Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13598 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16927/2015 proposto da:

M.P. – personalmente, M.G., elettivamente

domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato

C.G., rappresentati e difesi dal medesimo avvocato M.P.

unitamente all’avvocato Brancati Corrado, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Autostrade per l’Italia S.p.a., in persona del Direttore legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Salaria n. 95, presso lo studio dell’avvocato Galvani Andrea, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 879/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto (inammissibilità del

primo e secondo motivo, rigetto del terzo, si riporta alle

requisitorie);

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato M.P. che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Galvani Andrea che ha

chiesto il rigetto;

Il Presidente autorizza l’Avvocato M. al deposito della

consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio innanzi alla

Corte di Appello di Ancona.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza n. 879/2015 depositata il 26-3-2015 la Corte d’appello di Ancona ha determinato l’indennità di esproprio per il comparto B in Euro 24.288,75, a cui aggiungere il valore del soprassuolo arboreo e l’indennità per occupazione temporanea e d’urgenza, spettanti a M.P. e M.G., oltre all’importo differenziale come specificato nella motivazione dell’ordinanza e agli interessi al tasso legale sulla differenza, ove sussistente, tra la somma così complessivamente riconosciuta e quella già versata dall’Ente espropriante presso la Cassa Depositi e Prestiti, disponendo altresì il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti dell’eventuale differenza dovuta. La Corte territoriale ha ritenuto che: (i) non potesse procedersi alla valutazione del comparto A, considerato che il giudizio era stato introdotto con opposizione alla stima da Autostrade s.p.a., la suddetta domanda era limitata alla stima della Commissione arbitrale riferita al comparto B e i M. non avevano proposto domanda riconvenzionale; (il) dovesse escludersi l’applicabilità dell’art. 33 TUE perchè, in base alle risultanze della C.T.U. non c’era connessione funzionale tra la parte espropriata e la parte residua e i M., facendo riferimento a valutazioni attinenti ai comparti, non avevano fornito riscontri sui riflessi negativi dell’esproprio verificatisi sulla parte del terreno non espropriata; (iii) il terreno espropriato ricadeva nella fascia di rispetto autostradale, aveva vincolo di inedificabilità assoluta e non rilevava, al fine di escludere l’inedificabilità dell’area vincolata, la computabilità della stessa nella determinazione della volumetria o della superficie edificabile sul restante suolo non espropriato, perchè ciò non rende l’area in questione suscettibile di edificazione, restando pur sempre operante il divieto di costruire su di essa.

2. Avverso questa ordinanza, M.P. e M.G. propongono ricorso, affidato a tre motivi, nei confronti di Autostrade per l’Italia s.p.a., che resiste con controricorso.

3. Con ordinanza interlocutoria di questa Corte di data 15-5-2019 è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza, ritenuta la questione oggetto dei motivi secondo e terzo di ricorso meritevole di approfondimento e di rilievo nomofilattico.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo i ricorrenti lamentano “Omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; omessa considerazione dei terreni denominati in CTU come comparto A)”. I ricorrenti deducono che erroneamente la Corte territoriale non aveva riconosciuto l’indennità di esproprio per il comparto A, determinata dal C.T.U. in Euro 6.004,04, disattendendo l’orientamento di questa Corte (Cass.n. 12546/2014), pur se richiamato nell’ordinanza impugnata, secondo cui il giudizio di opposizione alla stima verte sulla giusta determinazione dell’indennità di esproprio, indipendentemente da richieste, allegazioni e documentazioni di valore. Inoltre rilevano che la Corte d’appello non ha adeguatamente valutato i valori risultanti dai calcoli effettuati dal Collegio arbitrale e quelli indicati dal CTU includendo la somma dovuta per il comparto A.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. I ricorrenti, nel censurare la statuizione di cui trattasi per vizio motivazionale, si limitano, in realtà, a riproporre le argomentazioni giuridiche svolte nel giudizio di merito e disattese dalla Corte territoriale mediante richiamo dell’orientamento di questa Corte sul tema della natura del giudizio di opposizione alla stima e sua coordinazione con il principio della domanda.

