Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13595 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. III, 19/05/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 19/05/2021), n.13595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34498/2018 proposto da:

ASSICURATRICE MILANESE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO, 212, presso lo studio dell’avvocato TIZIANO MARIANI,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO PANNI, ANDREA

SIRENA;

– ricorrente principale –

contro

A. PISCINE DI A. E C. SNC, in persona del legale

rappresentante sig. A.A., rappresentata e difesa

dall’avvocato VITTORIO MINERVINI, e dall’avvocato PASQUALE ACONE, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via Cesi, 21;

– controricorrente –

e contro

C.P., F.F., FI.FA.,

FI.FI., FI.FE., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. CERBARA 94, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA AMORUSO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO PELLIZZARI;

– controricorrenti –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore sig.

Z.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CRISTINA CATALIOTTI;

– controricorrente –

nonchè da:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore sig.

Z.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CRISTINA CATALIOTTI;

– ricorrente incidentale –

contro

C.P., F.F., FI.FA.,

FI.FI., FI.FE., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. CERBARA 94, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA AMORUSO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO PELLIZZARI;

– controricorrenti –

e contro

A. PISCINE DI A. E C. SNC, in persona del legale

rappresentante sig. A.A., rappresentata e difesa

dall’avvocato VITTORIO MINERVINI e dall’avvocato PASQUALE ACONE ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via Cesi, 21;

– controricorrente –

e contro

ASSICURATRICE MILANESE SPA, ALLIANZ SPA,

– intimate –

avverso la sentenza n. 989/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

2/10/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/6/2018 la Corte d’Appello di Brescia – per quanto ancora d’interesse in questa sede, in parziale accoglimento dei gravami interposti dalla società Assicuratrice Milanese s.p.a. – in via principale – nonchè dal Condominio (OMISSIS) e dalla società A. Piscine e C. s.n.c. – in via incidentale – e in conseguente parziale riforma della pronunzia (su giudizi riuniti) Trib. Brescia n. 3538/2012, nel confermare la concorrente pari responsabilità del Condominio e della società A. Piscine e C. s.n.c. nella verificazione del sinistro avvenuto il (OMISSIS), all’esito del quale la minore F.L. decedeva nella piscina condominiale, per essere il “braccio della piccola… rimasto incastrato all’interno di un foro ove vi era la pompa di aspirazione, posta sul fondo della piscina, per il ricambio dell’acqua”, ha escluso la concorrente responsabilità della vittima, dal giudice di prime cure viceversa ravvisata sussistere nella misura del 15%, ritenendo sussistere invece – sempre nella misura del 15% – il concorso di colpa ex art. 1227 c.c., della madre della minore defunta, la sig. C.P..

Ha per il resto confermato la concorrente responsabilità paritaria nel giudizio di 1 grado ascritta al Condominio e alla società A. Piscine s.n.c., appaltatrice dei lavori di manutenzione ordinaria della piscina, e la condanna del Condominio al risarcimento dei danni conseguentemente sofferti dai genitori (sigg. Fi.Fa. e C.P.) e dai fratelli (sig. Fi.Fe., F. e Fi.) della defunta minore, con condanna della società A. Piscine s.n.c. a manlevarlo di somma determinata in considerazione di quanto dalla società Bernese Assicurazioni, assicuratrice per la r.c. di quest’ultima, transattivamente versato ai danneggiati nel corso del giudizio di 1^ grado, e con condanna della società Assicuratrice Milanese s.p.a. a manlevare il Condominio.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Assicuratrice Milanese s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 10 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società A. Piscine e C. s.n.c., i sigg. Fi.Fa. ed altri e il Condominio (OMISSIS), il quale ultimo spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 5 motivi, cui resistono con rispettivo controricorso la società A. Piscine e C. s.n.c. e i sigg. Fi.Fa. ed altri.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione degli artt. 2051,1655 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia violazione degli artt. 2043,2697,1655 c.c., art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia ravvisato la responsabilità del Condominio, pur avendo “riconosciuto la ricorrenza di un vincolo giuridico in virtù del quale il Condominio (OMISSIS) aveva appaltato alla A. la esecuzione periodica di una serie di servizi manutentivi con riferimento alla piscina ove accadde l’evento”, senza invero attribuire “a tale conferimento di obblighi efficacia liberatoria in favore del proprietario rispetto al rischio insito nell’uso della cosa, seppur con riferimento alle conseguenze derivanti a terzi dalla violazione delle prestazioni caratterizzanti tale autonomo rapporto giuridico”.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che nella specie “la A. Piscine, oltre ad essere soggetto altamente specializzato nelle tecniche di manutenzione delle piscine, era altresì il solo ad avere le competenze necessarie per valutare se la grata posta nel punto di contatto esterno tra le tubature dell’impianto di circolazione/filtrazione e la vasca dovesse essere e fosse stabilmente assicurata, essendo in caso contrario gravata dell’onere di renderla fissa ovvero… di avvisare di tale necessità l’Amministratore del Condominio”; e che l'”esistenza del contratto di appalto libera il committente delle conseguenze dipendenti dall’obbligo custodiale, come riflesso del persistente potere di fatto sulla cosa, con riferimento alle opere ed ai servizi appaltati che l’appaltatore dichiara di avere effettuato e che il committente può legittimamente ritenere, sulla base delle regole dell’apparenza e dell’affidamento, essere state correttamente adempiute. Con la conseguenza che dei danni arrecati a terzi dalla cosa che dipendano dalla negligente esecuzione del contratto di appalto deve rispondere unicamente l’appaltatore e non il proprietario”.

Si duole non essersi dalla corte di merito altresì considerato che, avendo “il Condominio… affidato ad A. Piscine il compito di eseguire le opere di ordinaria manutenzione della piscina”, ed avendo “potuto verificare che A. Piscine aveva eseguito delle obbligazioni inerenti detto contratto e, in particolare, la esecuzione del completo svuotamento della vasca e l’ispezione dell’impianto di circolazione/filtrazione”, legittimamente il medesimo poteva nel caso invero “confidare sulla sicurezza dell’impianto, vuoi perchè le opere manutentive erano assegnate ad un soggetto qualificato ed esperto del settore, vuoi perchè il Condominio non aveva la capacità tecnica per valutare, ed eventualmente censurare, la condotta di A., vuoi infine perchè il Condominio neppure disponeva ex ante di elementi che potessero instillare il dubbio di una inadeguatezza/difformità delle prestazioni rese rispetto a quelle contrattualmente esigibili”.

