Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13597 del 04/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 04/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 04/07/2016), n.13597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23896-2013 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (già FERROVIE DELLO STATO)

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE UMBERTO TUPINI 113, presso

lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, CORSO RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE SANTONI, rappresentato e difeso dall’avvocato PISANI

LUCA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso lasentenza n. 7135/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/10/2012 7588/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Doto. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato CORBO NICOLA;

udito l’Avvocato PISANI LUCA;

udito IL P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 15019/07 il Tribunale di Roma, sul presupposto del carattere ingiustificato del licenziamento intimato il 1.10.02 da Ferrovie dello Stato S.p.A. al suo dirigente P.A., condannava la prima a pagare al secondo importi vari a titolo di indennità supplementare e di differenze sull’indennità di mancato preavviso e sul TFR, mentre rigettava le domande di risarcimento del danno biologico e all’immagine professionale e quella per indennità sostitutiva di ferie non godute.

Con sentenza depositata il 17.10.12 la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del gravame incidentale di Agostino P., condannava Ferrovie dello Stato S.p.A. (oggi Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.) a pagare ulteriori importi per le voci non accolte in prime cure, mentre rigettava l’appello principale proposta dalla società, che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c. L’intimato resiste con controricorso.

Il difensore della società ricorrente ha depositato osservazioni ex art. 379 c.p.c. alle conclusioni del Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso, atteso che dall’originale della sentenza acquisito tramite cancelleria risulta che la sentenza impugnata è stata effettivamente depositata il 17.10.12 (e non il 7.10.12, come sostenuto all’odierna udienza dalla difesa del controricorrente).

Pertanto, applicandosi ratione temporis il termine annuale per l’impugnazione previsto dal previgente testo dell’art. 327 c.p.c., è sufficiente – ai sensi dell’art. 149 c.p.c., u.c. – che la racc. per la notifica del ricorso per cassazione a mezzo posta sia stata spedita il 17.10.13 (vale a dire l’ultimo giorno utile).

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme in materia di giustificatezza del licenziamento del dirigente e omesso esame d’un fatto decisivo, per avere i giudici di merito affermato l’applicabilità, anche ad un rapporto dirigenziale, dell’obbligo – per la società – di dimostrare l’impossibilità del repechage, obbligo elaborato in giurisprudenza in relazione alla diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di lavoratore non avente qualifica dirigenziale. Invece per il dirigente – prosegue il ricorso basta che il recesso non sia ingiustificato (concetto diverso e più sfumato rispetto a quello di giusta causa o giustificato motivo) per escludere il diritto al pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 19 CCNL per dirigenti di aziende industriali.

Il motivo è inammissibile perchè non censura l’altra concorrente ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, che ha rigettato l’appello della società anche per omessa impugnazione dell’ulteriore ed assorbente ratio espressa dalla sentenza di prime cure, secondo la quale l’indennità supplementare ex art. 19 cit. è dovuta anche in ipotesi di ridimensionamento aziendale.

Infatti, allorquando la sentenza di merito si basi su una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione (poco importa se esatta o meno), la parte soccombente ha l’onere di censurare e confutare ognuna di esse con apposite argomentazioni, non potendo il giudice dell’impugnazione estendere il proprio esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (cfr., ex aliis, Cass. nn. 18310/07, 7809/01 e 7675/95).

E’ possibile un’implicita censura d’una ratio decidendi soltanto quando le due o più rationes decidendi siano in rapporto di pregiudizialità logica o giuridica: in siffatta evenienza la specifica impugnazione della ratio pregiudicante contiene per implicito anche la contestazione della ratio pregiudicata, non potendo quest’ultima reggersi da sola una volta che sia stata dimostrata l’inconsistenza della prima.

Ma, a tutta evidenza, non è questo il caso di specie.

Va dunque ribadito il principio secondo cui, ove venga impugnata una sentenza – o un capo di questa – fondata su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura; diversamente, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso la rimozione della sentenza (v. Cass. 25.2.13 n. 4672; cfr. altresì, ex aliis, Cass. 3.11.11 n. 22753 e Cass S U 8.8.2005 n. 16602).