La Corte d’appello ha, infatti, esaminato la questione relativa all’indennità di espropriazione dovuta per l’area rientrante nel comparto A, di destinazione, pacificamente, agricola e, con motivazione adeguata (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha ritenuto la suddetta questione non rientrante nel giudizio di opposizione alla stima, promosso da Autostrade, mediante impugnazione della stima definitiva del Collegio Arbitrale, solo con riferimento all’indennità dovuta per l’area rientrante nel comparto B, in assenza di proposizione di riconvenzionale riferita alla stima del comparto A da parte dei M.. In particolare, i ricorrenti avevano accettato la stima definitiva determinata ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21 e dopo l’opposizione a quella stima proposta da Autostrade, nonchè dopo l’emissione del decreto di esproprio, intervenuta nel corso del giudizio, non avevano azionato alcuna richiesta attinente alla stima dell’area del comparto A, chiedendo solo, in subordine, la rideterminazione dell’indennità di espropriazione considerando anche il deprezzamento dell’area residua, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33.

La Corte d’appello si è, dunque, attenuta al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, qualora venga impugnata la stima definitiva e intervenga il decreto di esproprio, alle parti è attribuito il diritto di proporre opposizione nel termine di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 27 e 54 oppure di formulare una tempestiva domanda riconvenzionale, dovendo sempre coordinarsi con il principio della domanda la particolare natura del giudizio di opposizione alla stima, il cui oggetto è la congruità e conformità dell’indennità di espropriazione ai criteri di legge (Cass. n. 11503/2014; Cass. n. 14185/2016; Cass. n. 15414/2019).

3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano “Omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; omesso riconoscimento del carattere di esproprio parziale di bene unitario e omessa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33”.

Deducono che sia stato omesso l’esame del fatto consistente nel frazionamento del compendio rientrante in ampio comparto di edificazione unitario in conseguenza degli espropri, che risultava accertato in base agli accertamenti peritali (pag. 11-15 CTU riportate a pag. 9 ricorso). Rilevano che Autostrade aveva proceduto al frazionamento dei beni, assoggettati ad esproprio per una superficie di mq. 3.175, nell’ambito di un più ampio compendio immobiliare della superficie di mq. 15.658 di terreno sito in Comune di (OMISSIS). Il Piano Particolareggiato aveva previsto una riduzione delle superfici territoriali d’intervento, con conseguente diminuzione delle superfici nette edificabili sia residenziali sia terziarie. Ad avviso dei ricorrenti i terreni residui subiscono una perdita di capacità edificatoria pari alla perdita di volumetria esprimibile dai terreni espropriati, che assumono identificata a pag.25 della C.T.U., il cui testo, nella parte di interesse riportano in ricorso (pag.n. 12). Rilevano che in conseguenza degli espropri il piano particolareggiato aveva previsto una diminuzione delle superfici nette edificabili sia residenziali, sia terziarie, e il C.T.U. aveva chiarito che il complessivo comparto di edificazione aveva subito una perdita di diritti edificatori complessivi. I beni espropriati rientravano interamente nella fascia di rispetto solo se considerati post frazionamento, al quale, ribadiscono, aveva proceduto Autostrade, mentre il compendio immobiliare da cui i beni espropriati erano stati staccati era molto più ampio (circa 5 ettari di proprietà). Lamentano, pertanto, che la Corte territoriale abbia considerato i terreni già frazionati come un unicum, con una motivazione consistita in un mero richiamo di stile alla C.T.U., senza indicare elementi concreti a supporto del convincimento espresso e senza esaminare il fatto del frazionamento e dell’originaria inclusione dei beni ablati in un unitario comparto di edificazione. Rimarcano che in altra successiva controversia la medesima Corte d’appello ha deciso in maniera opposta, in conformità a quanto statuito da questa Corte (Cass. 7195/2013).

4. Con il terzo motivo lamentano “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto: violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 e del D.P.R. n. 495 del 1992, artt. 26 e 28”. Ad avviso dei ricorrenti la fascia di rispetto di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, artt. 26 e 28 non impone l’inedificabilità dei terreni, ma solo un vincolo di distanza (Cons. Stato n. 2076/2010Cass. n. 9889/2014). A maggior ragione, nel caso di specie, trattandosi di esproprio parziale di bene unitario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 nel determinare il valore di esproprio deve tenersi conto della quota di volumetria che l’esproprio sottrae alla porzione del bene residua rimasta in proprietà e sita fuori dalla fascia di rispetto.