Lamenta non essersi nemmeno considerato che il Condominio comunque “non era a conoscenza che la grata fosse amovibile”, essendo “l’amministratore del Condominio… rimasto totalmente ignaro della situazione di pericolo”.

Lamenta, ancora, l’erroneità dell’impugnata sentenza atteso che, “come si legge nella nota emessa in data 11 ottobre 2005 a consuntivo dei lavori eseguiti nel corso della stagione estiva di tale anno, in data (OMISSIS) aveva provveduto allo “… asporto e pulizia copertura invernale, svuotamento vasca e pulizia… pavimento””, sicchè, “una volta che l’appaltante abbia appurato che l’appaltatore ha adempiuto al contratto di appalto, eseguendo le prestazioni previste e dovute, il primo non può rispondere verso terzi ex art. 2051 c.c., quando l’evento rappresenti la conseguenza di un difettoso adempimento di detto contratto esclusivamente imputabile al secondo”, in quanto l'”esistenza del contratto di appalto libera il committente dalle conseguenze dipendenti dall’obbligo custodiale, come riflesso del persistente potere di fatto sulla cosa, con riferimento alle opere ed ai servizi appaltati che l’appaltatore dichiara di avere effettuato e che il committente può legittimamente ritenere, sulla base delle regole dell’apparenza e dell’affidamento, essere state correttamente adempiute. Con la conseguenza che dei danni arrecati a terzi dalla cosa che dipendano dalla negligente esecuzione del contratto di appalto deve rispondere unicamente l’appaltatore e non il proprietario”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che nel ritenere la sussistenza di una concorrente responsabilità, “per colpa in capo ad A. Piscine” e “oggettiva in capo al Condominio”, la stessa è stata erroneamente ritenuta “paritaria”, laddove nella specie s’impone “una differente modulazione del grado interno di responsabilità tra i coobbligati solidali”, con “conseguente attribuzione delle conseguenze dell’evento, nei rapporti interni tra coobbligati, in via esclusiva o quanto meno prevalente in capo alla A. Piscine”.

Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 2043,2051,1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunzia violazione degli artt. 40,41 c.p., art. 1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che l'”uso anomalo… della piscina da parte (di) F.L.” è stato nel caso “tale da assorbire integralmente il nesso di causalità con l’evento, correlativamente esentando da responsabilità il proprietario”, dovendo ritenersi come “abnorme”, e pertanto integrante il fortuito, il comportamento della vittima, la quale “”intraprese un gioco connotato da massima pericolosità e, disinteressandosi totalmente degli avvertimenti verbali ricevuti dal genitore e dall’amica, pose in essere un’azione di estrema imprudenza pienamente consapevole di star contravvenendo ai precetti di ordinaria diligenza”.

Lamenta che erroneamente la corte di merito ha “escluso rilevanza nella causazione dell’evento alla condotta di F.L., ancorchè di minore età”, attesa la “configurabilità del concorso colposo del soggetto danneggiato, se anche incapace di intendere e di volere”.

Con il 5 motivo denunzia violazione dell’art. 1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 6 motivo denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia liquidato il danno non patrimoniale in favore dei genitori e dei fratelli della minore deceduta applicando l’importo più elevato della Tabella di Milano, “valorizzando la sola circostanza che L. fosse la “piccola di casa”, la quale può certo valere quale presunzione semplice in punto di an del diritto, ma non autorizza – in ordine al quantum – la liquidazione nella misura massima a favore dei congiunti, in assenza di ulteriori elementi volti a dimostrare l’intensità del legame affettivo che univa ciascuno di loro a L. e l’afflizione conseguita alla sua scomparsa”.

Lamenta che la corte di merito ha liquidato il danno non patrimoniale “in misura superiore ai massimi”, (anche) in favore della madre e del fratello F., pur avendo i medesimi “assistito all’intera evoluzione dinamica dell’incidente” senza aver fatto “nulla… per prevenirlo e quindi per evitarlo”.

Con il 7 motivo denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente imputato le “somme ricevute in corso di causa” dai familiari “a ristoro del pregiudizio e loro versate da Bernese Assicurazioni”, assicuratrice per la r.c. della società A. Piscine e C. s.n.c., all’esito di stipulata transazione, “suddividendo proporzionalmente la somma pagata in base al petitum”, in applicazione analogica dell’art. 1193 c.c., comma 2, laddove tale norma “non è applicabile – neppure analogicamente – al danno da responsabilità aquiliana”, e “al debitore non liberato si sarebbe potuta imputare esclusivamente la minor somma dell’importo percetto dai danneggiati”.

Con l’8 motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia omesso di pronunziare in ordine alla sollevata eccezione di inapplicabilità della garanzia assicurativa, applicandosi essa solamente agli impianti con personale qualificato, non sussistente nella specie, in assenza del bagnino.

Con il 9 motivo denunzia violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerata la “non indennizzabilità del danno in applicazione delle condizioni speciali riportate all’allegato B della polizza”.

Lamenta che con “motivazione risibile ed illegittima” nonchè “tautologica” sia stata dalla corte di merito rigettata l’eccezione al riguardo da essa in sede di gravame sollevata in ordine alla mancata copertura da parte della polizza assicurativa dei danni subiti dai condomini, non avendo pertanto la corte di merito “preso alcuna posizione” sui formulati rilievi, in violazione altresì “in particolare dell’art. 1362 c.c., non avendo indagato nè sull’esegesi del testo e tanto meno sulla reale intenzione delle parti, finendo per attribuire al chiaro tenore della clausola pattizia una portata eccedente i limiti letterali e invertendo il senso logico delle espressioni e dello stesso precetto contrattuale”.

Con il 10 motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., D.M. n. 55 del 2014, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia immotivatamente applicato la maggiorazione del 20% per ogni parte assistita D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, comma 2, laddove l'”esercizio di un potere discrezionale non sfugge all’obbligo motivazionale”.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione degli artt. 2051,1655 c.c., art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che “continuasse a conservare integralmente l’obbligo di custodia sulla cosa”, pur avendo stipulato con la società A. Piscine un “contratto di appalto di servizi di manutenzione continuativa della piscina”.

