Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13596 del 04/07/2016

Cassazione civile sez. lav., 04/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 04/07/2016), n.13596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTOPNIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14808-2011 proposto da:

COMUNE DI TIVOLI, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato

MARCO MARCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA R. LANCIANI 12, presso lo studio

dell’avvocato MARIA GRAZIA MODESTI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4425/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/07/2010 R.G.N. 8929/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato MODESTI MARIA GRAZIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 3 luglio 2010), in riforma della pronuncia di rigetto di primo grado, accoglie la domanda proposta da P.C. nei confronti del Comune di Tivoli, condannando lo stesso Comune al pagamento, in favore della lavoratrice, della complessiva somma di Euro 15.586,61, oltre interessi legali, a titolo di differenze retributive.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) è incontestato che la P. ha lavorato per un anno con contratto di “Lavoro per Pubblica Utilità” per il Comune di Tivoli per la realizzazione del progetto di recupero dell’Anfiteatro (OMISSIS);

b) tale tipo di contratto non può avere durata superiore ad un anno in base al D.Lgs. n. 280 del 1997, art. 1;

c) pertanto, per le prestazioni svolte dopo la suddetta scadenza annuale – oltretutto come impiegata d’ordine presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune e, quindi, anche al di fuori del suddetto progetto – trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione prevista dall’art. 2126 c.c., che si riferisce anche alle Pubbliche Amministrazioni, per consolidata giurisprudenza di legittimità.

2.- Il ricorso del Comune di Tivoli domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, P. C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1.- Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 280 del 1997, art. 1 e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. nonchè dell’art. 2126 c.c..

Si sostiene che il superamento del limite temporale di un anno –

effettuato attraverso proroghe disposte dall’Ente promotore del progetto di Lavoro di Pubblica Utilità (d’ora in poi: LPU) e utilizzatore finale delle prestazioni lavorative rese nell’ambito del progetto medesimo avrebbe dovuto avere come una conseguenza un diverso riparto dell’onere finanziario, come è infatti avvenuto nella specie visto che tale onere è stato sopportato per intero dal Comune di Tivoli.

1.2.- Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e inesistente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ad avviso del Comune ricorrente la Corte d’appello avrebbe errato nel decidere la presente controversia uniformandosi a Cass. 11 maggio 2009, n. 10759, in quanto, nella specie, la lavoratrice avrebbe sempre sostenuto soltanto di essere stata impiegata, per effetto delle proroghe, in servizi e per orari diversi da quelli previsti nel Progetto LPU, ma lo avrebbe mai provato, come era suo onere, date le contestazioni del Comune sul punto.

2 – esame delle censure.

2.- L’istituto dell’assegnazione ai lavori di pubblica utilità (LPU) ovvero ai lavori socialmente utili (LSU) rappresenta, secondo la dottrina e la giurisprudenza, uno strumento innovativo per fronteggiare la disoccupazione, soprattutto giovanile Esso nasce con una connotazione marcatamente previdenziale-assistenziale ed ha ad oggetto, secondo la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 468 del 1997, poi modificata dal D.Lgs. n. 81 del 2000, l’esecuzione di progetti attuati da enti pubblici (oltre che da soggetti privati e società miste) attraverso il coinvolgimento di soggetti privi di occupazione, ai quali viene riconosciuto un emolumento, prima denominato “sussidio”, che evoca la matrice assistenziale dell’istituto, e poi “assegno”, che mostra invece l’evoluzione verso una forma di tirocinio/praticantato.

Come più volte affermato da questa Corte, l’occupazione temporanea nei suddetti lavori non può qualificarsi quale rapporto di lavoro subordinato (vedi, per tutte: Cass. 21 ottobre 2014, n. 22287; Cass. SU 26 novembre 2004 n. 22276; Cass. SU 22 febbraio 2005, n. 3508;

Cass. SU 30 maggio 2005 n. 11346), essendo siffatta natura esplicitamente esclusa dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, poi riprodotto, negli stessi termini, dal D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, i quali prevedono che l’utilizzazione dei lavoratori in questione “non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro”.

Trattasi viceversa di un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (il lavoratore, l’amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione, l’ente previdenziale erogatore dell’emolumento), avente, oltre alla matrice essenzialmente assistenziale sopra evidenziata, una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale in questione per una futura ricollocazione dello stesso.

3.- Peraltro, secondo il costante e condiviso orientamento di questa Corte, la natura previdenziale del rapporto dei suddetti lavoratori non osta alla applicabilità della regola dettata dall’art. 2126 c.c., per quella parte del lavoro che si discosti per contenuto ed orario della prestazione socialmente utile. Se risulta che è stato prestato un diverso e ulteriore lavoro rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile e che tale diverso ed ulteriore lavoro si è svolto in contrasto con norme poste a tutela dei lavoratori.

Nella specie tali circostanze sono state ritenute non controverse e non risultano essere state oggetto di specifiche censure nel ricorso in appello, essendo comunque evidente che le mansioni pacificamente svolte dalla lavoratrice, dopo la scadenza dell’anno, come impiegata d’ordine presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune rispetto non potevano certamente essere considerate rese nell’ambito del progetto di recupero dell’Anfiteatro (OMISSIS), cui si riferiva il contratto LPU, non essendo stato dimostrato il contrario.

4.- Ne consegue che la Corte romana affermando – con congrua e logica motivazione che per le prestazioni come sopra svolte la lavoratrice ex art. 2126 c.c. ha diritto alle differenze retributive – rispetto all’indennità erogatagli – per il lavoro effettivamente prestato dopo l’anno di scadenza del contratto LPU, si è uniformata all’indirizzo espresso da questa Corte secondo cui in tema di occupazione in lavori socialmente utili o di lavori per pubblica utilità, per le prestazioni, che, per contenuto ed orario, si discostino da quella dovuta in base al programma cui si riferisce il contratto per LSU o LPU originario e che vengano rese in contrasto con norme poste a tutela dei lavoratori, trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 c.c., senza che possano nutrirsi dubbi sulla applicabilità di tale disciplina nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, assoggettate al regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass 5 luglio 2012 n. 11248; Cass. 11 maggio 2009 n. 10759; Cass. 21 ottobre 2014, n. 22287; Cass. 20 maggio 2008, n. 12749; Cass. 3 luglio 2003, n. 10551).

3 – Conclusioni.

5.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2016

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