In breve, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto – cosa che, invece, non ha fatto – trascrivere od allegare al proprio ricorso l’atto d’appello evidenziando dove in esso sarebbe stata espressamente censurata anche la ratio decidendi, esposta dal Tribunale, consistente nell’asserito obbligo di pagare l’indennità supplementare ex art. 19 cit. anche quando il licenziamento sia stato motivato da un ridimensionamento aziendale.

Quanto al dedotto vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, basti notare che la censura non è idonea a segnalare un vizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalla novella contenuta nel D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che si tratti d’un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, mentre nel caso di specie in sostanza si censura (peraltro in maniera incompleta, come s’è detto) un’affermazione in punto di diritto.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione delle norme in materia di giustificatezza del licenziamento del dirigente, dell’art. 19 CCNL dirigenti aziende industriali in tema di indennità supplementare, nonchè omesso esame d’un fatto decisivo, per avere la gravata pronuncia asserito che tale indennità spetta indipendentemente dalla qualificazione del licenziamento.

Il motivo è inammissibile perchè non conferente rispetto al tenore della sentenza impugnata, che – come ricordato nel paragrafo che precede – ha disatteso il motivo d’appello relativo all’indennità supplementare per una diversa ragione, ossia perchè non esteso anche all’altra ratio decidendi addotta dal giudice di prime cure.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’accordo sindacale FS/AGENS-FNDAI-ASSIDIFER del 22.10.98, nonchè del’art. 23 CCNL dirigenti aziende industriali, nella parte in cui i giudici di merito hanno confermato la liquidazione dell’indennità supplementare operata dal Tribunale in misura pari alle mensilità dovute per il preavviso e di altre sei mensilità ai sensi dell’accordo sindacale suddetto. Obietta a riguardo la società ricorrente che tale aumento è applicabile solo in favore dei dirigenti licenziati che – diversamente dall’odierno controricorrente – non abbiano maturato il diritto alla pensione d’anzianità.

Il motivo è improcedibile perchè, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass n 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S U 23.9.10 n. 20075; Cass. 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della fonte convenzionale, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. Nè a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), il che nel caso in esame non è avvenuto.

4. Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e omesso esame d’un fatto decisivo nella parte in cui la sentenza impugnata ha automaticamente liquidato secondo equità in favore del controricorrente il risarcimento del danno da demansionamento nonostante che ne mancasse, oltre che il presupposto della presunta dequalificazione professionale (negato sotto più profili dalla società ricorrente, con deduzioni ed eccezioni non esaminate dalla Corte territoriale e anche in relazione alla contestata relazione del CTU), anche l’allegazione, a tal fine non potendosi ritenere il danno in re ipsa.

Il motivo è infondato.

E’ erroneo l’assunto secondo cui, non essendo configurabile un danno in re ipsa (o danno evento) per il solo fatto della dequalificazione professionale, non si potrebbe nemmeno procedere ad una sua liquidazione in via equitativa.

E’ vero, invece, che il danno da demansionamento, ove allegato e in concreto accertato (mediante ogni mezzo di prova e anche attraverso presunzioni, fatti notori o massime di esperienza), ben può essere liquidato secondo equità (cfr., ex aliis, proprio Cass. S.U. n. 6572/06 menzionata in ricorso).

E’ quanto ha fatto la sentenza impugnata, la quale, dopo aver accertato (grazie a documentazione sanitaria e CTU medico-legale) il danno biologico e da dequalificazione professionale in concreto sofferto da P.A., ne ha fornito una motivata liquidazione equitativa in relazione all’età dell’ex dirigente, all’arco temporale del demansionamento e alla sua entità, a tal fine avvalendosi anche delle note tabelle in uso presso il Tribunale di Milano.

Per la liquidazione di tale danno, risarcibile in via necessariamente equitativa, è ammissibile il parametro della retribuzione (cfr.

Cass. n. 12253/15; Cass. n. 7967/02) cui la gravata pronuncia ha fatto ricorso in misura pari al 50% della retribuzione stessa.

Ogni ulteriore censura a riguardo mossa dalla società ricorrente sconfina in valutazioni di merito, in quanto tali precluse in sede di legittimità.

Quanto alla denuncia di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, valgano le considerazioni sopra svolte nel paragrafo che precede sub 1.

5. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e si distraggono in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dell’avv. Luca Pisani, antistatario. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2016

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