Lamenta che “non disponeva delle conoscenze tecniche per verificare l’operato dell’appaltatore e non era stato messo a conoscenza della amovibilità della grata o, comunque, della pericolosità della stessa, in quanto collocata a protezione dello sbocco di una potente pompa di aspirazione (fatto di cui, al contrario, A. Piscine era perfettamente a conoscenza)”, sicchè “non poteva essere in grado di adempiere ai propri obblighi di custodia e porre in essere i comportamenti atti ad evitare quanto avvenuto”.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che “ad A. Piscine erano affidate…, oltre alla pulizia, tutte le operazioni di controllo del corretto funzionamento degli impianti della piscina: quelle preliminari di apertura, di manutenzione periodica nel periodo estivo e di chiusura stagione”; e che “se nel corso dell’ispezione effettuata nel (OMISSIS) e nel corso della manutenzione del (OMISSIS), A. Piscine avesse avuto l’accortezza di ancorare al fondo della piscina la grata di protezione del bocchettone di aspirazione tramite supporti fissi, con alta probabilità l’evento dannoso non si sarebbe verificato, in quanto la povera F.L. difficilmente sarebbe stata in grado di porre in essere quei comportamenti che avrebbero portato poi alla sua morte”, sicchè l'”obbligo di tenere la condotta omessa, ossia di riparare la grata o segnalarne la pericolosità sussisteva in capo ad A. Piscine”.

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2051 c.c., art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 40,41 c.p., art. 1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia omesso di pronunziarsi in ordine all’eccepito comportamento abnorme della vittima integrante il fortuito.

Lamenta non essersi considerato che il comportamento della medesima non era prevedibile nè evitabile.

Si duole essersi dalla corte di merito erroneamente esclusa la rilevanza della condotta della defunta L., ancorchè di minore età, nella causazione dell’evento, unitamente al “concorso della madre, C.P.”.

Lamenta che il “danno ingiusto derivato alla povera F.L. non è dipeso da una condotta o omissione di Condominio (OMISSIS), ma è dipeso, in realtà, da una condotta omissiva colposa del soggetto preposto a occuparsi della manutenzione e controllo della piscina e dei suoi impianti ossia A. Piscine, in violazione al principio di neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.”, sicchè erroneamente la corte di merito ha nella specie addebitato “al Condominio (OMISSIS) una responsabilità paritaria e concorrente con quella della ditta A. Piscine… in un contesto in cui la vigilanza ed il controllo del bene – solo teoricamente nella custodia del Condominio – era di fatto in capo ad un terzo, ossia alla ditta appaltatrice incaricata della gestione, manutenzione e controllo degli impianti”, dovendo pertanto “essere comunque ridotta la percentuale di responsabilità” attribuitagli.

Con il 4 motivo denunzia violazione dell’art. 1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia immotivatamente liquidato il danno non patrimoniale in favore dei genitori e dei fratelli applicando l’importo più elevato della Tabella di Milano, laddove “nessuna allegazione è stata data dai danneggiati atta a fornire prova di uno sconvolgimento dei rapporti familiari cagionati dalla prematura scomparsa di L.”.

Con il 5 motivo denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente liquidato alla C. e al F.F. somma “oltre i massimi tabellari, a seguito della personalizzazione applicata”, atteso che nessuna “allegazione è stata fornita dai danneggiati in ordine alle sofferenze patite e ai cambiamenti dello stile di vita”, e che “la fattispecie non integra gli estremi di un fatto doloso, ma di illecito civile colposo”.

I motivi dei ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Con particolare riferimento ai primi 4 motivi del ricorso principale e ai primi 3 motivi del ricorso incidentale, va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare custodi sono tutti i soggetti – pubblici o privati – che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva: v. Cass., 3 giugno 1976, n. 1992) della cosa (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 20/10/2005, n. 20317), in ragione della relativa disponibilità ed effettiva possibilità di controllo (cfr. Cass., 7/7/2010, n. 16029; Cass., 10/2/2003, n. 1948), cui fanno riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza, in base ai quali sono tenuti ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto (cfr., da ultimo, con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 5/5/2020, n. 8466; Cass., 5/9/2019, n. 22163; Cass., 12/3/2019, n. 7005).

Custodi sono i proprietari, il possessore, il concessionario, il detentore, quest’ultimo in particolare ritraendo il proprio potere sulla cosa esclusivamente da un titolo, come ad es. i conduttori di immobile in locazione (cfr. Cass., 5/5/2020, n. 8466; Cass., 18/09/2014, n. 19657; Cass., 27/7/2011, n. 16422) e l’appaltatore (con riferimento all’appalto da parte del Condominio del servizio di manutenzione, continuativo e periodico di cose, v. già Cass., 30/5/1996, n. 5007. Con riferimento all’appalto da parte del Condominio, cfr. Cass., 16/10/2008, n. 25251, Cfr. altresì, con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 12/10/2018, n. 25373; Cass., 14/5/2018, n. 11671; Cass., 22/1/2015, n. 1146; Cass., 25/6/2013, n. 15882; Cass., 23/7/2012, n. 12811; Cass., 18/7/2011, n. 15734; Cass., 9/7/2009, n. 16126; Cass., 16/5/2008, n. 12425; Cass., 6/10/2005, n. 19474).

La responsabilità da custodia è configurabile pure in capo al Condominio, obbligato ad adottare tutte la misure necessarie affinchè le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e pertanto responsabile dei danni originati da parti comuni dell’edificio e dagli accessori e pertinenze, ivi ricompresa (anche) la piscina condominiale (v. Cass., 26/11/2019, n. 30729; Cass., 17/7/2019, n. 19188; Cass., 27/10/2015, n. 21788; Cass., 14/8/2014, n. 17983; Cass., 27/7/2011, n. 16422; Cass. n. 6376 del 2006; Cass. n. 642 del 2003; Cass. n. 15131 del 2001; Cass. n. 7727 del 2000), e subiti da terzi estranei nonchè dagli stessi singoli condomini (v. Cass. n. 6849 del 2001; Cass. n. 643 del 2003).