5. I motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti di seguito precisati.

5.1. Prioritariamente devono scrutinarsi le doglianze con cui si censura, sotto un duplice profilo, prospettato sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il mancato riconoscimento della configurabilità, nella specie, di esproprio parziale di bene unitario. I ricorrenti lamentano l’omesso esame dei seguenti fatti: (i) il frazionamento, avvenuto con l’esproprio, di una superficie di un più ampio compendio immobiliare di proprietà dei ricorrenti, rientrante nell’area urbanistica di (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), ossia in una posizione semi-centrale di primo sviluppo urbanistico del centro cittadino urbano (pag.n. 5 e n. 7 C.T.U.); (h) la superficie territoriale netta edificabile, sia residenziale sia terziaria, rientrante nel progetto Norma 8.8. (OMISSIS) in cui sono compresi i terreni espropriati, aveva subito una riduzione, pari a mq. 6.955, disposta dal Piano particolareggiato del Comune di Pesaro con Delib. 8 gennaio 2014 in conseguenza degli espropri delle aree effettuati da Autostrade per l’ampliamento delle sede autostradale (pag. n. 12 e n. 31 C.T.U.).

Sotto distinto ma collegato profilo, i ricorrenti lamentano anche che la motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui esclude la configurabilità di originaria unitarietà dei beni ablati rispetto all’area residua rimasta in proprietà, sia omessa o meramente apparente, perchè di mero stile e priva di richiami ad elementi concreti.

Preliminarmente, ai fini dell’ammissibilità delle censure, osserva il Collegio che in ordine ai suindicati fatti, decisivi in quanto funzionali alla configurabilità, nella specie, di esproprio parziale di un bene unitario ed all’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 i ricorrenti hanno sufficientemente ricostruito le risultanze processuali a sostegno delle correlate deduzioni, richiamando a tal fine il decreto di dichiarazione di pubblica utilità con allegata piantina, il decreto di esproprio, nonchè i dati di rilevanza accertati dal C.T.U. e riportati testualmente nel ricorso (pag.n. 9) e sopra sintetizzati, allegando che il residuo lotto edificabile, rimasto in proprietà degli espropriati stessi, aveva subito una rilevante perdita di cubatura e di volumetria.

Tanto premesso, nonchè precisato che l’oggetto del giudizio e, di conseguenza, l’indagine svolta mediante l’espletata C.T.U., acquisita dal Collegio all’udienza di discussione, indubitabilmente vertevano anche sulle conseguenze, positive o negative, determinatesi a carico della parte di fondo non espropriata a causa dalla sua separazione da quella ablata (cfr. quesito conferito al C.T.U. punto 3.b) e dell’espropriazione, la Corte territoriale non ha esaminato i suddetti, specifici, fatti. Il Giudice di merito non ha, in particolare, menzionato affatto il frazionamento del 22-1-2013, di cui si dà atto nella C.T.U. (pag.n. 5), avvenuto dopo l’immissione in possesso di Autostrade e prima del decreto di esproprio del 4/2/2014, intervenuto in corso di giudizio, nè la situazione dei beni sussistente prima del distacco e neppure ha preso in esame la riduzione della superficie netta edificabile di cui si è detto sub (li) e di cui pure si dà atto nella C.T.U. (pag. n. 12 e n. 31), con la precisazione espressa che detta diminuzione, disposta dal Comune di Pesaro con l’adozione del piano particolareggiato, era conseguenza degli espropri.

La Corte d’appello ha, inoltre, richiamato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio per affermare che non vi era connessione funzionale tra la parte espropriata e la parte residua e che doveva escludersi la sussistenza di riflessi negativi derivanti dall’espropriazione sulla parte residua non espropriata. Invece non si rinviene nella C.T.U. alcuna affermazione di mancata connessione funzionale tra la parte espropriata e la parte residua, nè risulta minimamente descritta nell’elaborato la situazione dell’area di proprietà dei ricorrenti ante e post frazionamento o ante e post assoggettamento alla procedura espropriativa e quali siano l’estensione, le caratteristiche oggettive o quant’altro di rilevanza della parte di fondo non ablata. A ciò si aggiunga che il C.T.U. afferma di non ritenere che la parte di fondo non espropriata subisca danni in conseguenza della procedura espropriativa (pag.n. 32) e tuttavia non solo non indica alcun elemento concreto di supporto a detta conclusione, ma neppure fornisce giustificazione alcuna della medesima.

Dalle suesposte considerazioni discende la fondatezza anche della doglianza relativa alla motivazione meramente apparente dell’ordinanza impugnata, atteso che l’iter argomentativo si sviluppa attraverso formule di stile prive di riferimenti specifici e senza che sia dato comprendere, neppure mediante l’esame dell’elaborato peritale, su quali elementi di fatto sia basato il convincimento espresso dalla Corte d’appello circa la mancanza di connessione funzionale tra la parte espropriata e la parte residua, prima dell’assoggettamento del bene alla procedura ablatoria, a fronte delle contrarie allegazioni dei ricorrenti.

