetto vantaggioso che nel contempo ha conseguito la danneggiata, alla quale sono “rimasti” macchinari, materiali ed attrezzature, mai utilizzati nell’appalto oggetto di causa e la cui destinazione successiva rileva proprio per definire l’ambito di quell’effetto vantaggioso. Non risulta, infatti, esplicitato nella motivazione della sentenza impugnata in che modo siano stati calcolati i costi per macchinari, attrezzature, ammortamenti (pag. n. 21 e n. 22 della sentenza), così da poter ricostruire quale sia stato il meccanismo di determinazione e liquidazione, in applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., delle corrispondenti poste di danno.

E’ pertanto fondata, nei termini indicati, la censura di cui trattasi, ossia con riferimento alla violazione del criterio generale della compensatio lucri cum damno, da adottare anche in caso di liquidazione equitativa, e degli artt. 1223 e 1226 c.c..

4.4.2. E’ inammissibile l’altro profilo di doglianza sulla quantificazione degli stessi danni, concernente la tardività o irrilevanza della produzione dei documenti effettuata dalla ditta M. nel corso dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio.

Si tratta di doglianza diretta a sindacare la valutazione probatoria, non più censurabile ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, effettuata dalla Corte territoriale circa la natura meramente integrativa di detta produzione rispetto a documenti giustificativi già in atti, nonchè circa la rilevanza probatoria della stessa.

5. Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la M. lamenta “Violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova e dell’art. 1223 sul risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, errata motivazione della sentenza d’appello in relazione ai fatti decisi”. Deduce, in ordine al danno da perdita di requisiti per la partecipazione a successive gare d’appalto, di aver dato la prova della perdita dei suddetti requisiti, con conseguente perdita di valore dell’azienda. Le qualifiche SOA, costituenti un bene aziendale immateriale, erano state perse a causa della perdita di fatturato connessa all’inattività del cantiere di Argelato. Allega la ditta appaltatrice, richiamando quanto esposto dal consulente di parte, che non aveva più potuto partecipare ad una serie di gare.

6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la M. lamenta “Violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova e dell’art. 1223 sul risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata motivazione della sentenza d’appello in relazione ai fatti decisi”. Censura la statuizione con cui è stata rigettata la sua richiesta di rimborso degli oneri finanziari, che non potevano ritenersi assorbiti dalla voce relativa al rimborso delle quote di ammortamento dei macchinari. Rimarca che in quel medesimo periodo sono maturati e sono anche stati pagati interessi passivi dall’impresa agli istituti bancari che avevano finanziato l’acquisto dei macchinari stessi e detti interessi dovevano sommarsi, senza sovrapporsi, all’onere rappresentato dall’ammortamento dei macchinari stessi, che viene riconosciuto anche a chi non abbia a dimostrare di aver dovuto ricorrere al credito.

6. Con il terzo motivo la M. lamenta “Difetto di motivazione per omesso/errato esame di un fatto storico e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5; violazione ed errata interpretazione dell’art. 2967 in rapporto all’art. 360, comma 1, punto 3, per errata interpretazione delle prove agli atti e travisamento dei fatti provati”. Deduce che, contrariamente a quanto statuito dalla Corte d’Appello, i costi per contributi Inps e premi Inail relativi al personale avrebbero dovuto essere riconosciuti in quanto effettivamente sostenuti.

7. I tre motivi, tutti articolati sub specie del vizio di violazione di legge e motivazionale e da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

7.1. Quanto al danno da perdita dei requisiti per la partecipazione a successive gare d’appalto, la ricorrente, nel dolersi della violazione dell’art. 1223 c.c., non si confronta con il percorso argomentativo di cui alla sentenza impugnata e censura, in realtà e in ogni caso, la ricostruzione fattuale.

La Corte territoriale, con adeguata motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha esaminato i fatti allegati, qualificando il pregiudizio allegato come danno da perdita di chance, ed ha affermato, attenendosi ai principi di diritto affermati da questa Corte in fattispecie analoghe (Cass. n. 19604/2016), che in concreto non vi era alcuna evidenza da cui risultasse che la ditta M., partecipando a gare di appalto per le categorie dalle quali ritiene di essere stata esclusa a causa del mancato fatturato realizzato per l’inadempimento del Comune, avrebbe avuto la certezza o l’elevata probabilità (o probabilità superiore di successo rispetto all’insuccesso) di aggiudicazione, nè di conseguente effettivo utile.

La ricorrente incidentale, non confrontandosi specificamente con detta ratio decidendi, prospetta il collegamento causale di cui all’art. 1223 c.c. non in relazione all’elevata probabilità di aggiudicazione di gare successive e alla conseguente perdita di fatturato, la cui mancata dimostrazione non è censurata, ma con riferimento al diminuito valore dell’azienda per la perdita delle qualifiche SOA (pag. n. 42 controricorso), salvo, di seguito, contraddittoriamente indicare che il danno subito e preteso consiste nella perdita di utili per la mancata partecipazione alle gare di categoria superiore (pag. n. 44 controricorso).

Ugualmente inammissibili, anche in quanto dirette ad una rivalutazione del merito, sono le considerazioni svolte diffusamente dalla M. in ordine alle risultanze della sua consulenza di parte e ai dati del fatturato.

7.2. Le doglianze espresse con gli altri due motivi di ricorso incidentale si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053/2014). Inoltre il vizio di violazione di legge non è denunciato in senso proprio, ossia come dipendente dall’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ma come erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, atteso che le censure sono mediate dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054/2017). In particolare, quanto al mancato riconoscimento di oneri finanziari distinti dagli ammortamenti, la Corte d’appello, con motivazione adeguata, ha ritenuto, in base alle risultanze di cui al primo supplemento di CTU (p. 10), che gli estratti conto non consentissero l’imputazione delle singole operazioni, che ogni documento successivamente prodotto fosse tardivo e comunque non consentisse una distinta imputazione, aggiungendo l’ulteriore ratio decidendi secondo cui gli oneri finanziari dovevano in ogni caso considerarsi assorbiti nel rimborso degli ammortamenti. La M. non si confronta specificamente con il suddetto iter motivazionale e si limita a riproporre le deduzioni motivatamente disattese dai Giudici di merito.

In ordine al rimborso dei costi per contributi INPS e premi Inail, la Corte territoriale ha affermato l’impossibilità, in base alle risultanze di causa e di C.T.U. di individuare quali di detti premi e contributi fossero riferibili al cantiere di Argelato. La ricorrente incidentale, per contro, si limita genericamente a sostenere che anche dette poste debbano essere riconosciute in quanto trattasi di costi effettivamente sostenuti.

8. Alla stregua delle considerazioni che precedono, va accolto nei sensi di cui in motivazione il secondo motivo di ricorso principale, rigettato il primo, vanno dichiarati inammissibili i motivi di ricorso incidentale, con la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il secondo motivo di ricorso principale, rigettato il primo, dichiara inammissibili i motivi di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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