Il Condominio, quale centro di imputazioni giuridiche destinatario di disposizioni normative attribuenti al medesimo la titolarità in via autonoma di specifiche posizioni giuridiche (es., l’art. 1129 c.c., comma 7, che prevede l’obbligo per l’amministratore di far transitare le somme ricevute a qualsiasi titolo dai condomini o da terzi in un conto corrente, postale o bancario, intestato al Condominio; l’art. 1129 c.c., comma 12, n. 4 (nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 220 del 2012, art. 9) che impone all’amministratore di tenere distinta la gestione del patrimonio del condominio e il patrimonio personale suo o di altri condomini; l’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4 (come sostituito della citata L. n. 220 del 2012, art. 13) che prevede l’obbligo di costituzione di un fondo speciale del Condominio; l’art. 2659 c.c., comma 1 (come riformulato dalla L. n. 220 del 2012, art. 17) contemplante l’obbligo di indicazione dell’eventuale denominazione, ubicazione e codice fiscale del Condominio in caso di richiesta di trascrizione di atti inter vivos) è invero senz’altro un autonomo soggetto di diritto, distinto dagli associati.

Che si qualifichi o meno persona giuridica (v. in particolare Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663, e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 18/4/2019, n. 10934), il Condominio ha un proprio patrimonio -costituito dal fondo comunele una propria capacità sostanziale (negoziale ed extranegoziale) e processuale (v. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663. In termini generali, con riferimento alle associazioni non riconosciute, cfr. altresì, già Cass., 16/11/1976, n. 4552; Cass., 3/7/1959, n. 2119).

A tale stregua, ricorrendone le condizioni di legge il Condominio risponde autonomamente (anche) quale custode ex art. 2051 c.c. (cfr., con riferimento al lastrico solare, per la responsabilità del titolare dell’uso esclusivo del medesimo ex art. 2051 c.c., che si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso ove il medesimo non sia sottoposto alla necessaria manutenzione e quella concorrente del Condominio ai sensi dell’art. 1130 c.c., comma 1, n. 4 e art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, per la violazione dell’obbligo di porre in essere gli atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell’edificio, Cass., Sez. Un., 10/5/2016, n. 9449, e, conformemente, Cass., 7/2/2017, n. 3239. V. altresì Cass., 14/8/2014, n. 17983; Cass., 17/1/2003, n. 642; Cass., 21/2/2006, n. 3676), in persona dell’amministratore (cfr., da ultimo, Cass., 29/1/2021, n. 2127; Cass., 28/3/2019, n. 8695).

L’amministratore di Condominio, titolare – come sottolineato anche in dottrina – di un ufficio di diritto privato, esercita poteri direttamente conferitigli sia dalla legge (cfr. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663. Cfr. altresì Cass., 25/5/2016, n. 10865; Cass., 8/3/2017, n. 5832, e, da ultimo, Cass., 29/1/2021, n. 2127, ove si pone in rilievo che è dall’art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, attribuito all’amministratore di Condominio il potere – dovere di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, con conseguente attribuzione al medesimo della correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex art. 1131 c.p.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa o consequenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni) che dal mandato collettivo dei condomini (v. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663. Cfr. altresì Cass., 14/8/2014, n. 17983; Cass., 8/3/2017, n. 5833, e, da ultimo, Cass., 8/6/2020, n. 10846), e ha il compito di provvedere non solo alla gestione e al controllo delle cose comuni ma anche alla relativa custodia (cfr., da ultimo, Cass., 4/2/2021, n. 2623), col conseguente obbligo di vigilare affinchè le stesse non rechino danni a terzi o agli stessi condomini (v. Cass., 16/10/2008, n. 25221).

Potere-dovere che si estende anche alla piscina che come nella specie sia pertinenza condominiale (cfr., da ultimo, Cass., 17/07/2019, n. 19188) la cui gestione soddisfa esigenze collettive della comunità condominiale (cfr. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663; Cass., n. 9213/2005), il relativo funzionamento rispondendo a un interesse solo mediatamente individuale (cfr., Cass., 5/7/2017, n. 16608. Cfr. altresì, con riferimento alla responsabilità penale – quale titolare di una posizione di garanzia avente fonte in una disposizione normativa o in una posizione di fatto – del legale rappresentante del gestore di una piscina di albergo cfr. Cass. pen., 24/4/2013, n. 18569; in ordine alla responsabilità penale del legale rappresentante del gestore di una piscina di un villaggio turistico cfr. Cass. pen., 3/12/2008, n. 45006; relativamente alla piscina di un ristorante cfr. Cass. pen., 17/6/2009, n. 25437; per la responsabilità penale dell'”assistente bagnanti” dell’impianto sportivo cfr. Cass. pen., 4/6/2013, n. 24165, nonchè, da ultimo, Cass. pen. 5/2/2020, n. 4890 e Cass., pen., 7/5/2020, n. 13848).

L’obbligo di custodia del Condominio e i corrispondenti poteri dell’amministratore non vengono meno nemmeno allorquando siano appaltati a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell’edificio condominiale, di norma ricorrendo in tal caso l’ipotesi della concustodia (cfr. Cass., 30/6/2015, n. 13363; Cass., 30/4/2010, n. 10605; Cass., 10/2/2003, n. 1948, ove si pone in rilievo che la disponibilità della cosa e il potere di relativa utilizzatore e controllo non vengono in tal caso necessariamente trasferiti in capo all’appaltatore, risultando invero tale evenienza, da escludersi in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti o per la natura del rapporto ovvero per la situazione in concreto determinatasi, chi ha l’effettivo potere di ingerenza e gestione e intervento sulla cosa, nel conferire il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia), sicchè il Condominio e l’amministratore sono responsabili del danno alla persona patito da uno dei condomini o da un terzo derivante dalla cosa in custodia anche laddove trattisi di insidia creata dall’impresa appaltatrice (es., dei lavori di manutenzione della cosa condominiale: v., con riferimento a buca nel cortile condominiale, Cass., 16/10/2008, n. 25221, Cfr. altresì Cass., 18/7/2011, n. 15734), sempre che l’assemblea non ne affidi in tal caso ad altri la custodia (o la concustodia) (cfr. Cass., 12/10/2018, n. 25373; Cass., 28/10/2009, n. 22807. Cfr. altresì Cass. pen., 17/9/2004, n. 36728) ovvero che l’appaltatore non risulti posto in condizione di esclusivo custode (cfr. Cass., 14/5/2018, n. 11671; Cass., 9/7/2009, n. 16126; Cass., 26/9/2006, n. 20825. E già Cass., 7/9/1977, n. 3906, Cfr. altresì, in termini generali, Cass., 4/2/2021, n. 2623; Cass., 13/5/2020, n. 8888; Cass., 29/9/2017, n. 22839; Cass., 17/6/2013, n. 15096; Cass., 20/11/2009, n. 24530), nel qual caso dell’eventuale danno a terzi (e ai condomini) è solo quest’ultimo a rispondere (cfr., con riferimento a danni causati nella materiale costruzione dell’opera pubblica, Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16963; Cass., 17/1/2012, n. 538; Cass., 20/9/2011, n. 19132).