Nè può valorizzarsi, alla luce delle rilevate carenze motivazionali, la posizione assunta nel giudizio di merito, e rimarcata nell’ordinanza impugnata, dal consulente di parte degli attuali ricorrenti, il quale non aveva formulato osservazioni alla C.T.U. sul tema dell’esproprio parziale, atteso che i rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non solo di carattere tecnico giuridico, che possono essere svolte nella comparsa conclusionale, sempre che si tratti di fatti già ritualmente introdotti nel processo (Cass. n. 20829/2018), come incontrovertibilmente è nel caso di specie.

Ricorre, pertanto, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 sotto entrambi i profili denunciati dai ricorrenti e i Giudici di merito, previo esame dei fatti di cui si è detto, dovranno procedere all’accertamento circa la sussistenza o meno, nella fattispecie concreta, di esproprio parziale ai sensi dell’art. 33 citato, se del caso mediante rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, in particolare verificando se vi fosse o meno una connessione funzionale ed un’unitaria destinazione di tutti i beni già in proprietà dei ricorrenti, nei termini chiariti dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass.n. 20241/2016).

5.2. Le restanti censure, tra le quali sono di principale rilevanza quelle che presuppongono la ricorrenza della fattispecie concreta di esproprio parziale di bene unitario, involgono questioni di diritto in ordine alle quali il Collegio ritiene di disattendere l’istanza dei ricorrenti di rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di tematiche che, pur presentando profili di indubbio rilievo nomofilattico, possono essere decise dalla Sezione semplice mediante interpretazione del contesto normativo in via estensiva e chiarificatrice di principi già affermati da questa Corte, nel senso che sarà illustrato.

Le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte possono così sintetizzarsi: A) qualificazione giuridica della fascia di rispetto e correlata incidenza, in ipotesi di sua ablazione, sul criterio di determinazione dell’indennità di espropriazione e sull’individuazione della volumetria edificabile, ante assoggettamento alla procedura di espropriazione, dell’originario lotto unitario; B) rilevanza, in ordine all’individuazione della medesima volumetria edificabile, del solo “spostamento” della fascia di rispetto, nell’ipotesi in cui il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione parziale, si sia spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà dell’espropriato, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava.

5.2.1. In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio ritiene di condividere il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013). Detto vincolo non ha natura espropriativa, nè è preordinato all’espropriazione, in base a quanto previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1 e art. 37, comma 4, e l’indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n. 5875/2015).

Occorre precisare, anticipando quanto si dirà nel prosieguo, che, nella specie, la Corte territoriale, dopo aver escluso la configurabilità di esproprio parziale, ha proceduto alla liquidazione dell’indennità di esproprio relativa alla fascia di rispetto secondo il suindicato valore. Tuttavia, qualora il Giudice del rinvio accerti la sussistenza, nella fattispecie concreta, dell’esproprio parziale, nella ricorrenza dei presupposti e con i criteri che saranno di seguito illustrati, la complessiva ed unica indennità di espropriazione dovrà essere ricalcolata.

5.2.2. Passando a scrutinare le tematiche, più controverse, che presuppongono la sussistenza, in concreto, dell’esproprio parziale di bene unitario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 nonchè precisato che, nel caso di specie, l’espropriazione ha avuto ad oggetto solo la fascia di rispetto, ritiene il Collegio che sia condivisibile l’orientamento secondo cui deve escludersi qualsiasi incidenza dell’area corrispondente alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è compresa (tra le altre Cass. n. 8121/2009 e Cass. n. 26899/2008).

Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell’interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero “vincolo di distanza” (sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018).

La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima dell’assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.

Non è condivisibile l’indirizzo, richiamato anche dai ricorrenti (Cass.n. 5875/2012; Cass.n. 13970/2011), in base al quale, sostanzialmente, non vi sarebbe interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la valutazione dello stesso ai fini urbanistici. Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla prima, e ciò in quanto l’area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall’assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4.

5.2.3. A diversa conclusione si deve pervenire nell’ipotesi di spostamento della fascia di rispetto all’interno dell’area residua di proprietà, dovendosi rimarcare la sua dirimente distinzione dall’altra già considerata (ablazione della fascia di rispetto).

Infatti, in ipotesi di spostamento, la corrispondente porzione del bene è edificabile prima dell’imposizione sulla stessa del vincolo legale di inedificabilità dipendente dall’ablazione della fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo l’esproprio dell’originaria fascia di rispetto, così determinandosi, per la “nuova” fascia di rispetto che resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.

