Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13589 del 21/06/2011

Cassazione civile sez. III, 21/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 21/06/2011), n.13589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio dell’avvocato MOZZI

VINCENZO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale del

Dott. Notaio PIERLUIGI DI MARIA, 3/4/2009, REP. N. 16153;

– ricorrente –

contro

ITALINK S.R.L.;

– intimata –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona dei suoi

legali rappresentanti Ing. B.L. e Dott. D.T.

D., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA MARTIRI DI BELFIORE

2, presso lo studio dell’avvocato CILIBERTI GIUSEPPE, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio

GIOVANNI BATTISTA DALL’ARMI, in MOGLIANO VENETO 22/7/2009. REP. n.

173873, resistente con procura speciale;

– resistente –

avverso la sentenza n. 222/2008 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 20/2/2008, depositata il

10/03/2008, R.G.N. 1773/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato GIANLUCA CONTALDI per delega dell’Avvocato VINCENZO

MOZZI;

udito l’Avvocato GAETANO ALESSI per delega dell’Avvocato GIUSEPPE

CILIBERTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 2 settembre 1994 la società Italink si conveniva in giudizio il veterinario M.G. esponendo che da un accertamento compiuto dal Nas dei Carabinieri era risultato che il M., da essa incaricato di curare un gruppo di vitelli, aveva loro somministrato alcune sostanze (17 Beta Estradiolo e testosterone) in quantità vietata con il conseguente sequestro dei medicinali, dei mangimi e l’abbattimento degli stessi bovini. Ciò premesso, chiedeva la condanna del veterinario al risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio, in cui il M. si costituiva e chiamava in garanzia le Assicurazioni Generali Spa, il Tribunale di Mantova condannava il convenuto al risarcimento danni in favore dell’attrice in misura di Euro 76.256,57 oltre interessi legali e spese e rigettava la domanda di garanzia nei confronti della terza chiamata.

Avverso tale decisione proponeva appello il M. ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 10 marzo 2008 rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese processuali. Avverso la detta sentenza il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Si è costituita tardivamente la Spa Le Assicurazioni Generali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione di legge in relazione alla L. n. 4 del 1961, artt. 1 e 4 il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata ponendo i seguenti quesiti di diritto: “Dica la Corte se al caso di specie va applicata la L. n. 4 del 1961, art. 1 e segg. o, precisando qual è, la successiva normativa applicata dalla Corte d’Appello di Brescia e dal Tribunale di Mantova al caso in esame ovvero quale diversa disposizione in materia tenendo in considerazione tutti i provvedimento emanati dal Ministero della Salute; dica la Corte se in caso di applicazione al caso di specie della L. n. 4 del 1961, art. 1 e segg., la normativa stessa preveda come reato o illecito amministrativo l’utilizzo di Beta estradiolo e di Testosterone in capi non destinati ma in fase di rinstallo e per fini terapeutici”.

La censura è inammissibile. Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. , introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità – giusta la previsione dell’art. 375 c.p.c., n. 5 – dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (Sez. Un. n. 23732/07). Nel caso di specie, il ricorrente si è invece limitato a chiedere con il primo quesito quale fosse la normativa applicata dai giudici di merito e quale fosse invece quella applicabile; e con il quesito successivo, se l’utilizzo dei medicinali somministrati costituisse reato o illecito amministrativo. Ciò posto, considerato che l’ammissibilità di un motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, che deve consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione possa condurre a una decisione di segno diverso e che il quesito non può consistere invece in un mero interpello della S. C. in ordine alla legge da applicare ovvero in ordine alla configurabilità di un reato, ne deriva l’inammissibilità della doglianza.

Passando all’esame della seconda censura, per violazione degli artt. 1900 e 1917 c.c., va osservato che, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe sbagliato nella parte in cui ha provveduto ad acquisire d’ufficio gli elementi probatori in ordine al comportamento doloso del veterinario, così da escludere la copertura assicurativa. E ciò, ad onta della mancata prova fornita dalla Compagnia di Assicurazione.

La censura è infondata Sul punto, corre l’obbligo di premettere che, al momento del sequestro del bestiame, il M. dichiarò alla Polizia giudiziaria di essere stato lui a somministrare agli animali vaccini anabolizzanti a base di testosterone e 17 beta estradiolo e di averlo fatto per esigenze terapeutiche, che riteneva al momento sussistenti. Tali dichiarazioni furono riportate nel verbale di indagini redatto dai CC del Nas in data 21 ottobre 1992. La Corte territoriale, così come aveva fatto il giudice di prime cure, ha quindi posto a base della propria decisione gli elementi probatori raccolti dai CC del Nas nel verbale di indagini indicato.

Ciò posto, vale la pena di sottolineare che, ai fini della formazione del convincimento del giudice, nel nostro ordinamento, accanto al principio dispositivo, vige il principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze probatorie, comunque ottenute e quale che sia la parte che l’abbia fornite, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro, e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trame elementi favorevoli alla controparte (cfr ex multis Cass. 16092/02, 1112/03, 10847/07). Conseguentemente, la censura del ricorrente, fondata nella sostanza delle cose sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte delle Assicurazioni Generali, non merita di essere condivisa non avendo rilievo, alla luce del principio di acquisizione processuale, la circostanza che la compagnia di assicurazione, da parte sua, non abbia fornito alcun elemento di prova a sostegno della propria posizione mirante ad escludere la copertura assicurativa invocata dal M..

Restano da esaminare le ultime due doglianze, la prima delle quali, per violazione dell’art. 1227 c.c., e la seconda per violazione dell’art. 244 c.p.c., accompagnate, rispettivamente, dai seguenti quesiti di diritto: a) “dica la Corte se ai sensi dell’art. 1221 c.c. è rintracciabile nel comportamento di Ita link il concorso del fatto colposo dell’asserito danneggiato”; b) “Dica la Corte se il giudice di secondo grado ha applicato correttamente l’art. 244 c.p.c. alla richiesta di interrogatorio formale del legale rappresentante della società Italink”.

Sia l’una che l’altra censura sono inammissibili. Ed invero, con riguardo ad entrambi i quesiti, il ricorrente si è limitato a chiedere assai genericamente di verificare se sussistessero o meno le violazioni di legge dedotte, guardandosi bene dall’indicare però come e perchè si fossero concretate le asserite violazioni. Ora, premesso che la norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. n. 23153/07, ord. n. 4646/08 e n. 21979/08), deve altresì sottolinearsi che il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo nè nell’invito alla S.C. perchè si pronunzi sulla esattezza dei propri assunti senza neppure relazionarsi in maniera specifica, nel testo del quesito, alle norme di diritto che sarebbero state violate, così come è avvenuto nella specie. Occorre invece che il ricorrente nella redazione del quesito proceda all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo, indicandone l’errore o gli errori compiuti e specificando la regola da applicare” (cfr S.U. n. 3519/2008, Cass. N. 19769/08, Sez. Un. 16092/09). Ne deriva l’inammissibilità delle censure in esame.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, a favore delle Assicurazioni Generali, tardivamente costituitasi, la quale ha partecipato alla discussione. Non occorre invece provvedere sulle spese a favore della Italink in quanto quest’ultima, non essendosi costituita neppure tardivamente, non ne ha sopportate.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge a favore delle Assicurazioni Generali S.p.a..

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2011

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