Al riguardo, l’indagine costituisce invero accertamento di fatto, riservato al giudice di merito (v. Cass., 10/2/2003, n. 1948).

A tale stregua, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia o di sue pertinenze invocando la responsabilità del custode è tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto (v. già Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacchè la prova del danno è di per sè indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

L’art. 2051 c.c., contempla invero un’ipotesi di responsabilità che, facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli art. 2043 e 2697 c.c., è caratterizzata dall’inversione dell’onere della prova, risultando imposto al custode, al fine di liberarsi dalla responsabilità dalla legge posta presuntivamente a suo carico, l’onere di dare la prova del fortuito (cfr. Cass., 27/6/2016, n. 13222; Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 24/3/2016, n. 5877).

Non spetta pertanto al danneggiato dare la prova dell’insidia o del trabocchetto (v. già Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 14/3/2006, n. 5445), incombendo viceversa al custode dare la c.d. prova liberatoria del fortuito, dimostrando cioè che il danno si è verificato in modo non prevedibile nè superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso, pur avendo adottato tutte le misure idonee a prevenire ed impedire che la cosa presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto produttiva di danno a terzi, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto (v. già Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 11/3/2006, n. 5445, e, conformemente, Cass., 20/2/2009, n. 4234).

Siffatta inversione dell’onere probatorio è senz’altro di particolare pregnanza, incidendo indubbiamente sulla posizione processuale e sostanziale delle parti, risultando dal legislatore agevolata la posizione del danneggiato e aggravata quella del danneggiante (v. Cass., 10/10/2008, n. 25029; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E già Cass., 14/3/1983, n. 1897).

Atteso che il custode presunto responsabile può, in presenza di condotta che valga ad integrare la fattispecie ex art. 1227 c.c., comma 1, dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato, senz’altro configurabile anche nei casi di responsabilità presunta ex art. 2051 c.c., del custode (v. Cass., 22/3/2011, n. 6529; Cass., 8/8/2007, n. 17377; Cass., 20/2/2006, n. 3651, nonchè, da ultimo, Cass., 5/5/2020, n. 8466; Cass., 10/6/2020, n. 11096; Cass., 12/5/2020, n. 8811), ai fini della prova liberatoria è invero necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della medesima, solamente in quest’ultima ipotesi potendo invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi (cfr., con riferimento a differente ipotesi, Cass., 24/2/2011, n. 4495. Cfr. Altresì Cass., 12/4/2013, n. 8935; Cass., 12/3/2013, n. 6101; Cass., 18/10/2011, n. 21508; Cass., 6/6/2008, n. 15042; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

La valutazione del rapporto tra la colpa del danneggiante e quella del danneggiato ai fini della determinazione della misura del concorso di colpa ex art. 1227 c.c., comma 1, ai fini della liquidazione del risarcimento costituisce invero accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (cfr. già Cass., 10/4/1951, n. 832).

Sotto altro profilo, questa Corte ha avuto più volte modo di porre in rilevo che, ove nell’espletamento della propria attività si avvalga dell’opera di terzi – ancorchè non alle sue dipendenze, il committente (o il preponente) accetta il rischio connaturato alla relativa utilizzazione nell’attuazione della propria obbligazione, e risponde pertanto direttamente di tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costoro, sulla base di un nesso di occasionalità necessaria, siano state rese possibili in conseguenza della posizione conferita nell’adempimento dell’obbligazione medesima rispetto al danneggiato e che integrano il “rischio specifico” assunto dal debitore, fondandosi tale responsabilità sul principio cuius commoda eius et incommoda (cfr., con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 12/5/2020, n. 8811; Cass., 14/2/2019, n. 4298; Cass., 22/11/2018, n. 30161; Cass., 12/10/2018, n. 25273; Cass., 6/6/2014, n. 12833; Cass., 13/4/2007, n. 8826).

E’ fatto peraltro salvo, nei rapporti interni, il diritto di rivalsa (cfr. Cass., 24/4/2019, n. 11194; Cass., 25/9/2012, n. 16254; Cass., 17/1/2012, n. 538. Cfr. altresì, Cass., 11/11/2019, n. 28987).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

E’ rimasto nel caso accertato che la minore F.L., di (OMISSIS) anni, il (OMISSIS) è deceduta per annegamento durante un bagno nella piscina condominiale, essendo il suo braccio rimasto incastrato all’interno del foro ove vi era la pompa di aspirazione per il ricambio dell’acqua, posta sul fondo della piscina, che l’ha risucchiato, imprigionandola sott’acqua.

Riformando sul punto la sentenza del giudice di prime cure, la corte di merito ha escluso la configurabilità nella specie di un concorso di colpa della minore, che “sapeva nuotare molto bene” e che, “confidando nella sua capacità di nuotatrice”, nonchè “in base alla maturità della età”, ha “ritenuto di compiere un gioco non pericoloso” consistente “nell’immergersi a rimuovere la grata per portarla a galla e poi reimmergersi per posizionare la grata nuovamente sul fondo”.

La corte di merito ha escluso che la minore avesse “alcuna consapevolezza sul fatto che al di sotto della grata vi fosse la potente pompa aspiratrice”, circostanza invero “ignota ai condomini non essendovi alcun idoneo segnale di avvertimento del pericolo”, sottolineando come “il fatale evento” nella specie non sia “riconducibile ad una scarsa attitudine al nuoto” ma risulti essere stato cagionato da “un’insidia sconosciuta: ossia la potente aspirazione che si trovava al di sotto della grata e che le ha risucchiato il braccio impedendo a lei e ai suoi soccorritori di estrarla per tempo dall’acqua”.