In altri termini, come chiarito da questa Corte in precedenti pronunce (Cass. n. 5875/2012 e Cass. n. 23210/2012), il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione, può essersi spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà della parte espropriata, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava (Cass. n. 13970/2011; Cass. n. 6518/2007; Cass. n. 14643/2001). Ove si verifichi detta situazione, poichè deve aversi riguardo alla consistenza dell’area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l’inedificabilità successiva della stessa ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33.

Dunque, l’edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l’altra parte residua, rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in proprietà anche la “nuova” fascia di rispetto.

Negare rilevanza, nel senso indicato, alla descritta situazione si porrebbe in contrasto con i principi costantemente affermati da questa Corte in tema di espropriazioni per pubblica utilità, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 348/2007, n. 349/2007 e 181/2011) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo i quali non solo il sistema indennitario deve essere improntato al riconoscimento del valore venale del bene ablato, ma l’indennizzo dovuto al proprietario, in base alla disciplina dettata dal citato art. 33, riguarda anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario stesso, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla proprietà residua, in modo da compensare il pregiudizio arrecato dall’ablazione ad essa (tra le tante da ultimo Cass. n. 34745/2019).

Con riguardo a detti principi deve orientarsi l’interpretazione dell’art. 33 nella fattispecie in esame, la cui peculiarità risiede nel collegamento funzionale con una parte del fondo non espropriata, ma assoggettata, in diretta dipendenza dall’ablazione della fascia di rispetto, a vincolo assoluto di inedificabilità, e, quindi, alla perdita del diritto di costruire, pur nella permanenza del diritto di proprietà.

In tale ottica interpretativa, può darsi rilevanza, ai fini della configurabilità dell’esproprio parziale, a quel collegamento, a sua volta direttamente funzionale all’espropriazione della proprietà dell’area già in precedenza vincolata in quanto fascia di rispetto. Il fondamento normativo di suddetta ricostruzione si può rinvenire nell’art. 32, comma 1 citato D.P.R. in tema di indennità, che prescrive di tener conto, nella determinazione del valore del bene, anche dell’espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà, e a detta espropriazione è assimilabile l’ipotesi che si sta scrutinando, in cui il proprietario ha perso il diritto di costruire sulla porzione del fondo corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto.

In base a detta opzione ermeneutica, estensiva nei termini consentiti dalla specificità del caso, il privato potrà ottenere il deprezzamento dell’area residua non ablata commisurato alla reale perdita o diminuzione di capacità edificatoria di essa. Detto risultato può essere, infatti, raggiunto, in termini di effettività, solo se la valutazione della capacità edificatoria, da effettuarsi mediante comparazione delle caratteristiche del bene unitario ante e post procedura espropriativa, comprenda, nella ricostruzione della situazione ante procedura ablatoria, l’area della “nuova” fascia di rispetto originariamente edificabile, determinandosi, diversamente opinando, ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni con caratteristiche iniziali identiche, quanto alla pregressa destinazione urbanistica dell’area che, all’esito dell’espropriazione, rimane in proprietà.

Resta da precisare, sempre in ragione della specificità del caso, che il criterio di stima differenziale, che comporta la sottrazione all’iniziale valore dell’intero immobile quello della parte rimasta in capo al privato, non è vincolante e può essere sostituito dal criterio che procede al calcolo del deprezzamento della sola parte residua, per poi aggiungerlo alla somma liquidata per la parte espropriata, purchè si raggiunga il medesimo risultato di compensare l’intero pregiudizio arrecato dall’ablazione alla proprietà residua (da ultimo Cass. n. 25385/2019 e n. 34745/2019).

Nella specie, poichè la perdita del diritto di costruire sull’area residua corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto non è indennizzabile, il giudice di merito potrà accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua rimasta in proprietà a seguito dell’avanzamento della fascia di rispetto mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (Cass. n. 24304/2011). In altri termini, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua dovrà essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (Cass. n. 7195 del 2013).

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, i Giudici di merito, qualora accertino la sussistenza, nella fattispecie concreta, di esproprio parziale ai sensi dell’art. 33 citato (cfr. p. 5.1.), dovranno attenersi al principio di diritto secondo il quale, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sè non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà.

6. In conclusione, in accoglimento, nei limiti precisati, dei motivi secondo e terzo, l’ordinanza impugnata è cassata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo ed terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e, in relazione ai motivi accolti, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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