Nel premettere che “il Condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinchè le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati ad un Condomino o ad un terzo”; e nel sottolineare la sussistenza dell'”obbligo, in capo al Condominio, di vigilare e mantenere un bene comune in stato da non recare danni ad altri condomini o a terzi estranei”, la corte di merito ha ravvisato la responsabilità nel caso del Condominio in ragione della mancata “messa in sicurezza della piscina condominiale”, deponente “per una connotazione di imprudenza e negligenza, e pertanto di colpa, della condotta nel caso mantenuta dal Condominio da cui è conseguito il tragico evento dannoso, il quale in presenza viceversa di condotta diligente estrinsecantesi nella realizzazione della dovuta messa in sicurezza non si sarebbe invero verificato”.

Non ritenendo nella specie fornita la prova dell’attribuzione della custodia in via esclusiva della piscina all’appaltatore dei servizi di pulizia e manutenzione, tale circostanza ravvisando anzi esclusa in ragione delle concrete modalità di relativa fruizione e godimento; ed accertata, per altro verso, la conoscenza da parte del Condominio e dell’amministratore della situazione di pericolo in cui versava la piscina de qua, e l’ignoranza viceversa della stessa in capo ai condomini, e alla madre della minore deceduta in particolare (relativamente alla quale ha posto invero in rilievo non risultare nemmeno che avesse effettivamente la qualità di condomina), la corte di merito ha nell’impugnata sentenza ascritto la verificazione del sinistro in argomento alla “pari responsabilità” del “Condominio” e della “ditta manutentrice” della piscina, sottolineando, da un canto, come “il supervisore della A. ( S.A. sapesse “che la grata era amovibile e che sotto la medesima era posta la valvola di aspirazione il cui effetto (gravissimo) è stato quello di risucchiare il braccio di L. imprigionandola sott’acqua e causandone l’annegamento”; e, per altro verso, che il predetto avesse in precedenza “manifestato all’amministratore del Condominio che la piscina necessitava di ristrutturazione essendo vecchia di 40 anni”.

Ne ha quindi tratto, quale corollario, non solo che la società appaltatrice fosse ben a conoscenza dell'”assenza della dovuta sicurezza dell’impianto”, ma anche che tale “carenza” fosse “certamente ben nota anche all’amministratore di Condominio”, e che quest’ultimo “non ha (con grave negligenza) portato all’attenzione dei condomini neppure in sede dell’ultima assemblea condominiale tenutasi pochi giorni prima del tragico evento”.

Nel sottolineare che l'”amovibilità della grata era ignota ai condomini non essendovi alcun idoneo segnale di avvertimento del pericolo”, e che dall'”istruttoria è emerso con chiarezza che alcuno dei condomini era a conoscenza delle predette due circostanze: amovibilità grata e forza di aspirazione a questa sottostante”, la corte di merito è quindi pervenuta a ravvisare la “responsabilità della ditta appaltatrice ex art. 2043 c.c., per l’omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedire l’uso anomalo della grata, nonchè la responsabilità del Condominio ex art. 2051 c.c., per l’omessa vigilanza e custodia, cui lo stesso è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura, nonchè per l’avere omesso un qualsiasi avvertimento circa la presenza del grave pericolo”.

Nell’escludere la configurabilità di “alcuna responsabilità” in capo al fratello della vittima, la corte di merito ha ritenuto nella specie configurabile viceversa il concorso di colpa della madre della defunta minore, giacchè pur se “non… consapevole nè della amovibilità della grata e neppure della presenza della forza di aspirazione presente al di sotto di questa”, e benchè fosse “seduta a bordo piscina a vigilare sulla figlia” e si sia “prontamente nel tentativo di soccorrere la figlia”, la medesima invero ben “sapeva che la figlia si immergeva sino a toccare la grata, tanto è che la stessa… ammette di averla sgridata qualche giorno prima, ammonendola di non immergersi sino a toccare il fondo vasca per toccare la grata”, al riguardo correttamente concludendo che “per evitare il nefasto evento (stante il repentino succedersi dei tragici fatti) l’unica alternativa sarebbe stata quella di impedire a L. di fare il bagno”.

Avuto in particolare riferimento ai primi 4 motivi sia del ricorso principale che del ricorso incidentale, non può d’altro canto sottacersi che, a fronte dell’accertata risalente consapevolezza in capo non solo all’appaltatore ma anche all’amministratore del Condominio della situazione di pericolo in cui versava la piscina de qua (in merito alla quale l’odierno ricorrente in via incidentale prospetta invero un’inammissibile rivalutazione delle emergenze processuali, e della prova testimoniale in particolare, la censura risultando altresì formulata in violazione del requisito a pena d’inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la circostanza dedotta dagli odierni ricorrenti – in via principale ed incidentale – circa l’effettuazione già in precedenza da parte degli utenti della piscina del gioco pericoloso posto in essere dalla minore e risultato nel caso per la medesima esiziale ridonda invero non già a carico della stessa bensì in termini di maggiore gravità della condotta nella specie mantenuta dall’amministratore e dall’appaltatore, per non aver essi – tempestivamente intrapreso – esercitando i rispettivi poteri – le necessarie ed opportune iniziative volte ad ovviarvi (essendo rimasto nell’impugnata sentenza accertato che non fosse stato apposto in loco nemmeno “alcun segnale di pericolo”), disponendo se del caso financo la chiusura (quantomeno pro tempore) dell’impianto; e per non avere nemmeno provveduto ad assicurare l’indefettibilmente necessaria presenza in loco di personale specializzato, ai fini della sorveglianza (anche) in ordine alla corretta e sicura utilizzazione della piscina, a fortiori in presenza di un asserito pregresso uso “abusivo” della piscina da parte degli stessi condomini e di terzi, la relativa tolleranza non valendo invero ad escludere, o anche solo attenuare, la responsabilità del titolare del potere di controllo e gestione della cosa (cfr. Cass., 28/10/2009, n. 22807).

Avuto in particolare riguardo al 5 e al 6 motivo del ricorso principale, nonchè al 4 e al 5 motivo del ricorso incidentale, va ulteriormente posto in rilievo che la valutazione del quantum risarcitorio nella specie liquidato in favore della madre e del fratello presente al momento del tragico evento della defunta minore risulta dalla corte di merito motivatamente e correttamente ancorata agli indici da questa Corte più volte indicati come da prendere in proposito in considerazione.

Nell’impugnata sentenza risulta infatti dalla corte di merito in particolare evidenziata, da un canto, la peculiare sofferenza ai medesimi conseguita per la perdita della – rispettivamente – figlia e sorella in ragione della particolare intensità del rapporto familiare nella specie “spezzato”, infondata appalesandosi la censura al riguardo mossa dalla ricorrente in via principale, atteso che diversamente da quanto dalla medesima sostenuto la peculiare intensità del rapporto familiare nel caso concreto dai giudici di merito ravvisata (di cui il criticamente evocato riferimento alla “circostanza che L. fosse “la piccola di casa” costituisce invero mero e sintomatico indice) correttamente è stata dai giudici di merito considerata quale criterio da valorizzarsi ai fini della determinazione del quantum risarcitorio (cfr. Cass., 11/11/2019, n. 28989; Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 6/5/2015, n. 9008; Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 21/4/2011, n. 9238).

Per altro verso, correttamente la corte di merito ha valorizzato la particolare gravità e la grande sofferenza ai medesimi derivata dalle modalità del fatto, per avere assistito – impotenti – all’intero svolgersi della vicenda fino al suo tragico epilogo, vani essendo risultati tutti i disperati tentativi fatti in particolare dalla madre di salvare la vita della figlia, non essendo riuscita a liberarle il braccio incastrato nel bocchettone della pompa di aspirazione sul fondo della piscina.

Nè, d’altro canto, risultano dagli odierni ricorrenti – in via principale ed incidentale – provate, e invero nemmeno allegate, circostanze e situazioni per converso compromettenti l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (cfr. Cass., 13/6/2017, n. 14655; Cass., 17/4/2013, n. 9231), nonchè la profonda alterazione del complesso assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia (cfr. Cass., 14/1/2014, n. 531. Cfr. altresì Cass., 21/8/2020, n. 17544) dai giudici di merito evidentemente ravvisata esserne conseguita per tutti i congiunti, e per la madre e il fratello presenti al tragico evento in particolare.

Non può sotto altro profilo sottacersi (avuto in particolare riferimento al 9 e al 10 motivo del ricorso principale, nonchè ai motivi del ricorso incidentale) come, al di là della formale intestazione dei motivi, nel censurare (altresì in violazione del requisito a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, là dove fanno rispettivamente riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”allegato B della polizza”, alla “polizza”, all'”art. 10 delle condizioni di polizza”, al contratto di manutenzione della piscina, la ricorrente in via principale; all’art. 9 delle condizioni di polizza”; all'”ispezione effettuata nel 2005″; alla “manutenzione del 2006″ da parte di A. Piscine; a parte delle dichiarazioni del teste S.; all'”allegazione… fornita dai danneggiati in ordine alle sofferenze patite e ai cambiamenti degli stili di vita”, il ricorrente in via incidentale) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701)) in particolare la violazione della norma ex art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, i ricorrenti -in via principale e incidentale- abbiano in realtà entrambi dedotto doglianze (pure) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (in particolare le “allegazioni fornite “dai danneggiati in ordine alle sofferenze patite e ai cambiamenti di stile di vita” dedotte dal ricorrente in via incidentale) ovvero vizi di motivazione (in particolare, la “motivazione risibile ed illegittima” nonchè “tautologica” e il “vizio motivazionale” lamentati dalla ricorrente in via principale) (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Con particolare riferimento al 7 motivo del ricorso principale va osservato, ancora, che (oltre ad essere formulato in violazione del requisito a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, là dove la ricorrente fa riferimento, nei termini più sopra indicati, ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, alle “somme ricevute in corso di causa dagli attori… e loro versate da Bernese Assicurazioni”, all'”intervenuta transazione”, alla “quietanza”) va osservato che, a fronte dell’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui “Non avendo nessuna delle parti in causa fornito elementi diversi dai quali anche solo dedurre come le parti (eredi F. da un lato e Allianz e ditta A. dall’altro) avessero inteso la distribuzione dell’importo omnia riportato nella quietanza, risulta correttamente applicato il censurato criterio proporzionale sulla base del legame di parentela di ciascuno degli attori del primo grado con F.L.”, la censura mossa dall’odierna ricorrente si appalesa invero, oltre che prospettante inammissibili profili di novità, del tutto ultronea ed infondata.

Atteso che l’imputazione del pagamento spetta in primo luogo al debitore, e laddove dal medesimo non effettuata ben può tale diritto essere esercitato dal creditore, allorquando come nella specie nessuna delle parti vi provveda è al giudice senz’altro consentito utilizzare, quale parametro di riferimento, (pure) i criteri indicati all’art. 1193 c.c. e quello proporzionale (u.c.) in particolare.

Vale al riguardo sottolineare come, nel dedurre – facendo specifico richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 6357 del 2011 – la non applicabilità – “neppure analogicamente” – dell’art. 1193 c.c., al “danno da responsabilità aquiliana”, in quanto “la disciplina della imputazione dei pagamenti prevista presuppone… la sussistenza, in termini di certezza, esigibilità e liquidità, del debito che si intende estinguere, il quale viceversa, in ipotesi fatto illecito, sorge solo nel momento e nella misura in cui è liquidato dal Giudice”, la ricorrente erroneamente evoca invero il diverso principio affermato da questa Corte con riferimento all’art. 1194 c.c., in base al quale “qualora prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri posti da tale norma (applicabile solo alle obbligazioni di valuta, non a quelle di valore quale il credito risarcitorio per danno aquiliano), ma devalutando alla data dell’evento dannoso sia il credito risarcitorio (se liquidato in moneta attuale) che l’acconto versato, detraendo quest’ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento (c.d. interessi compensativi)”.

Deve altresì osservarsi come, a fronte dell’ulteriore affermazione secondo cui “La Corte, inoltre, evidenzia come anche nel presente gravame alcun criterio differente ed alternativo è stato dalle parti proposto”, la ricorrente si limiti invero a dedurre che “l’intervenuta definizione della posizione di uno dei debitori solidali aveva implicato lo scioglimento del vincolo di solidarietà tra i convenuti”, sicchè, “avendo l’accordo transattivo riguardato l’intero debito solidale”, al “debitore non liberato si sarebbe potuto imputare esclusivamente la minor somma derivante dalla sottrazione del quantum debeatur dell’importo percetto dai danneggiati”.

A tale stregua, la suindicata ratio decidendi dell’impugnata sentenza rimane non (quantomeno idoneamente) censurata, non avendo la ricorrente dato conto del momento processuale, e con quale atto, abbia nel corso del giudizio di merito invero adombrato siffatto criterio.

A tale stregua, ancor prima che infondato il motivo risulta invero inammissibile, in base al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui è sufficiente che anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di idonea censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602, e, conformemente, Cass., 27/12/2016, n. 27015; Cass., Sez. Un., 22/2/2018, n. 4362, nonchè, da ultimo, Cass., 6/6/2020, n. 13880 e Cass., 2/12/2020, n. 27563).

Quanto all’8 motivo del ricorso principale è appena il caso di porre in rilievo come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (nel caso non osservati laddove – oltre che alla “garanzia assicurativa” – viene operato il riferimento in particolare all’omessa pronunzia in merito alla “sollevata eccezione di inapplicabilità della garanzia assicurativa”, in ragione della relativa applicazione solo agli impianti con personale qualificato, asseritamente non sussistente nella specie in assenza del bagnino, senza invero debitamente indicare e riportare nel ricorso il momento e l’atto processuale di relativa proposizione) vanno sempre ed indefettibilmente osservati, anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte (quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata: cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221), ovvero allorquando come nella specie la S.C. è (anche) “giudice del fatto”, giacchè come questa Corte ha già avuto più volte modo di precisare (v., relativamente a quella dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., 5/2/2021, n. 2831; Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978; con particolare riferimento all’ipotesi della revocazione ex art. 391 bis c.p.c., Cass., 28/7/2017, n. 1885), in tali ipotesi la Corte di legittimità diviene giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile esaminarne la fondatezza, sicchè esclusivamente nell’ambito di tale valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, più recentemente, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288; Cass., 28/7/2017, n. 18855).

Avuto riferimento al 9 motivo del ricorso principale, va altresì sottolineato che, oltre ad essere formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nei termini sopra esposti, diversamente da quanto dalla ricorrente apoditticamente prospettato nell’impugnata sentenza risulta dalla corte di merito espressamente e specificamente affermato che l'”esclusione dell’operatività della polizza per danni ai condomini, loro familiari e ospiti non è certo riferibile ai danni di cui al presente gravame posto che, come si evince dall’allegato B alla suddetta polizza (cfr. doc. 16 del Condominio (OMISSIS)) le parti – Milanese Assicuratrice da un lato e Condominio (OMISSIS) dall’altro – hanno espressamente convenuto, come condizione speciale di polizza, che i singoli condomini, i loro familiari e ospiti sono considerati terzi tra di loro”.

A tale stregua il motivo è inammissibile (anche) per omessa censura di siffatta ratio decidendi.

Con specifico riferimento al 10 motivo del ricorso principale, va infine osservato che la disposizione dell’art. 4, comma 2, della tariffa professionale approvata con D.M. n. 55 del 2014 (secondo cui “Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti”) contempla una facoltà rientrante nel potere discrezionale del giudice, il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità ove come nella specie motivato mediante il riferimento alla pluralità nella specie delle parti difese e delle questioni trattate (cfr., con riferimento alla previsione di cui all’art. 4, comma 4, della tariffa professionale approvata con D.M. n. 140 del 2012, Cass., 10/1/2017, n. 269 del 2017; con riferimento alla previsione di cui all’art. 5, comma 4, della tariffa professionale approvata con D.M. n. 127 del 2004, Cass., 15/1/2018, n. 712; Cass., 21/7/2011, n. 16040; Cass., 2/2/2007, n. 2254), attesi i suesposti limiti di censurabilità della pronunzia impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e trattandosi nella specie di motivazione assurgente al richiesto “minimo costituzionale” in quanto il criterio logico posto dal giudice a base dell’esercizio del proprio potere discrezionale risulta invero ben evincibile, deve conseguentemente escludersi l’integrazione nel caso dell’ipotesi di cui all’art. 132 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312; Cass., 25/9/2018, n. 22598; Cass., 14/2/2020, n. 3819).

Emerge dunque evidente che, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le deduzioni dei ricorrenti – in via principale e incidentale – in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro rispettive aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una rivalutazione del merito della vicenda nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminarsi il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra i ricorrenti – in via principale e in via incidentale – delle spese del giudizio di cassazione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo a carico dei ricorrenti – in via principale e incidentale – e in favore dei controricorrenti F. ed altri nonchè della controricorrente società A. Piscine e C. s.n.c., seguono la soccombenza.

Non è infine a farsi luogo a pronunzia in ordine all’istanza di liquidazione delle spese e delle competenze della procedura ex art. 373 c.p.c., dagli odierni controricorrenti F. ed altri prodotta unitamente ad atto denominato “memoria conclusiva autorizzata e costituzione di co-difensore”.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel giudizio di legittimità la richiesta di pronunzia sull’istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata può essere esaminata alla condizione che venga notificata, con i relativi documenti da produrre, alla controparte ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato, comunque, rispettato, con la conseguenza che detta istanza è inammissibile ove come nella specie venga proposta in un procedimento soggetto a rito camerale mediante memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., non notificata alle controparti, non risultando che le medesime abbiano potuto

– prenderne visione mediante l’esplicazione di attività processuale invero estranea al modello camerale in concreto adottato, sicchè non può considerarsi al riguardo ritualmente instaurato il contraddittorio (v., con riferimento all’udienza camerale, Cass., 4/10/2018, n. 24201, e conformemente, da ultimo, Cass., 31/8/2020, n. 18079. Cfr. altresì, con riferimento all’udienza pubblica e alla memoria ex art. 378 c.p.c., Cass., 20/10/2015, n. 21198).

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi. Compensa tra i ricorrenti, in via principale e in via incidentale, le spese del giudizio di cassazione. Condanna la ricorrente in via principale società Milanese Assicurazioni s.p.a. (già Assicuratrice Milanese s.p.a.) al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre a pese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti sigg. F.. Condanna il ricorrente in via incidentale Condominio (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti sigg. F.. Condanna la ricorrente in via principale società Milanese Assicurazioni s.p.a. (già Assicuratrice Milanese s.p.a.) e il ricorrente in via incidentale Condominio (OMISSIS) al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente società A. Piscine s.n.c..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, in via principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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